Christian Hölmann, poeta lirico ed esponente del Barocco tedesco, era conosciuto fino al 1969 solamente come C. H.: le sue poesie sono state pubblicate, accanto a quelle di C. G. B., nei volumi quarto e quinto della Neukirchische Sammlung, la più importante antologia della galante Zeit in Germania. È stato il critico Franz Heiduk, noto per il suo lavoro filologico su Hoffmannswaldau, a risolvere l’enigma delle inziali e a lui va attribuita l’intera ricerca storica sui due autori: Christian Hölmann e Christoph G. Burghart (cfr. Heiduk 1969). Heiduk ha ricostruito la biografia di Hölmann a partire dalla Leichenschrift, contenuta nell’archivio Forschungsstelle für Personalschriften dell’Università di Marburgo, l’ha pubblicata nel commento all’edizione critica e, in una versione abbreviata, in Killy (1989, vol. IV) e in NdB (1999, vol. XIX) e, oltre a ciò, sono reperibili tre brevi articoli (Dimter 1969, Capua 1972 e Lohmeier 1979). Al di fuori dell’edizione critica di Heiduk, Galante Gedichte von Christian Hölmann und Christoph G. Burghart, e della Neukirchische Sammlung non si conoscono altre poesie di Hölmann.
Christian Hölmann era medico, editore e poeta. Nasce il 28 dicembre 1677 a Breslavia e muore il 28 gennaio del 1744 nella sua città natale. Dei genitori non si sa nulla: nei registri della città gli Hölmann sono artigiani e servitori e non è da escludere che l’autore provenisse proprio da questo ceto sociale; lui stesso si definisce «stipendiaten» (Hölmann 1969, p. 112). Frequenta il Magdalenengymnasium di Breslavia dove ha come maestri Caspar Neumann e Christian Gryphius e tra i compagni di studio Christian Wolff. Grazie a un sussidio studia medicina a Wittenberg: non sappiamo su quale tema e con quale professore si sia laureato; sappiamo però che il direttore della scuola era Johannes Preisker che nel 1704 pubblica una Poetica universalis e che all’università di Wittenberg avevano studiato Michael Richey e Barthold Feind, due importanti lirici originari di Amburgo. Tra il 1699 e il 1704 Hölmann frequenta un gruppo di giovani poeti slesiani con i quali pubblica le poesie raccolte nella Neukirchische Sammlung.
Attorno al 1705 Hölmann apre uno studio medico a Breslavia e tre anni dopo si trasferisce a Fraustadt, Lissa e Schmiegel per curare i malati di peste; egli stesso però in una poesia si definisce «nicht tauglich», non adatto, al lavoro di medico (Hölmann 1969, p. 112). Sopravvive a due infezioni e i suoi resoconti, scritti per Kanold, un collega di Breslavia, lo rendono noto come specialista da Danzica a Vienna. Nella Fraustädter Chronik leggiamo che, dei sei chirurghi che operavano ai confini della Slesia, Hölmann fu l’unico a sopravvivere. Kanold pubblica lo scambio di lettere tra Hölmann e il medico Johann Georg Kulmus sulla cura dei malati di peste, un testo che ebbe molto successo in campo medico, tanto che l’imperatore Carlo VI chiamò Hölmann a Vienna nel 1714 per combattere l’epidemia che aveva colpito la capitale (per la peste in Slesia cfr. Lorinser 1837, pp. 437-461).
Nonostante Heiduk non accenni a un periodo padovano di Hölmann, Claudia Zonta, nella sua tesi di dottorato Schlesier an italienischen Universitäten der Frühen Neuzeit 1526-1740, compila una lista di studenti slesiani all’università di Padova, nella quale compare anche il nome di Christian Hölmann. L’immatricolazione risale al 29 ottobre del 1706 e la fine degli esami è datata 24 gennaio 1707. Questo spiegherebbe il vuoto tra il 1706, anno in cui Hölmann si trova a Breslavia, e il 1708, anno in cui lavora come medico della peste.
Accanto al lavoro di medico Hölmann si dedica all’attività di poeta e di editore pubblicando il quarto e il quinto volume della Neukirchische Sammlung, rispettivamente negli anni 1704 e 1705.
