Com’è noto, Henri Bergson nel suo saggio Il riso. Saggio sul significato del comico (1900), asserisce che il comico si ha quando il corpo umano fa pensare a un semplice meccanismo o a una marionetta. Comico è infatti “un elemento meccanico applicato al vivente”. Inoltre, Bergson mette in relazione l’umorismo con l’assurdo e quindi con la follia e con i sogni, perché, a suo parere, la comicità risiede nell’inversione dei ruoli e nel pretendere che le cose si modellino sulle nostre idee piuttosto che le nostre idee si modellino sulle cose. Tuttavia, a differenza della pazzia, l’umorismo non è patologico, ma, al contrario, risulta profondamente liberatorio.
Anche Sigmund Freud, nel saggio Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio del 1905, trova una corrispondenza fra i “motti di spirito” e i sogni. Come accade nei sogni, le battute umoristiche permettono al soggetto di esprimere i contenuti dell’inconscio, solitamente rimossi perché ritenuti proibiti o inopportuni. La nostra risata attesta che, grazie al motto di spirito, proviamo piacere per aver superato la barriera della censura, e cioè per aver appagato un nostro desiderio rimosso, per aver potuto manifestare in qualche modo ciò che, in un altro contesto, sarebbe stato male accolto o ritenuto sconveniente.
Le teorie di Bergson e di Freud trovano una perfetta conferma nei comics di Benito Jacovitti, il cui umorismo surreale nasce proprio da una violazione dalla razionalità dominante. La “poetica” di Jacovitti consiste nel contraddire con il surrealismo il nostro modo solito di ragionare, e addirittura nel superare la realtà che ci circonda con l’ironia e con la beffa, mostrandoci con i suoi disegni un altro mondo – il suo, decisamente onirico – dove non valgono più le leggi della fisica e nel quale i pesci volano, le gambe umane si trasformano in zampe di gallina e i salami camminano.
Jacovitti, il più grande autore italiano di fumetti umoristici del Novecento, è purtroppo scomparso a Roma il 3 dicembre del 1997. Ma, per fortuna, ogni anno qualche benemerita Casa Editrice italiana, come Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri o Nicola Pesce Editore, ripubblica puntualmente dei volumi con le sue storie. Due libri, recenti, in particolare, risultano emblematici dell’arte jacovittesca: Eia Eia baccalà del 2010, e Jacovitti di qua e di là del 2012, entrambi editi da Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri.
Eia Eia baccalà. La guerra è finita!, a cura di Goffredo Fofi, Anna Saleppichi e con una postfazione di Gianni Brunoro, già nel titolo evidenzia l’attitudine allo sberleffo spiazzante di Jacovitti. “Eia! Eia! Eia! Alalà!” è un’espressione introdotta dal poeta Gabriele D’Annunzio e adottata poi dal Fascismo, come esclamazione di esultanza o di incitamento. Jacovitti la prende evidentemente in giro, trasformando la parola “Alalà”, ricavata dal grido di battaglia degli antichi soldati greci (e che deriva, a sua volta, dal nome della figlia di Pòlemos, la quale accompagnava in battaglia il dio Ares), nel più prosaico “baccalà”, lo stoccafisso conservato sotto sale! Lo spirito dissacratorio del buffissimo titolo aleggia su tutte le storie e su tutte le illustrazioni presentate nel libro, e che Jacovitti ha realizzato nel decennio 1940-1950. In queste tavole, l’attenzione dell’autore è rivolta alla realtà storica, politica e sociale del momento, trasfigurata da un travolgente e surreale umorismo.
