[ Jacques Le Goff, I riti, il tempo, il riso. Cinque saggi di storia medievale, trad. it. di Amedeo De Vincentiis, Laterza, Roma-Bari 2001 (Ridere nel Medioevo; Il riso nelle regole monastiche dell’alto Medioevo) ]
Gli uomini che ricercano cause metafisiche del riso non sono gioiosi
Voltaire
Nel momento di iniziare una ricerca sul riso assale un timore: qualsiasi spiegazione del risibile uccide il riso e la morte del riso è preoccupante perchè il riso è fonte di piacere, ma i due saggi sul riso di Jacques Le Goff, contenuti in questo testo, rimangono un punto di riferimento, anche se ad esso sono seguiti altri studi e ormai esiste una bibliografia molto vasta sul tema (segnalo ad esempio gli studi della storica americana Barbara Rosenheim sulla storia delle emozioni).
Innanzitutto, a detta dell’autore, è bene che lo studio sia costruito su due versanti: quello delle attitudini nei confronti del riso e quello delle manifestazioni del riso stesso, distinzione fondamentale per approcci, metodi, problematiche e documentazioni che ne conseguono.
Teoria e pratica del riso si direbbe, ma non solo.
Il riso è un fenomeno culturale, varia a seconda delle società e delle epoche – attitudini, pratiche, forme del riso non sono sempre le stesse – e il riso è un fenomeno sociale, richiede come minimo due o tre personaggi reali o supposti: colui che fa ridere, colui che ride, colui/coloro di cui si ride – e, in quanto comportamento sociale, presuppone codici, riti, attori e … un teatro. Costumi ed estetica appunto.
La cultura del riso (Lachkultur) propria del Rinascimento contra il medioevo dominato dalla tristezza: riso e antiriso nel tentativo di una liberazione del riso sullo sfondo del combattimento tra Carnevale e Quaresima.
“Gesù ha mai riso una volta durante la sua vita?” Tale tema che può sembrare aneddotico ha funzionato durante il medioevo; questo topos, a detta dell’autore, lo ritroviamo nei sermoni, nella letteratura omiletica e non è rimasto relegato agli ambienti monastici ma è stato vivacemente dibattuto nelle università. Alla Sorbona nel XIII secolo frequenti erano i quodlibet, discussioni su un tema a scelta: una sorta di conferenza aperta al grande pubblico.
Specularmente nel medioevo circola un altro topos, di ascendenza aristotelica, che il riso è proprio dell’uomo, un gioco di parole, homo risibilis nella traduzione latina cristiana medioevale. Chiaramente non si tratta dell’uomo ridicolo o risibile, ma dell’uomo provvisto di riso, dell’uomo la cui caratteristica fondamentale è il riso. Di qui l’ortodossia e il controllo del riso: i modi leciti e quelli illeciti; nelle pratiche di cui si era impadronita la Scolastica: il riso buono e il riso cattivo, a detta di Tommaso d’Aquino e Alberto Magno.
Già la Regola del Maestro, anteriore a quella di San Benedetto, abbozza una psicologia cristiana del riso: essendo il corpo filtro tra l’interno e l’esterno, occorre “il lucchetto della bocca” o “la barriera dei denti” per impedire la deriva. Il riso è un fenomeno che si esprime nel corpo e attraverso il corpo, è il modo più osceno di rompere il silenzio nella taciturnitas monastica: rottura violenta se il riso è contrario all’umiltà.
Nel quadro della corte il riso è strumento di potere e di governo: Enrico II d’Inghilterra è rex facetus, San Luigi, il re che non rideva di venerdì. C’è un tempo per ridere, un tempo per piangere.
A partire dall’ VIII secolo si parla di risus monasticus e joca monacorum, scherzi da monaci, scherzi da prete, da Armeni, da Ebrei; gab è invece lo scherzo feudale tra uomini lontano dalle stanze delle donne. Nella letteratura risalta l’episodio del bambino che ride al momento in cui lo vogliono uccidere o della pulzella che non aveva riso da sei anni nel Perceval di Chretien de Troyes, come un sogno: repressione e soffocamento.
Anche sul versante del linguaggio e della semantica il saggio di Le Goff è illuminante. La Bibbia rimane il Libro. L’ebraico possiede due parole ben distinte: una è sâkhaq il riso gioioso, scatenato, l’altro è lâag, il riso che si prende gioco, denigrante.
Isacco è il riso, nel pensiero giudaico, nel Talmud e nei commentari rabbinici. Il capitolo del Genesi, l’annuncio della sua nascita, è un piccolo giallo di comicità. Dio compare ad Abramo: “Sai, diventerai padre” – “Ma ho cento anni e Sara novanta”. Dio appare a Sara: “Diventerai madre”. Sara si mette a ridere apertamente. L’anno seguente, l’avvenimento si realizza, Sara e Abramo hanno un bambino, che viena chiamato Riso, Isacco. Sara confusa dice di non aver riso. “Però lo sai, avevi proprio riso” dice alla fine Dio.
Anche il greco possiede due parole dalla stessa radice: gelân e katagelân; la prima indica il riso naturale, la seconda quello cattivo.
Il latino invece ha solo risus. La scolastica del XIII secolo riprenderà la distinzione tra due tipi di riso, dandogli un nuovo contenuto, ereditato da Aristotele, cioè che il ridere è proprio dell’uomo. L’homo lugens lascia a volte apparire il suo volto ilare di homo risibilis, uomo capace, a differenza degli animali, di ridere.