Muore a Breslavia all’età di 66 anni; la sua tomba si trova nella chiesa di Santa Maria Magdalena.
Il motivo del mio studio su Christian Hölmann è la metapoesia che porta il titolo Die Poesie, o meglio, il fraintendimento dei due versi (le poesie seguenti sono citate da Hölmann 1969; le traduzioni sono mie: non esistono altre traduzioni italiane):
Die Poesie
Es wird die gantze welt bald ein Parnassus seyn:
Denn aller orten pflegt es verse her zu schnein.
(p. 128)
[ La poesia
Tutto il mondo diventerà presto un Parnasso,
Poiché fioccano versi da ogni parte. ]
La mia prima lettura fu molto seria: inserendo Hölmann come da manuale nel filone dei galanti, mi sembrava ovvio che si parlasse di una nevicata di versi, lenta e leggera. Affascinante mi appariva la capacità metamorfica dei due versi che cambiarono per sempre il mio modo di vedere la neve e, forse, anche la poesia.
Si osservi il contrasto tra il tutto e le parti, tra l’intero e lo specifico, il Parnasso. Nell’immagine metaforica della neve risiede la bellezza visiva e acustica dei due versi. La scelta del verbo schnein, di questo specifico verbo e non di un altro – si sarebbe potuto scrivere anche ‘piovere’ invece che ‘fioccare’ -, è dovuta in primo luogo alla rima e in secondo luogo ai rimandi metaforici dell’immagine della neve. Bisogna ricordare che nel Barocco tedesco l’immagine della neve indica spesso il dolore e la sofferenza umana o viene utilizzata come termine di paragone per il seno femminile (cfr. le poesie Wintergesang di Simler e Die monate di Logau, Cysarz 1955, p. 62, p. 176). Hölmann associa invece la neve alla poesia. La neve cade lenta e leggera, copre il mondo, i colori e la realtà, estranea e modifica. Caducità e colore sono elementi comuni a poesia e neve, nonostante il bianco dell’una non sia il bianco dell’altra.
Solo dopo uno studio approfondito dell’opera di Hölmann mi venne il dubbio che si trattasse di una poesia ironica, forse addirittura sarcastica. Il confronto con Die bösen poeten ne fu uno dei motivi principali.
Die bösen poeten
An tichtern fehlt es nicht bey diesen bösen zeiten,
Es fehlt an denen nur, die vor die wahrheit streiten.
(p. 128)
[ I cattivi poeti
Di questi cattivi tempi non mancano certo poeti,
Ne mancano solo di quelli che lottano per la verità. ]
I cattivi poeti, gli incapaci, scrivono e scrivono, e così non fanno altro che rendere il mondo intero un Parnasso. La qualità positiva del poeta sembra quindi essere dettata dalla ricerca del vero, dalla sincerità e proprio questo elemento impedisce a questi due versi e a molti altri di essere fiocchi di neve.
D’altra parte si può certo affermare che Christian Hölmann, l’autore delle Galante und Verliebte Gedichte, si inserisce nella tradizione della poesia galante che fa capo a Hoffmannswaldau. Non mi soffermerò a lungo su questa vicinanza tematica e stilistica, in quanto chiara e già nota (al riguardo si confrontino Galante und Verliebte Arien e il commento di Heiduk, in Heiduk 1969). Va detto però che questa somiglianza si esprime nelle descrizioni di bellezza femminile che in Hölmann prendono il nome di Abbildungen. Abbildungen der Augen, la descrizione degli occhi, apre la raccolta, seguita da quella delle labbra e dei seni. Queste sono le poesie da iscriversi tra le più importanti e conosciute di Hölmann; sono poesie d’amore, descrizioni di bellezza femminile che si inseriscono perfettamente in quella tradizione lirica. Nella descrizione estetica e nella rigidità formale di queste poesie sopravvive la lezione di Hoffmannswaldau. Sarebbe non solo riduttivo, ma filologicamente sbagliato, liquidare Hölmann semplicemente come il poeta galante delle descrizioni di bellezza femminile. Il rapporto ironico e parodistico nei riguardi di Hoffmannswaldau e della tradizione galante si esemplifica nel confronto tra An eine liebenswürdige Schlesierin di Hölmann ed Er ist gehorsam di Hoffmannswaldau (Capua, Metzger 1975/1981, II, p. 13). Sono soprattutto i nomi famosi, citati a mo’ di lista, a creare un effetto ironico e strano (nel senso di komisch); ciò che in Hoffmannswaldau è formalmente e contenutisticamente galante lo è in Hölmann solo in apparenza, apparenza dietro alla quale si nascondono una sottile ironia e un tono parodistico. Un ulteriore confronto aiuta a comprendere il rapporto complesso di Hölmann nei confronti di Hoffmannswaldau: mentre il topos della caducità assume un accento solenne nella poesia di quest’ultimo, Vergänglichkeit der Schönheit (Capua, Metzger 1975/1981, I, p. 13), in Die gezwungene heyrath (Hölmann 1969, p. 57) sbiadisce diventando parodia.