Finita la Seconda guerra mondiale, Jacovitti, nato a Termoli nel 1923 e che, come tutti i ragazzi italiani del Ventennio, ha subìto l’influenza della propaganda fascista, nelle sue storie realizzate subito dopo il conflitto prende le distanze dal passato regime, che vede ora nella sua vera luce. Bisogna, però, ricordare che già nel 1942 un’esperienza gli ha “aperto gli occhi” sui metodi delle dittature. In quell’anno, infatti, il giovanissimo autore, inquadrato nelle organizzazioni giovanili del Partito Nazionale Fascista, partecipa a una “spedizione” di giovani fiorentini a Weimar, per un incontro con la Hitlerjugend nazista. Weimar si trova nei pressi di un campo di concentramento, e a Jac non mancano le occasioni per rendersi conto di quale sia il volto reale dei nazisti. Molti dubbi gli si aggiungono al rientro in Italia, e le residue “granitiche certezze”, inculcategli dal Fascismo, sfumano di colpo il 25 luglio del 1943, quando la tragicomica caduta di Mussolini è per lui – come per tanti altri giovani dell’epoca – una salutare doccia fredda (cfr. F. Bellacci, L. Boschi, L. Gori, A. Sani, Jacovitti. Sessant’anni di surrealismo a fumetti, Nicola Pesce Editore, Roma 2010, p. 240).
La vicenda giovanile del viaggio di Jac a Weimar ispira, molto probabilmente, una delle storie più significative raccolte in Eia Eia baccalà: Pippo e il Dittatore, pubblicata su “Intervallo” nn. 2-12 nel 1945, battagliero organo della Gioventù Studentesca dell’Azione Cattolica. Si tratta di un’avventura dei “3P”, Pippo, Pertica e Palla, i tre personaggi solitamente protagonisti di storie a fumetti sul settimanale “Il Vittorioso”, qui in una trasposizione parodistica della Germania hitleriana, con tanto di gruppi antinazisti e campi di concentramento. Il Dittatore in questione è il terribile Flitt (il cui nome richiama una vecchia marca dell’insetticida DDT), e risulta una caricatura di Hitler. L’ometto assomiglia molto anche all’Adenoid Hinkel di Charlie Chaplin, protagonista, solo cinque anni prima, del film Il grande dittatore (The Great Dictator, 1940), che Jac ha senz’altro visto fra il ’44 e il ’45, proiettato dagli americani del P.W.B. (Psychological Warfare Branch), un organismo del Governo militare anglo-americano attivo durante la Liberazione dell’Italia, e incaricato della gestione dei mezzi di comunicazione nel nostro Paese.
Sempre su “Intervallo”, Jac pubblica altre memorabili storie, riprese in Eia Eia Baccalà, come La famiglia Spaccabue (“Intervallo”, nn. 13-24 del 1945), specchio umoristico della piccola borghesia dell’immediato dopoguerra. In questo episodio compare per la prima volta l’esilarante personaggio della Signora Carlomagno, un’anziana “energumena”, di quasi cento anni che, a dispetto dell’età, è agilissima e mena cazzotti da una tonnellata. Il che conferma quanto asserisce Fabio Ceccarelli nella sua Introduzione a H. Bergson, Il Riso. Saggio sul significato del comico (Rizzoli, Milano 1991, p. VI), dove si può leggere: “Un essere umano che si comporta come un burattino può far ridere, ma sono altrettanto comici movimenti troppo fluidi in vegliardi e arcivescovi”.
È interessante rilevare che nel 1951 il grande attore Aldo Fabrizi dirige se stesso e Ave Ninchi nel film La famiglia Passaguai, il cui titolo, quanto meno, è assonante con quello del fumetto di Jacovitti. La pellicola è seguita nel 1952 da La famiglia passaguai fa fortuna e Papà diventa mamma, sempre dirette da Fabrizi. In questa trilogia cinematografica l’aria che si respira, fra terribili giornate al mare e tragicomiche vicende familiari, ha qualcosa di jacovittesco. Lo stesso Jacovitti riproporrà l’evoluzione della famiglia Spaccabue in due ulteriori versioni: la prima è diffusa nel 1958, durante gli anni del Boom economico, sul settimanale “Il Giorno della donna”, mentre la seconda è in realtà lo storyboard degli Spaccabue in piena Contestazione giovanile, realizzato per la trasmissione televisiva “SuperGulp! Fumetti in TV”, e ripreso nel n. 9 dello “Jacovitti Magazine” dell’aprile 1996. Insomma, con le varie vicende della famiglia Spaccabue, il “sociologo” Jac fornisce un ritratto satirico delle trasformazioni del nucleo familiare borghese in Italia dal 1945 al Sessantotto!
