Il fumetto umoristico-avventuroso di matrice franco-belga sta tornando alla ribalta contemporaneamente all’uscita in molte sale cinematografiche del film Le avventure di Tintin: Il segreto dell’Unicorno (The Adventures of Tintin: The secret of the Unicorn, 2011), di Steven Spielberg. La pellicola, realizzata in 3D e con le innovative tecniche della motion capture, è tratta da tre albi a fumetti del belga Hergé (alias Georges Rémi, 1907-1983): Il granchio d’oro (Le crabe aux pinces d’or,1941), a cui è ispirata tutta la parte centrale del film, Il segreto del Liocorno (Le secret de la Licorne, 1943) e Il tesoro di Rackham il Rosso (Le trésor de Rackham le Rouge, 1944), editi sul mercato francese da Casterman. A dire il vero, i riferimenti al terzo albo, Il tesoro di Rackham il Rosso, sono abbastanza limitati, poiché questo episodio sarà probabilmente integrato nel prossimo film di Tintin, che dovrebbe essere diretto da Peter Jackson, il regista della trilogia de Il Signore degli anelli (The Lord of the Rings,2001-2003) e che ha prodotto l’attuale film di Spielberg.
La motion capture usata da Spielberg in Le avventure di Tintin: Il segreto dell’Unicorno è una tecnica che dà agli animatori al computer la capacità di rendere più realistici i personaggi non-umani e di collocare i vari characters in scenografie fantastiche di tipo digitale. In sintesi, tale procedimento consiste nel riprendere con la telecamera dei veri attori che indossano dei markers su punti specifici del loro corpo. Ogni marcatore viene poi codificato dal computer in ciascuno dei fotogrammi del filmato e inserito su sfondi creati digitalmente. Il sistema è stato messo a punto – con risultati artistici alterni – dal regista Robert Zemeckis nei film Polar Express del 2004, La leggenda di Beowulf (Beowulf, 2007) e A Christmas Carol (2009).
Gli effetti speciali della motion capture sono invece sfruttati ottimamente da Spielberg nel suo lavoro su Tintin, per visualizzare in sequenze mozzafiato incredibili inseguimenti che non sarebbero riproducibili al cinema senza questa tecnica particolare. Inoltre, la motion capture consente al regista statunitensedi costruire la più impressionante battaglia navale tra velieri che si sia mai vista sullo schermo. Nello stesso tempo i personaggi, malgrado la digitalizzazione, conservano una notevole espressività.
Spielberg ha scoperto la creatura di Hergé trent’anni fa, nel 1981, quando lesse una recensione del suo film I predatori dell’arca perduta (Raiders of the Lost Arc, 1981), nella quale il personaggio di Indiana Jones, interpretato da Harrison Ford, era paragonato a Tintin. In quell’occasione, Spielberg si procurò tutti gli albi di Hergé, e capì immediatamente la fondatezza del paragone. I comics di Tintin, infatti, proprio come le avventure di Indiana Jones, sono caratterizzati da misteri archeologici, enigmi storici da risolvere, tesori da scoprire e da una sapiente miscela di ironia, azione e avventura.
Tintin è un eroe amatissimo dai lettori di fumetti “dai 7 ai 77 anni”, ma anche dagli intellettuali francesi come il filosofo Michel Serres (n. 1930), autore del saggio Hergé mon ami (Bruxelles, Moulinsart, 2000). Recentemente, sul personaggio di Hergé è uscito in Francia un intero numero monografico della rivista mensile di filosofia “Philosophie Magazine” (settembre 2010), dal titolo Tintin au Pays des Philosophes (Tintin nel Paese dei Filosofi).
In occasione del lancio del film di Spielberg, la casa editrice Rizzoli-Lizard ha pubblicato in Italia, in otto volumi cartonati, le 24 storie di Tintin che costituiscono l’intero corpus della saga creata da Hergé, una serie che conta 200 milioni di copie vendute in tutto il mondo e tradotte in 50 lingue.
Qui da noi il rilancio di Tintin ha spinto anche altre case editrici italiane a proporre la traduzione dei più classici fumetti umoristici di lingua francese, che tuttora continuano a essere venduti nelle librerie d’oltralpe accanto agli albi di Hergé. Panini Comics ha infatti stampato Il Gran Visir Iznogoud (Modena, Panini Comics, 2011), creato nel 1962 dallo sceneggiatore di Astérix, René Goscinny (1926-1977), e da Jean Tabary (1930-2011), autore dei disegni.