Nelle Sinn-Gedichte e nelle Grab-Schriften il contrasto appare più evidente: ciò che distingue Hölmann dal maestro è la tendenza a rendere meno rigide le regole e la ricerca di leggerezza; lo si può notare nelle descrizioni degli occhi e delle labbra femminili: il maestro Hoffmannswaldau descrive la donna intera nella sua completezza, mentre Hölmann si concentra sui particolari. Non solo: questo articolo vorrebbe dimostrare, proprio grazie a una breve analisi delle Sinn-Gedichte e delle Grab-Schriften, che Hölmann non è solo l’autore galante proposto dalla letteratura critica, ma un poeta ironico, rude e sarcastico.
Heiduk sembra non aver colto questo aspetto quando afferma che nel quarto volume della Neukirchische Sammlung alcune arie anonime ricordano per tono e stile Hölmann senza però segnalarle perché gli parvero troppo «frech und frei», sfacciate e libere. Sfacciataggine e libertà in realtà non mancano nell’opera hölmaniana.
Per mettere in luce la presenza di leggerezza e asprezza in Hölmann appare utile la classificazione delle poesie nei seguenti temi: ‘quadri’, ‘donne’ e ‘medici’.
Il primo aspetto che distingue Hölmann da Hoffmannswaldau, ovvero la leggerezza, si trova nelle seguenti poesie che hanno come tema i quadri.
Dein ende stellt sich dir in einem bilde dar:
Die leinwand ist der zeug zum allerletzten kleide,
Der rähme schwartzes holtz ist ein todten-bahr,
Der schatten bleibt die welt, das licht die seelen-freude.
(p. 127)
[ La tua fine si rivela in un quadro;
La tela è il materiale dell’ultimo vestito,
La cornice di legno nero è una bara,
L’ombra rimane al mondo, la luce alla contentezza d’animo. ]
Il tema della caducità, tipico del Barocco, rivela invero una vicinanza, se non altro nella scelta tematica, a Hoffmannswaldau, ma in Hölmann assistiamo alla secolarizzazione e alla trivializzazione dei temi tradizionali. Il quadro non rimanda infatti a temi o significati religiosi e trascendenti, ma viene proposto in quanto oggetto nella sua materialità e non come immagine di qualcos’altro, ombra di una realtà religiosa.
La tendenza di Hölmann alla leggerezza si può osservare anche in Ein Bild.
Ein Bild
Das leben und ein bild, die nehmen leichte schaden,
Denn beyde hangen nur an einem dünnen faden.
(p. 127)
[ La vita e un quadro prendon qualche botta
Poichè entrambi sono appesi a un filo sottile. ]
I due alessandrini, nei quali la vita viene paragonata a un quadro appeso, spezzano la tradizione proprio utilizzando immagini e trattando temi tipicamente tradizionali, quale la caducità. È proprio la leggerezza della lingua a destare curiosità e non più paura e angoscia. A questo proposito si ricorda che il diletto del pubblico era uno dei principali scopi della lirica galante. Hölmann non sembra avere scopi morali, ma puramente estetici: libero e lontano dagli ammonimenti del memento mori. L’approccio nei confronti del tema tradizionale del quadro viene rovesciato e portato ad absurdum nel processo della trivializzazione.