La satira politica torna in Battista l’ingenuo fascista (“Intervallo”, nn. 26-14 del 1945-46). La storia è ripubblicata in Eia Eia Baccalà, con queste righe di presentazione: “Protagonista della vicenda è Battista, fascista ingenuo, che, caduto il regime, non trova più un posto nella società confusa del momento: nessun partito lo vuole, e lui si rimette la divisa nera, pagandone le consequenze. La satira, dunque, non è solo sul Fascismo, ma anche sul trasformismo da sempre in voga nel nostro Paese e sul clima politico e sociale degli anni immediatamente seguenti la fine del regime” (B. Jacovitti, Eia Eia baccalà. La guerra è finita!, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, Viterbo, 2010, p. 29).
Molto azzeccato è anche il commento su Battista l’ingenuo fascista dello “jacovittologo” Gianni Brunoro, contenuto nella Postfazione allo stesso volume: “Le vicende tragicomiche del nostro Battista sono una chiara parafrasi dell’incertezza dell’uomo della strada emergente da almeno vent’anni di ferreo dirigismo. Durante i quali ha del tutto disimparato a pensare con la propria testa, e prima di riuscire a camminare con le proprie gambe deve provare di tutto, ma proprio di tutto. In questo senso, allora, la parabola diventa un atto d’accusa contro le dittature di tutti i tipi e di ogni colore” (B. Jacovitti, Eia Eia baccalà. La guerra è finita!, cit. p. 173).
Nel testo di presentazione alle immagini contenute in Eia Eia Baccalà, si ricorda poi che, in occasione delle elezioni italiane del 1948, i Comitati civici di Luigi Gedda, che sostengono la campagna elettorale della Democrazia Cristiana, “arruolano” nelle loro fila anche Benito Jacovitti. In questa occasione, Jac realizza alcuni manifesti elettorali della DC più sobri rispetto a quelli di altri autori, ma che si segnalano, comunque, per l’immediatezza del loro messaggio politico.
Nel volume edito da Stampa Alternativa sono presenti anche delle vignette di satira politica pubblicate da Jacovitti sul giornale umoristico “Il Travaso delle idee” nel 1947-48, della serie “I due compagni”, inaugurata in precedenza da Federico Fellini.
Nel 2012, Stampa Alternativa pubblica anche un nuovo albo di “panoramiche” jacovittesche, il già citato Jacovitti di qua e di là. Si tratta di “panoramiche” verticali, dopo che un’antologia di “panoramiche” orizzontali, ancora più grandi, sono già apparse nel precedente volume della stessa Casa Editrice, edito nel 2010 con il titolo Jacorama. Il mondo surreale di un genio della comicità. Anche Nicola Pesce Editore ha stampato un bel libro cartonato di “panoramiche” e vignette, Jacovitti, Beppe & Co. (Nicola Pesce Editore, Roma 2010), con una illuminante prefazione di Gianni Brunoro.
Le “panoramiche” pubblicate in Jacovitti di qua e di là sono i paginoni a colori de “Il Giorno” (1958-1985), della “Domenica del Corriere” (1968-1970), de “La Tribuna” (1959), de “Il Giorno dei Ragazzi” (1967), de “Il Giornale d’Italia” (1975-1980), ecc., che Jacovitti illustra con decine e decine di personaggi. Ogni tavola descrive un tema generale: il Natale, la Pasqua, le vacanze, le scampagnate, ecc., mettendo in scena un insieme sterminato di personaggi che si scambiano battute assurde e fulminanti, in un’unica “vignettona”, zeppa fino all’inverosimile. Fra l’altro, Jacovitti di qua e di là comprende anche due manifesti cinematografici realizzati da Jac per i film Il mafioso (1962) di Alberto Lattuada, con Alberto Sordi, e La marcia su Roma (1962) di Dino Risi, con Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi.
