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L’etimologia della parola satira rivela prospettive interessanti che aiutano a tirare le fila di un discorso complesso, non facilmente riducibile a formule e a generalizzazioni. Oggi i filologi affermano che non ci sono connessioni linguistiche tra la satira e i satiri, ma gli antichi trovavano la filiazione plausibile, tanto da accreditare in età imperiale l’uso di satyra al posto dell’originario satura.
Il termine saturae è sconosciuto a Roma prima di Ennio e di quelle poesie oltre al titolo ci restano pochi versi. Sull’interpretazione di saturae si è acceso un dibattito vivace. Sembra che esso derivi dall’aggettivo latino satur, che significa pieno, zeppo e quindi quel genere di poesia avrebbe dovuto essere un contenitore colmo dei più vari argomenti. Satura (lanx) è anche il piatto pieno di primizie agresti offerto in sacrificio oppure un ripieno per salsicce e focacce oppure una zuppa. Satura è varietà, mescolanza, pasticcio, cibo rustico e contadino, quindi è uno scrivere aperto alla fisicità immediata della parola, alla quotidianità dell’esperienza, alla corporeità del vivere. In fondo la vicinanza simbolica con l’animalità prepotente dei satiri diventa comprensibile.
Orazio usa la formula sermo pedestris quando parla delle sue satire, sermones repentes per humum (discorsi che strisciano per terra). Insieme agli altri scrittori di saturae si contrappone consapevolmente alla musa alata dell’epica e della tragedia. Rinuncia al prestigio artistico perché preferisce una maggiore libertà dai canoni letterari e dalle regole. Solo così è possibile una descrizione realistica e senza filtri della vita sociale e del comportamento degli esseri umani. La musa pedestre, anche oggi, deve riuscire a essere ricerca riflessiva e disvelamento della realtà, un invito a vedersi vivere, a prendere le distanze da se stessi, per conoscersi ed eventualmente correggersi.
La satira antica non si esaurisce nel castigat ridendo mores della tradizione successiva, troppo spesso risolta nel moralismo di un’improbabile laudatio temporis acti, inevitabilmente conservatrice. Conosce anche la colorazione grottesca che si deforma nel fantastico e si ritrova per esempio nel romanzo di Petronio, il Satyricon appunto. Questa è forse una delle forme sperimentali più interessanti, riproposta con successo in tempi recenti. Il mondo antico conosce anche la satira del sapiente, l’irrisione rivelatrice dei limiti di ogni auctoritas astratta, autocompiaciuta e autoreferenziale.
È questa del resto l’accezione corporea originaria della sapientia latina che prima del sapere presuppone l’aver sapore.
È in quest’ottica che abbiamo deciso di dedicare anche il prossimo numero della nostra rivista alle teorie, alle retoriche e ai linguaggi della satira antica, moderna e contemporanea.
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