[ 9 marzo 2009, aula di estetica, liceo “Carducci” ]
Witz, wit vengono tradotti in italiano con motto di spirito, battuta, barzelletta, arguzia, indicano la capacità dell’intelligenza di saltare i passaggi, di utilizzare le ambiguità semantiche del linguaggio, di avviare un corto circuito del pensiero, come si esprime Freud nel saggio sul motto di spirito. In francese è l’esprit, vicino semanticamente all’italiano spiritoso. Franzini ne individua l’elaborazione teorica più compiuta e la fonte stessa di alcune creazioni letterarie nel periodo che va dal Barocco ai Lumi.
Locke intende wit come la capacità di connettere le idee, di creare le idee complesse, compito affidato all’immaginazione che lo fa saltando, appunto, dei passaggi. Anche Kant connette l’immaginazione produttiva con il Witz, assegnadogli un valore conoscitivo.
Un altro tentativo di esprimere il senso del wit è il “non so che”, la capacità cioè di cogliere il “non so che” che è nelle cose e nel soggetto, che indica qualcosa di insolito, bello, interessante, che ha a che fare con la grazia, la χάρις. Nella riflessione della filosofia moderna il wit, come sorpresa e meraviglia, si contrappone alla noia, identificata da Pascal con il male ontologico; consiste nel vedere nelle cose legami che a prima vista non appaiono, in un conatus che mai si appaga (Spinoza), diventa insomma uno stile di pensiero.
Il relatore sottolinea l’importanza della voce Gusto dell’Encyclopedie, redatta da Montesquieu e poi completata da Voltaire e D’Alembert. In questo testo lo spirito associativo del wit permette di cogliere nelle cose un senso che non si lascia trasferire su un piano analitico. Questo piacere di cogliere le segrete armonie delle cose viene collegato dal professore alla teoria leibniziana della petit perception, della percezione confusa.
Questo piano del discorso permette di cogliere connessioni tra il pensiero filosofico di Locke, Hume e Leibniz e l’elogio della variazione nell’opera di Sterne che conclude il Tristram Shandy con le “balle” e “i cavallucci di legno” che sostituiscono il senso del mondo in questo romanzo di continue variazione sul tema. E variazione della variazione è il romanzo di Diderot, Jacques il fatalista.
Il termine agudeza (Gracián) viene tradotto dal Tesauro con argutezza. Anche in questo caso il termine retorico assume un significato più ampio: significa acutezza, sottigliezza, capacità di creare corrispondenze, associazioni, di ritrovare nelle cose una bellezza attraversata dal caso, dalla grazia, la cintura di Venere che crea le pieghe casuali della sua veste (Schiller). E la grazia viene identificata con la bellezza intesa come arguzia.
In questa prospettiva il wit diventa creazione letteraria e a questo proposito Franzini cita Il libro del riso e dell’oblio di Kundera come riflessione importante sul wit come elemento che interrompe l’azione, che si svolge in percorsi labirintici e che il concetto non riesce a cogliere nelle sue svolte improvvise. Questo approccio mette in rilievo il fatto che le ragioni sono infinite, spesso segrete, e in esse le cause si rivelano piuttosto elementi casuali. Il romanzo diventa un viaggio sentimentale in un soggetto anticartesiano, nel cuore della natura umana, trasforma la ragione che deve tener conto del sentimento, investe l’ambito della qualità che è irriducibile a numero. Si tratta di una variazione continua che mette in dubbio quel che si vuole far credere e fa emergere il motivo critico (Kant, Antropologia pragmatica), come testimonia anche la letteratura libertina dell’Inferno della biblioteca parigina.
Franzini sostiene che questa centralità del wit, del Witz e dell’agudeza nella letteratura e nella filosofia dal Barocco all’Illuminismo, centralità anche nel senso di origine e fonte della creazione letteraria, scompare con il Romanticismo, in Sade, Solger e Hegel («il Witz è poco serio»). L’umorismo è sostituito dall’ironia romantica, atteggiamento tragico che si allontana dal flusso della vita, crea distanza dall’oggetto e dal soggetto stesso. Anche la teoria di Jean Paul Richter viene considerata psicologica, anzi psicologistica. I riferimenti successivi a questo tema rimangono laterali, isolati, certo presenti (si pensi al “rider alto” di Leopardi, all’umorismo di Manzoni), ma non fondamento della creazione poetica. Sarà Bergson a recuperare, con il suo importante saggio sul riso, l’elemento barocco.
La discussione sulla relazione di Franzini solleva un’altra serie di suggestioni e di problemi che vanno dal rapporto della metafora con il Witz al chiarimento del passaggio del wit da figura retorica a figura del pensiero in Locke, Leibniz e Baumgarten, dalla sottolineatura della perdita del carattere antropologico del concetto di comico nella letteratura contemponea all’esigenza di chiarire il rapporto con la barzelletta e il non-sense. Franzini conclude con un abbozzo di una teoria fenomenologica del wit per la quale ritiene imprescindibile un approccio storico e il richiamo alle facoltà inferiori, al basso (Bachtin) in un percorso che attraversa l’antropologia, l’epistemologia e la letteratura.