Hölmann utilizza la metafora del quadro anche riguardo alle donne (cfr. Hölmann 1969, p.114 e p. 119), argomento che costituisce la seconda categoria tematica. In questo contesto alla leggerezza si sovrappone l’asprezza. Le donne compaiono nell’opera di Hölmann in diverse funzioni e con diverse sfumature: l’autore passa dai complimenti galanti al disprezzo ironico – in genere riservato alle vergini. I complimenti sono rivolti soprattutto a una figura di donna chiamata Clelia, amata e rispettata (cfr. Hölmann 1969, pp. 42, 43, 44, 102, 51-52, 53-54). Non a caso le poesie dedicate a Clelia si trovano, eccetto una (p.102), nelle rubriche Galante und verliebte Arien e Galante und verliebte Gedichte. La lingua è complessa e alta, i riferimenti colti, a differenza delle Sinn-Gedichte e Grab-schriften, nelle quali la lingua è semplice e il tono ironico e pungente.
Nella poesia Magdalena si può capire cosa s’intende con “disprezzo ironico”:
Magdalena
Der tugend wär’ es leicht, die wollust auszujäten,
Wenn unsre jungfern nur wie Magdalena thäten.
(p. 118)
[ Maddalena
La virtù di eliminar la voglia sarebbe semplice,
Se solo le nostre vergini facessero come Maddalena! ]
Si tratta della figura evangelica di Maria Maddalena. Tuttavvia non è del tutto chiaro a quale fase della sua vita si faccia riferimento. Si tratta di Maria Maddalena prostituta? o pentita? o forse di entrambe? La contrapposizione con le vergini e il confronto con altre poesie di Hölmann riguardanti la wollust e le vergini suggeriscono la prima ipotesi. Dal punto di vista filolgico il verbo ausjäten risulta interessante; proviene infatti dall’ambito botanico e in genere si adopera riferito alle erbacce. In italiano una parola che si avvicina potrebbe essere ‘strappare’. In questo contesto, riferito alla voglia sessuale, alla wollust, significa ‘togliere’, ‘liberare’.
Una grande differenza tra Hölmann e Hoffmannswaldau riguarda proprio il tema ‘donne’: Hölmann crea, con amore per dettagli individuali, figure femminili realistiche, con pregi e difetti, che agiscono in situazioni concrete, mentre le descrizioni femminili di Hoffmannswaldau si rifanno a un archetipo semiastratto di donna. Ciò si può osservare in An Flavien.
An Flavien
Ich habe dich mit fleiß den lilien verglichen,
Weil du dich ohne scheu von jedem läst berichen.
(p. 118)
[ A Flavia
Ti ho paragonata con zelo a un giglio,
Poichè tu ti fai annusare da tutti. ]
Il confronto tra Maddalena e Flavia dimostra la complessità del tema: da un lato la donna viene derisa per la lussuria, dall’altro per la castità. Nel caso di Flavia si tratta di una donna specifica presentata al lettore con un nome proprio, nel caso invece delle vergini, contrapposte a Maddalena, si parla di una categoria generale più o meno astratta di donne. Nella poesia An Flavien c’è una svolta tra il primo e il secondo verso: il giglio, simbolo della purezza, suggerisce l’idea di una donna casta, ma tale aspettativa viene delusa con la pointe del secondo verso. Berichen, annusare, può essere letto in due modi, entrambi metaforici: nel primo caso si potrebbe pensare che Flavia si faccia avvicinare da tutti, creando aspettative, per poi però tirarsi indietro; le poesie Magdalena e Die wollust rendono quest’ipotesi plausibile. Nel secondo caso si può interpretare il verbo ‘annusare’ in senso osceno, pensando quindi che Flavia abbia rapporti sessuali con tutti. Nelle altre poesie di Hölmann la voluttà non è mai criticata di per sé (cfr. la poesia An einen artzt, citata più avanti).
Una poesia simile per tema e stile a An Flavien è la poesia su Doris:
Die Doris, mit einem bienstocke verglichen
Doris ist ein bienenstock, da viel bienen offt gestecket;
Schade! daß die wollust hier längst den honig abgelecket.
(p. 122)
[ La Doris, paragonata a un alveare
Doris è un alveare, perchè punta spesso da molte api,
Peccato! che la voluttà già da tempo abbia leccato via tutto il miele! ]
L’ironia consiste nell’ambiguità del verbo gesteket, da leggere in senso sessuale.