Invece, Nona Arte diffonde anche in Italia Gli archivi della gaffe (2011) e Gaffe a Gogo (2011), i primi due albi delle esilaranti gags di Gaston Lagaffe, ideato da André Franquin (1924-1997) nel 1957. Ma già da qualche tempo Planeta DeAgostini sta pubblicando bandes dessinées umoristico-avventurose, quali gli albi di Spirou e Fantasio, nelle versioni realizzate da vari disegnatori, fra cui si segnala quella del parigino Jean-Claude Fournier (n. 1943), autore del volume n°1 delle Avventure di Spirou e Fantasio (Planeta DeAgostini, 2009). In realtà, il fattorino d’albergo (o groom) Spirou, con la sua classica divisa rossa dai bottoni dorati, è un personaggio partorito dalla fantasia del parigino Rob-Vel (alias Robert Velter, 1909-1991). Spirou appare per la prima volta sul n° 1 dell’omonimo giornale belga del 21 aprile 1938, ed è portato al successo soprattutto nelle avventure disegnate da Franquin per ventidue anni, a partire dal 1947.
Planeta DeAgostini stampa anche le intriganti inchieste umoristico-poliziesche di Gil Jourdan, opera del belga Maurice Tilleux (1921-1978, testi e disegni), di cui sono finora usciti in Italia tre corposi volumi della collana L’integrale. La serie, che è pubblicata a puntate su “Le journal de Spirou” dal 1956 al 1979, rappresenta un piccolo capolavoro di mistero, avventura e vis comica.
Ma qual è la specificità dell’umorismo a fumetti in salsa franco-belga? Per rispondere a questa domanda, bisogna appunto partire da Tintin.
Tintin fa la sua prima apparizione su “Le Petit Vingtième”del 10 gennaio 1929,un supplemento settimanale del quotidiano belga “Vingtième Siècle”. La sua storia d’esordio si svolge nell’U.R.S.S. e s’intitola Tintin nel Paese dei Soviet (Les aventures de Tintin, reporter du Petit Vingtième, au Pays des Soviets, pubblicata in albo nel 1930). Dopo questa prima avventura, Tintin si sposta un po’ dappertutto, in Scozia, in Amazzonia, nell’America Centrale, nel Tibet e anche sulla Luna. La serie passa sul quotidiano belga “Le Soir”dal 1942 al 1944, mentre in Francia appare su “Coeurs–Vaillants”. A partire dal 1946, Tintinpossiede un proprio omonimo giornale (“Le journal de Tintin” delle Editions Du Lombard), su cui sono pubblicate in anteprima a puntate le sue avventure, che diventano ben presto un colossale successo di libreria nei paesi francofoni e nel mondo. Tale successo spinge il Presidente della Repubblica francese Charles de Gaulle (1890-1970) ad affermare: «l mio unico rivale internazionale è Tintin».
Lo stile grafico delle avventure di Tintin è chiamato “la linea chiara” (ligne claire), per la “chiarezza” del tratto che contraddistingue i disegni di Hergé, cioè per l’assenza di tratteggio e di chiaroscuro. Ogni vignetta è un piccolo capolavoro grafico, cosicché nella lettura non è possibile passare da una striscia all’altra velocemente, ma bisogna per forza soffermarsi ad ammirare il documentatissimo realismo degli sfondi, il dinamismo dei personaggi (la linea di Hergé si muove di continuo) e l’armonia della composizione. La caratteristica della ligne claire è comunque la bidimensionalità delle figure, che sono connotate da un disegno piatto e senza sfumature di colore. Questo stile, all’epoca in cui le storie di Tintin venivano pubblicate sul settimanale delle Editions Du Lombard, era imposto da ragioni pratiche oltre che estetiche, e in particolare dal processo di riproduzione in offset. Proprio per questo motivo, agli occhi dei vecchi fans di Hergé l’attuale film di Spielberg può risultare un po’ spiazzante, giacché Tintin (Jamie Bell) e gli altri characters appaiono sullo schermo a tutto tondo (grazie al procedimento della motion capture) e addirittura in 3D! Soltanto i magnifici titoli di testa della pellicola riproducono esattamente lo stile piatto e inconfondibile della linea chiara.
Biondo, dal ciuffetto leggendario (che nel film diretto da Spielberg emerge dall’acqua come la pinna del celebre squalo), Tintin è un giovane reporter in pantaloni alla zuava. Il personaggio ha smesso di usarli solo nella penultima avventura, Tintin e i Picaros (Tintin et le Picaros, 1976), seguita dalla storia postuma e incompiuta Tintin e l’Alph Art (Tintin et l’Alph Art, 1986).
