[ Michel Pastoureau, I colori dei nostri ricordi. Diario cromatico lungo più di mezzo secolo, Ed. Ponte alle Grazie, Milano 2011 ]
Lo storico Michel Pastoureau, nato a Parigi nel 1947, dirige al 1982 l’École pratique des hautes etudes, dove è titolare della cattedra di Storia del simbolismo in Occidente. Fra le sue opere tradotte in Italia ricordiamo: La stoffa del diavolo. Una storia delle righe e dei tessuti rigati, edizioni Il melangolo, 1993; Blu. Storia di un colore, ed. Ponte alle Grazie, 2002; Medioevo simbolico, ed. Laterza, 2005; Nero. Storia di un colore, ed. Ponte alle Grazie, 2008; Animali celebri. Mito e realtà, ed. Giunti, 2010, Bestiari del Medioevo, ed. Einaudi, 2012 e Storie di pietra. Timpani e portali romanici, ed. Einaudi, 2014.
«In principio era il giallo. È davvero il mio primo ricordo? Forse no. Ma sicuramente il primo a colori» (p. 12): l’incipit introduce direttamente il lettore alla riflessione sul colore e sui colori dei ricordi. Nel saggio, scritto sotto forma di diario, Michel Pastoureau rievoca alcuni eventi che hanno caratterizzato la sua vita associando ogni momento a un colore o alla percezione di esso. I colori danno così ai ricordi, richiamati alla memoria, contorni vividi ed indelebili: nella rievocazione le immagini cromatiche conservano la loro essenza nostalgica e poetica. Il giallo del gilet, il blu marino del blazer, il colore dei biglietti della metropolitana, il nero delle maglie delle squadra di calcio della scuola, il rosso dell’auto, segnano i periodi della vita dell’autore con effetti e spunti comici e divertenti, come nel caso del «capriccio cromatico» a proposito del blazer che da adolescente deve indossare a forza o della bicicletta gialla, di cui non sopporta il colore.
I colori infatti segnano la nostra vita e la condizionano, esaltano il significato di alcuni momenti al punto che, afferma l’autore, talvolta nel ricordo «la memoria ne precisa i contorni, ne irrobustisce le linee, e l’immaginazione si fa carico di colorarli con tinte che delle volte non avevano affatto» (p. 10) e «quando si tratta di colori, capita spesso che la memoria prenda la parte per il tutto» (p. 55).
Leggendo il racconto autobiografico il lettore si immedesima e sorride ricordando e condividendo alcune esperienze cromatiche che riflettono l’immaginario collettivo. L’autore spiega che il significato dei diversi colori ha assunto, nel corso della storia, connotazioni diverse e così la percezione del significato simbolico si è modificata con il cambiamento delle tradizioni culturali e sociali, evidenziando come anche la concezione etica presente nella società abbia attribuito al colore una vera e propria simbologia.
Attraverso un approccio storico-filosofico allo studio cromatico, Pastoureau ricostruisce la storia della mentalità e della società occidentale soffermandosi in particolare sugli ultimi cinquant’anni. I colori, pur rimanendo un’esperienza soggettiva, riflettono infatti un modo di sentire e di pensare collettivo, sono associati a miti e a simboli condivisi, che si riflettono nella quotidianità, dandole una dimensione poetica e simbolica.
Conferma di quanto affermato si può trovare nella repulsione o attrazione che si prova nei confronti dei colori e degli oggetti ad essi associati: il gatto nero, che è ancora oggi considerato da molti foriero di disgrazie, ma al tempo stesso il nero da colore del diavolo è associato anche all’umiltà e alla temperanza, il verde porta sfortuna, ma viene usato nelle scuole e negli ospedali per trasmettere tranquillità, il viola suscita spesso repulsione, è considerato un non colore dai bambini, simbolo del tradimento dagli adulti ed è definito eccentrico ed inquietante dalla maggior parte degli europei, che non indosserebbero un abito di quel colore, mentre dagli stilisti è considerato un colore creativo e carico di senso.
Ogni esperienza quotidiana è connessa ai colori: gli abiti, gli oggetti e gli stessi profumi e le sensazioni tattili in generale. Per evidenziare il valore del colore lo scrittore afferma, facendo propria l’affermazione di Yves Klein: «per me i colori sono esseri viventi […] i veri abitanti dello spazio» (p.109).
I ricordi cromatici sono lo spunto per introdurre con leggerezza e autoironia riflessioni profonde, che spaziano dalla filosofia all’arte, dalla fisica alla storia, alla sociologia, sempre supportate da documentazione storica, espressa con la precisione e puntualità senza per questo risultare pesante al lettore.
L’autore si interroga anche sulla relazione tra colore e linguaggio: «senza rendercene conto impieghiamo già molti termini per designare un oggetto la cui colorazione non ha alcun nesso con la parola pronunciata. Tutti i giorni diciamo vino bianco intendendo un vino che non ha assolutamente nulla di bianco» (p. 63).
Non è facile, se non impossibile, definire il colore: in molte famiglie linguistiche l’etimologia della parola che designa il colore attesta come questo sia stato pensato e percepito in primo luogo come materia, involucro che nasconde; in seguito è stato considerato come luce e non più come materia, più tardi le neuroscienze hanno accentuato l’importanza della percezione e sostenuto che il colore è anche una sensazione, ma esso è anche un fenomeno sociale. Il colore assume quindi valenze differenti a seconda della disciplina che lo analizza.
Pastoureau conclude il suo saggio richiamando la riflessione di Wittgenstein, tratta dalle Osservazioni sui colori: «”che cosa significano le parole ‘rosso’, ‘blu’, ‘nero’, ‘bianco’?” potremmo di certo indicare immediatamente certe cose che hanno quei colori, – ma la nostra capacità di spiegare i significati di queste parole non va più oltre!» (p. 227 ).