L’ultima poesia del ciclo tematico delle donne èrivolta a un mugnaio:
An einen müller
Daß deiner Tochter auch dein Handwerk wohlgefällt,
schließ ich aus dem, weil sie sehr viel von Säcken hält.
(p. 118)
[ A un mugnaio
Che a tua figlia piaccia il tuo mestier s’intende
perchè apprezza molto i sacchi! ]
Il gioco di parole consiste nel carattere plurisemantico di Säcken, che significa ‘sacchi’, ma anche ‘testicoli’ e già in Hoffmannswaldau è documentato l’uso della parola in senso osceno (Grimm, vol. XIV, 1610).
L’immagine di un poeta galante dedito a complimenti dovrebbe lentamente sbiadire per lasciar posto all’autore pungente e ironico, ma per il sarcasmo bisogna affrontare l’ultimo ciclo tematico, quello riguardante i medici.
Un esempio in cui il sarcasmo è rivolto alla donna e al medico è il seguente:
An einen artzt
Du und dein weib curirt die krancken um die wette,
Sie, in dem ihrigen, du in dem fremden bette;
Doch hat sie ihr dadurch ein grösser lob erworben,
Weil ihr noch keiner ist, dir aber viel gestorben.
(p. 122)
[ A un medico
Tu e tua moglie curate a gara i malati,
Lei nel suo, tu nel letto altrui;
Ma lei si è meritata maggior lodi,
Perchè a lei ancor nessuno <è morto>, ma a te ne sono morti tanti. ]
La pointe è comprensibile, la lingua semplice e l’effetto ironico. Ciò si deve alla uneigentliche Rede, secondo cui kurieren, curare, assume nel caso della moglie un’accezione sessuale. La leggerezza e l’ironia, tipiche del discorso sulle donne, lasciano il posto, nel ciclo dei medici, a sarcasmo e ironia fredda, pungente e dura:
Der artzt
Es stellet mancher artzt die cur so glücklich an,
Daß sich der patient’ und erbe freuen kann.
(p. 126)
[ Il medico
La cura di qualche medico funziona così bene
che il paziente e l’erede se ne rallegrano. ]
In questo caso l’ironia è fredda e sfocia in sarcasmo; la pointe consiste nella uneigentliche Rede, che mette sullo stesso piano la contentezza dell’erede e del paziente.
Eines unerfahrenen artztes
Es wuchs durch meine kunst die grosse zahl der leichen,
Nun muß ich eintziger statt tausender erbleichen,
Denn künfftig hätt´ich noch viel hundert abgethan,
Wie schade! daß der tod nicht besser rechnen kann.
(p. 136)
[ A un medico inesperto
Crebbe grazie alla mia arte il grande numero dei cadaveri,
al posto di mille adesso io solo devo morire,
in effetti in futuro ne avrei ammazzati ancora cento,
che peccato! che la morte non sappia far meglio i conti. ]
Gli alessandrini rivelano un Hölmann sarcastico e mordace: non si tratta più di semplice ironia bonaria, ma di una critica severa verso i colleghi medici.
Auff die vielen ärtzte
Ihr schulen, helfft doch, dass nicht mehr viel ärtzte werden,
Der krieg nimmt ja vorher gnug menschen von der erden.
(p. 125)
[ Ai tanti medici
Voi scuole, aiutate, fate in modo che non si formino più così tanti medici,
la guerra toglie già abbastanza gente dalla terra. ]
Hölmann non condanna i medici in quanto tali, ma è la loro incompetenza ad essere messa alla berlina; troviamo lo stesso atteggiamento, anche se più blando, nei confronti dei giuristi:
Auff die vielen juristen
Im Himmel brauchen wir nur einen advocaten;
Wo werden künfftig denn die andern hingeraten?
(p. 125)
[ Ai tanti giuristi
In cielo abbiamo bisogno di un solo avvocato;
dove andranno a finire in futuro tutti gli altri? ]
Le poesie proposte, viste sotto questa luce, dovrebbero quindi ridimensionare il giudizio della critica che aveva considerato Christian Hölmann un tipico autore galante, tanto da non volergli attribuirei alcune arie anonime, considerate troppo «frech und frei», sfacciate e libere.
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