Il collezionista ed esperto di fumetti Franco Bellacci descrive così la tecnica usata da Jacovitti per le sue “panoramiche”: “Anziché disegnare vignette sparse qua e là sul foglio, per poi riempirlo negli spazi rimasti vuoti, Jacovitti inizia dall’angolo inferiore destro e fa procedere la moltitudine dei suoi disegni a sinistra e verso l’alto, in un’inarrestabile marcia di… occupazione destinata a mangiare e inglobare ogni centimetro quadrato del suo percorso cartaceo. È, questa, un’autentica ‘voglia di disegnare’, un voluttuoso piacere di ‘sporcare’ il bianco, paragonabile a quell’istintivo (e deprecabile) desiderio di riempire, con scritte e segni, i muri degli edifici cittadini, magari da poco riverniciati. D’altra parte, è proprio la sterminata produzione jacovittesca a testimoniare questa insaziabile fame di disegno, che trova appagamento solo ‘mangiando’ il bianco del foglio e riempiendolo fino alla sazietà e oltre” (F. Bellacci, Non solo storie. Le altre facce di Jacovitti, in F. Bellacci, L. Boschi, L. Gori, A. Sani, Jacovitti. Sessant’anni di surrealismo a fumetti, cit., p. 292).
Anche il giornalista Luca Raffaelli dice la sua su questo particolare genere di pubblicazione jacovittesca: “Dunque, le panoramiche sono la passione di Jac per sua stessa ammissione. Provo a tentare di capirne i motivi. Primo: perché è la sfida più grande per un autore. Secondo: perché è il lavoro che più ha permesso a Jac di calarsi nel suo mondo senza dover riemergere nella realtà. Terzo: perché nelle panoramiche Jac riesce (a meno di casi particolari) a non dare punti di riferimento al lettore: non gli dice da che parte iniziare, dove deve andare, quale sia il percorso da seguire. Esattamente quello che vuole fare da un punto di vista ideologico, anzi, anti-ideologico: non vuole suggerire al lettore cosa pensare e da che parte stare. C’è non tanto il rifiuto delle ideologie, ma quello della realtà, delle sue regole e consuetudini. Poiché lui, Jac, l’autore, sta da un’altra parte, dove sta proprio bene. E così eccolo invitare il lettore a venire con lui, a condividere l’esperienza. A stare sopra le nuvole, dove la realtà non si vive, ma la si guarda, e sembra così strana e divertente da poterla mettere sottosopra, da tradurla in surrealismo (la parola in sé intende proprio qualcosa che sta sopra la realtà)” (L. Raffaelli, Qualche metro sopra la terra, in Jacovitti di qua e di là, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, Viterbo 2012, p. 4).
Nelle panoramiche, per suscitare il riso, Jacovitti sfrutta spesso i giochi di parole e i cosiddetti termini “equivoci”, cioè quei nomi che significano cose totalmente diverse a seconda dei contesti nei quali vengono utilizzati. L’esempio classico di termine equivoco è il vocabolo “orsa”, che può significare l’animale ma anche molte altre cose, come, per esempio, l’omonima costellazione. La visualizzazione dei giochi di parole genera, nella tavole jacovittesche, un effetto di surrealismo demenziale. Si guardi, per esempio, la vignetta (un po’ “cattivella”) a p. 12 nel volume Jacovitti di qua e di là, raffigurante tre cacciatori che tengono al guinzaglio, anziché dei cani da caccia, una vecchietta con il cornetto acustico. Per apprezzare l’assurdità umoristica della scena (che utilizza, in questo caso, un’analogia e un termine equivoco), bisogna leggere la didascalia sottostante, che recita: Battute di caccia (lotta ai rumori): invece della “muta”, la “sorda”!
Immagini di Jacovitti tratte dal volume di B. Jacovitti, Eia Eia baccalà. La guerra è finita!, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, Viterbo 2010.
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