Di per sé Tintin, che è sempre accompagnato dal cagnolino bianco Milou, ha un carattere serio e non suscita il riso. Si tratta di un puro “eroe” dei fumetti senza macchia e senza paura, che riprende, un po’ anche nel nome, un precedente personaggio di Hergé, Totor, capo degli scouts in una serie disegnata nel 1923 per il giornalino Le boyscout belge. Tintin, come il boyscout ideale, non ha difetti: la sua intelligenza è infallibile e le sue qualità morali sono a prova di bomba. Tuttavia, se questo stereotipo funziona egregiamente nei comics, è un po’ più difficile renderlo credibile al cinema, tant’è vero che nel film spielbergiano il personaggio più realistico del capitano Haddock (Andy Serkis), un marinaio alcolizzato e collerico ma dal cuore tenero, ruba spesso la scena allo stesso Tintin.
Nei fumetti di Hergé la comicità è prerogativa dei comprimari del protagonista, cioè, appunto, di Haddock, dei due poliziotti idioti Dupond (con la “d”) e Dupont (con la “t”), della signora Castafiore, cantante lirica milanese che compare anche nella pellicola di Spielberg (malgrado sia assente nei tre albi che hanno ispirato il regista), e del professor Girasole, anziano scienziato ingegnoso e completamente sordo.
In un vecchio ma fondamentale articolo pubblicato sul n°14/15 dei “Cahiers de la bande dessinée” (Grenoble, Glénat, 1978, pp. 52-55), Dominique Labesse ha cercato di individuare i meccanismi della comicità di Hergé utilizzando il classico lavoro del filosofo francese Henri Bergson (1859-1941) del 1900, intitolato Il Riso. Saggio sul significato del comico (Milano, Rizzoli, 1991). La teoria di Bergson è effettivamente un’ottima chiave di lettura dell’umorismo di quasi tutti i fumetti franco-belgi, ma specialmente di quelli di Hergé.
Ricollegandosi alla sua concezione dello slancio vitale, Bergson propone una teoria del comico che si basa sulla contrapposizione fra ciò che è meccanico e rigido, da un lato, e ciò che invece è vitalistico e agile, dall’altro. Comico è infatti «un elemento meccanico applicato al vivente».In particolare, secondo Bergson, noi ridiamo dei nostri simili quando capita che un uomo perda la sua umanità e la sua vigile consapevolezza, per diventare simile a un semplice meccanismo, a un pupazzo o a una marionetta. Le situazioni comiche sono dunque «il risultato dell’automatismo e della rigidità».
Questa teoria filosofica spiega perfettamente perché non ridiamo di Tintin, sempre padrone di sé, mentre ridiamo dei poliziotti Dupont/d, che rappresentano due personaggi distratti, goffi e dal comportamento meccanico, puntualmente pronti a cadere in un tombino, a scivolare sulle bucce di banana e a sbattere in ogni ostacolo che si frapponga sulla loro strada.
Secondo Bergson, la mancanza di elasticità nell’adattamento alla varie circostanze può verificarsi anche sul piano mentale e non solo su quello fisico: ne sono una prova le gaffes, cioè le espressioni inopportune che risultano rivelatrici di inesperienza o di goffaggine.
Di nuovo, la comicità verbale dei due Dupont/d risponde a questo meccanismo, a partire dalla loro classica frase: «Anzi, dirò di più…», che precede sempre un’inutile ripetizione, presentata come se fosse un’informazione supplementare. Ma vanno segnalate anche le loro acrobazie linguistiche che fanno a pugni con la logica, come, per esempio: «È la mia opinione e la condivido!», «Se la signora ci avesse disturbato ancora una volta per niente, noi non saremmo venuti!», ecc.
Memorabili sono poi le gags del capitano Haddock il quale, quando si arrabbia, utilizza un vastissimo campionario verbale per offendere i suoi avversari. Il divertimento nasce dal fatto che le imprecazioni di Haddock non sono le classiche parolacce presenti nei comics, ma risultano dei vocaboli dotti e ricercati che tuttavia, in bocca al personaggio, vengono usati come se fossero degli insulti. Eccone un significativo campionario in ordine alfabetico: Anfitrione! Anacoluto! Apache! Bulldozer! Cannibale! Cromagnon! Diplodoco! Ectoplasma! Equilibrista! Iconoclasta! Idrocarburo! Macrocefalo! Mammalucco! Megaciclo! Megalomane! Ostrogoto! Piromane! Satrapo! ecc.
Troviamo la stessa goffa comicità verbale nel personaggio della cantante italiana Bianca Castafiore, che non è capace di pronunciare correttamente il nome del capitano Haddock. In tre albi, L’affare Girasole (L’Affaire Tournesol, 1956), Coke in Stock (Coke en Stock, 1958) e I gioielli della Castafiore (Les Bijoux de la Castafiore, 1963, il capolavoro assoluto della serie), assistiamo al massacro di questo nome, che viene puntualmente storpiato in: Paddock, Harrock, Karbock, Bartock, Koddack, Kappock, Mastock, Kosack, Hammack, Tarmack, Balzack, Mardock, Kaddock, Maggock, ecc.
