[ Jul e Charles Pépin, Il pianeta dei saggi. Enciclopedia mondiale dei filosofi e delle filosofie, trad. it. di Tommaso Gurrieri, Edizioni Clichy, Firenze 2013 ]
Il pianeta dei saggi dei francesi Jul (illustratore) e Charles Pépin (filosofo e scrittore) è un’enciclopedia a fumetti che presenta i più grandi filosofi di tutti i tempi (e luoghi). I due autori riescono nell’impresa di condensare in poco più di cento pagine tutta la storia della filosofia, senza perderci in acume.
La difficoltà nel recensire questo libro è comprendere se esso sia o meno accessibile in qualche forma a coloro che sono digiuni o immemori di filosofia. A ben riflettere però questo è il primo punto a favore di questo libello e cioè il suo effetto per tutti disorientante, spaesante dall’inizio alla fine. Il connubio stesso fra vignette la cui ironia è manifesta e la parte invece più esplicativa sottintende un nesso la cui logica sovverte l’aspettativa impedendo il formarsi di un’abitudine che invoglia così alla scoperta.
A produrre un tale effetto contribuisce anche il fatto che i due approcci, quello vignettistico figurativo e quello più propriamente filosofico e discorsivo, procedono in qualche modo in maniera autonoma; talvolta complementari e consonanti, altre in apparente disaccordo, come nel commento a Nietzsche in cui il filosofo dichiara esplicitamente il suo dissenso rispetto al contenuto della vignetta.
Ciò che li percorre entrambi però è una tonalità ironica, autoironica (essendo uno dei due autori un filosofo) e canzonatoria che ha l’evidente intento di trattare con un po’ di leggerezza una materia spesso presentata in maniera troppo seria. Potremmo considerare la pagina dedicata a Jankélévitch, il cui libro, dal titolo L’ironia, costituisce una sorta di manifesto per i due autori: dell’ironia infatti si dice che essa «punta sull’intelligenza dell’altro», si afferma che «l’ironia vuole creare un terreno comune»; con le parole di Jankélévitch l’ironia viene definita il «sorriso dello spirito», qualcosa che «tende la fune a colui che fa smarrire».
Talvolta però i toni sono sarcastici, come sottolinea, ad esempio, il carattere corsivo con cui, trattando Cartesio, l’autore sottolinea: «il mondo dell’azione obbedisce ad altre regole (rispetto a quelle del mondo delle verità metafisiche): dobbiamo agire nel dubbio, aspettando un’ipotetica illuminazione».
Aspetto non inessenziale è la scelta, tutt’altro che facile, di cogliere alcuni aspetti o nuclei di pensiero del filosofo in questione attraverso cenni biografici, come nel caso di Montaigne di cui è sottolineata l’amicizia con La Boètie, ironicamente definita come l’unico assoluto conosciuto dal filosofo, in contrapposizione al suo relativismo.
Il senso di questa commistione tra filosofia e autobiografia emerge chiaramente con Kierkegaard, quando lo scrittore invita, in modo provocatorio e dopo aver disegnato con veloci tratti alcune delle esperienze del filosofo, a riflettere su una frase di Bergson: «Ho sempre chiesto che non ci si occupasse della mia vita […]. Ho sempre sostenuto che la vita di un filosofo non getta alcuna luce sulla sua dottrina». In netta antitesi alla considerazione bergsoniana, l’autore presenta invece i filosofi attraverso aneddoti della loro vita. Con quale scopo? smascherarli? lacerare il velo che avvolge la filosofia cristallizzandola in formule morte? indurre a cercare la verità oltre la verità?
Alcune sintesi sono davvero geniali, nei toni, nel ritmo, nell’efficacia della spiegazione la cui brevità fulminea, illuminata, riesce comunque a cogliere e dispiegare l’essenziale in maniera anche originale. Mi riferisco ad esempio alla pagina dedicata a Leibniz, ritratto come un surfista in attesa dell’onda. Concetto, quello dell’onda, spesso trascurato dai manuali scolastici, quantomeno italiani, ma che probabilmente in Francia, grazie alla rilettura che Deleuze ha dato dell’opera leibniziana, ha ricevuto maggiore attenzione.
L’operazione di smascheramento e di deideologizzazione di alcuni filosofi intende colpire e denunciare quello scollamento fra teoria e prassi che per troppo tempo ha tenuto lontana la filosofia dalla vita. L’influsso della filosofia francese esistenzialista emerge forse nel riconoscere e rivendicare una presa in cura, una responsabilità che ha ogni dire nei confronti del mondo, della società.
«Sapete cos’è la classe in un filosofo? È la coerenza. È vivere come si pensa»: così, con questa sentenza, ha inizio la pagina dedicata a Simone Weil. Questa è l’altra dichiarazione della poetica dei due autori. Così anche la filosofia heideggeriana viene ridefinita e interpretata attraverso la vita e le scelte etico politiche del suo autore. Eccessivo? Come si domanda anche Pèpin osservando la vignetta; o eccessiva è stata forse la ridondanza di un pensiero che non ha prodotto nessuna forma di resistenza? Proprio questo conclude l’autore, dopo aver citato alcuni episodi della vita del filosofo in cui la connivenza con il nazismo risulta piuttosto evidente e imbarazzante. L’operazione ha comunque lo scopo di provocare e di certo non di esaurire concettualmente il pensiero di Heidegger.
Ma può sussistere e persistere un pensiero disincarnato?
Dissacrante… ma ne abbiamo bisogno? E chi ne ha bisogno, in un oggi in cui i confini del sacro non hanno più una dimora se non nelle menti e nella scrittura di alcuni dotti accademici? Allora questo libro è per loro, come sembrerebbe indicare anche l’inserzione all’interno dell’Enciclopedia di una pagina piuttosto critica dedicata all’ École Normale Supérieure, in cui Pépin, dopo aver delineato con un po’ di cinismo, dal chiaro retroterra autobiografico, il profilo del giovane studente di filosofia, denuncia quasi astioso la divaricazione esistente fra una filosofia che parla di esistenza, slancio vitale e di filosofia della vita, nel momento in cui ruba la vita rendendo il giovane apprendista filosofo un disadattato.
Infine Pépin chiosa lapidario con le parole di Zarathustra: «Vi amo, perché non sapete vivere nell’oggi».
Da leggere, rileggere, meditare e perché no, tutto da rigiocare. Dedicato ai filosofi.