[ 16 aprile 2009, aula di estetica, liceo “Carducci” ]
La relazione teorica della regista Paola Manfredi sul “corpo comico” ha preso avvio dalla definizione del carattere specifico della rappresentazione teatrale che rende visibile un corpo immaginato e dalla descrizione della pratica di laboratorio con gli studenti come “palestra dell’immaginario”. In questo tipo di lavoro si tratta spesso di destrutturare, di insegnare a disimparare e smontare i modi abituali del muoversi, a scomporre il movimento per ricreare una tensione che si può realizzare tra alto e basso e prende come centro della figura il tronco del corpo. Il corpo si muove allora in uno spazio pieno, e risveglia le tracce della memoria che vi sono depositate e che si manifestano nelle reazioni immediate. L’espressione usata dalla regista è “scoprire la propria musica”.
Nel caso del corpo comico si tratta di costruire una propria maschera, quella maschera che in genere l’attore porta con sé in più personaggi (un esempio: Totò). Il carattere specifico del comico consiste allora nel cogliere un aspetto della maschera, isolarlo, sottolinearlo, esagerarlo e renderlo una smorfia, mantenendosi su un piano di simpatia (il comico non ha a che vedere con l’orrore o lo spavento).
La regista presenta poi alcuni filmati di esperienze teatrali. Tra le altre è sembrata particolarmente interessante la rappresentazione di un episodio della storia della resistenza in un piccolo paese della Brianza, costruito sull’intreccio dei racconti dei sopravissuti.
L’attore Giorgio Branca propone poi l’interpretazione di un pezzo de La moscheta di Ruzante e presenta alcune maschere della commedia dell’arte (lo Zani, il soldato, il dottore) che prova sul viso e interpreta con il corpo.
Il laboratorio si conclude con un lavoro pratico che coinvolge tutti i presenti in esercizi di scomposizione del corpo, nel gioco dello specchio a coppie e nella figura del mostro nella quale il gesto mimato diventa smorfia mostruosa.