Nel suo saggio dedicato al riso, Bergson osserva che talvolta l’umorismo nasce anche dal fenomeno della cosiddetta “inversione”, che consiste nell’ottenere una scena comica facendo sì che la situazione si capovolga, o che magari le parti siano invertite (come nel caso del personaggio che prepara la trappola in cui egli stesso verrà a cadere). Una divertente “inversione” si verifica, tanto per fare un esempio, nell’episodio di Tintin Il segreto del Liocorno (ripreso anche da Spielberg nel suo film), in cui i due detectives Dupont/d, all’inseguimento di un cleptomane che ruba i portafogli, anziché arrestarlo si fanno sottrarre più volte i loro portamonete.
In sostanza, l’umorismo di Hergé è garbato e “bergsoniano”, e conferisce un tono inconfondibile a tutte le storie di Tintin.
Lo stesso genere di comicità bergsoniana contraddistingue molti altri fumetti umoristici franco-belgi, come quelli che abbiamo citato sopra, e che stanno ricomparendo anche nelle librerie italiane. Fra tutti, meritano un’ulteriore menzione i comics davvero geniali di Gaston Lagaffe, opera del grande autore belga André Franquin, e che sono pubblicati in Italia da Nona Arte, a cura di Andrea Rivi. Sul piano strettamente grafico, lo stile di Franquin è comunque diverso dalla “linea chiara“ di Hergé, e si segnala per un tratto più complesso e più “americano“.
Il Gaston di Franquin nasce come riempitivo sul n° 985 del settimanale “Le journal de Spirou” del 28 febbraio 1957. All’inizio delle sue disavventure, Gaston è vestito in modo abbastanza elegante, con giacca e papillon. Successivamente, è proposto come anti-eroe di fumetti umoristici di mezza pagina o di una tavola, e indossa jeans e pullover sdruciti. A lungo senza impiego, Gaston viene poi assunto come tuttofare alla redazione di “Spirou”. Perennemente stanco, pasticcione e incorreggibile gaffeur, provoca disastri a non finire senza mai scomporsi, come se vivesse in un altro mondo.
Gastonviaggia su una scassatissima Ford T e inventa macchinari strampalati e micidiali, come un’arpa dal suono terrificante (il Gaffophone, simile all’arpa africana), una macchina per fare i nodi alle cravatte che strangola chi la usa, una caffettiera da camping che messa sul fornello decolla come se fosse un missile, ecc. Intorno a Gaston si muovono alcuni personaggi delle avventure di Spirou, tra cui Fantasio, il redattore capo del giornale, e Monsieur Mesmaeker, un uomo d’affari che non firma mai i contratti che gli sono proposti dalla redazione, perché perennemente bersagliato dalle terribili invenzioni di Gaston. Non bisogna poi dimenticare il bestiario che circola nelle vignette del simpaticissimo personaggio: un cavallo, una vacca vinta alla lotteria, un topo, dei pesci rossi, un gatto turbolento, un gabbiano che ride (in modo sinistro), un’aragosta viva, dei gorilla, ecc. Queste bestie sono introdotte da Gaston nei locali della redazione di “Spirou”, suscitando il panico e l’esasperazione dei redattori.
Per concludere, ricordiamo che secondo Bergson la risata è una punizione istintiva che infliggiamo ai nostri simili, ogni volta che essi involontariamente «disonorano» la specie umana di cui sono rappresentanti, perché non si adattano alle regole della società comportandosi in modo inadeguato. Secondo il vecchio adagio castigat ridendo mores, il lieve castigo che la società infligge all’inedeguatezza della nostra condotta è appunto il riso, una specie di rimprovero che naturalmente non ha la durezza di una sanzione penale, poiché in queste circostanze non sussiste una vera e propria violazione di norme etiche o giuridiche. È appunto questo il caso di Gaston, il quale manifesta un’evidente, buffissima, incapacità di adattamento al mondo che lo circonda. È l’asocialità di Gaston che ci fa ridere, e il suo autore Franquin, alla stregua del commediografo Molière (1622-1673), personifica in lui i difetti e la goffaggine che ogni persona dovrebbe evitare per non essere respinto dalla società, in modo che il riso abbia per l’animo del lettore quasi la stessa funzione che possiedono gli anticorpi per la nostra salute.
Gaffe a Gogo (Nona Arte, 2011), il secondo, esilarante albo delle gags di Gaston Lagaffe, un personaggio ideato da André Franquin.
© Marsu, 2011 by Franquin
© Nona Arte, 2011