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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 01

 settembre 2010

Scuola/Non scuola

Luisa Bertolini

Può ridere il robot? Appunti per un percorso sul comico

Obiettivi di questo percorso didattico:

  • conoscere un aspetto relativamente inedito della riflessione filosofica: il tema del comico e dell’umorismo;
  • conoscere alcune prospettive della ricerca delle scienze cognitive;
  • lavorare sulle definizioni e rendere più preciso il linguaggio specifico;
  • riflettere sul tema proposto e sviluppare nuove strategie argomentative su un argomento spiazzante e difficile per gli stessi autori che lo hanno affrontato.

In questi appunti ho scelto delle brevi citazioni: dal punto di vista del metodo ritengo però opportuno presentare agli studenti testi di una certa lunghezza oppure chiedere la lettura di un libro intero (vedi bibliografia); si tratta quindi di costruire un’antologia sulla base della bibliografia in calce. La presentazione di molti autori ha lo scopo di fornire materiali per consentire ai docenti un’ampia scelta.

Il lavoro di analisi dei testi procede secondo i criteri elaborati nella tradizione di ricerca didattica de “La città dei filosofi”: comprensione letterale (anche del testo originale, laddove è possibile), individuazione dei concetti chiave, del percorso argomentativo, contestualizzazione teorica e storica. La discussione dovrà partire da una serie di domande “vere” (quelle domande che la didattica della filosofia definisce come domande alle quali non c’è risposta a priori del docente) e del dibattito può essere stilato un protocollo.

Per la verifica si possono utilizzare le citazioni non analizzate in classe raccogliendole nella composizione della traccia del saggio breve (che preferirei chiamare “resoconto” o altro).

Il percorso si rivolge alle classi quinte, ma per alcune parti può essere anticipato negli anni precedenti. La durata è di nove ore.

1. Definizioni e differenze

Il vocabolario del ridere: comico, umorismo, ironia, grottesco, satira, arguzia, wit e Witz, pun, ecc. Ricerche etimologiche e poetica.

2. Il riso degli antichi

Il riso della servetta tracia che si fa beffe di Talete accompagna gli esordi della filosofia e Luciano descrive Democrito come il filosofo che ride di fronte a un mondo senza senso che si esaurisce in una danza di atomi1. Ma la prima riflessione importante sulla natura di questo fenomeno la troviamo in Platone e in Aristotele.

Testo – Platone, Filebo, 50a

«Il nostro discorso ci conduce alla conclusione che quando noi ridiamo delle situazioni ridicole degli amici mescolando il piacere all’invidia mescoliamo piacere e dolore. Già molto prima di adesso infatti noi convenimmo che l’invidia è un dolore dell’anima ed ora abbiamo visto che il ridere invece è un piacere di questa e l’una e l’altra cosa avvengono insieme nel momento di quel nostro ridere».

Nel contesto dell’analisi platonica delle passioni il personaggio Socrate viene a parlare di coloro che non conoscono sé stessi e ne distingue tre tipi: coloro che credono di essere più ricchi di quello che sono, coloro che credono di avere migliori qualità fisiche di quelle che hanno e quelli che pensano di essere superiori a quanto sono per valore. Questa ignoranza di sé, terribile negli uomini forti e di potere, diventa nei deboli fonte del ridicolo. Noi proviamo allora nei confronti dell’amico che si rivela nella sua debolezza un misto di piacere e di dolore. L’invidia consisterebbe nel provar piacere per il male dell’amico, ma essa – sostiene Platone – è un dolore dell’anima.

Testo – Aristotele, Poetica, V, 1449a

«La commedia è, come dicevamo, imitazione di persone moralmente inferiori, tuttavia non secondo ogni vizio, ma [suo oggetto] è la parte ridicola del brutto. Il ridicolo (τὸ γελοῖον) è infatti una sorta di errore (ἁμάρτημα e una bruttezza senza sofferenza né tale da far danno, come, per un esempio di immediata evidenza, la maschera comica è qualcosa di brutto e di stravolto senza sofferenza» (trad. it. di Pierluigi Donini).

«La commedia è, come dissi, imitazione di persone più volgari dell’ordinario; non però volgari di qualsivoglia specie di bruttezza [o fisica o morale], bensì [di quella sola specie che è il ridicolo: perché] il ridicolo è una partizione speciale del brutto. Il ridicolo è qualche cosa come di sbagliato e di deforme, senza essere però cagione di dolore e di danno. Così, per esempio, tanto per non uscire dall’argomento che trattiamo, la maschera comica: la quale è qualche cosa di brutto e come di stravolto, ma senza dolore» (trad. it. di Manara Valgimigli).

Questo è il passo della Poetica che in genere viene citato nella storia delle teorie del riso e la definizione del comico come parte del brutto è piuttosto interessante perché ci permette di collocarlo all’interno dell’estetica. Ma in Aristotele possiamo trovare altri spunti di riflessione che riguardano in particolare il motto di spirito prendendo spunto dal testo di Guido Morpurgo-Tagliabue, Linguistica e stilistica in Aristotele2. Il critico spiega come Aristotele nei capitoli X e XI della Retorica, sia tornato a riflettere sul tema della metafora e, alle prese con la classificazione degli ἀστεῖα, abbia individuato, accanto alla metafora per analogia e alla metafora eidetica, un terzo gruppo di metafore: le metafore verbali, «un mero scambio di termini, un gioco di parole, che crea sensi e non sensi e provoca sorpresa»3. Questo gioco del linguaggio con sé stesso è, secondo Morpurgo-Tagliabue, all’origine di una complessa tradizione estetica che, facendo leva sul tema dell’ambiguità verbale, dell’arguzia e del wit, costituisce una corrente importante nelle poetiche della modernità.

Testo – Cicerone, De oratore, Libro II, capp. LIX

Cicerone dedica alcuni capitoli al tema del riso e introduce un’importante distinzione: vi sono, a suo dire, diversi tipi di ridicolo: «ve ne sono di due specie – scrive -: la prima risiede negli atti (re), la seconda nelle parole (dicto)». Esistono cioè facetiae de dicto e facetiae de re: le prime si basano sulla rappresentazione fonologica/fonetica dell’elemento umoristico, mentre le seconde sul contenuto semantico del testo. Le facetiae de dicto sono i giochi di parole puri nei quali si perde l’effetto comico se si cambiano le parole. Le facetiae de re sono invece quelle battute in cui l’elemento comico è l’argomento di cui si parla: se si modificano le parole, l’effetto comico permane.

3. Il ridere come passione

Tra le varie analisi delle passioni svolte in epoca moderna possiamo citare le tesi di Hobbes e di Kant.

Testo – Hobbes, De homine, cap. XII, § 7

«[…] generalmente, la passione di chi ride è l’improvvisa stima di sé che deriva dalla sconvenienza altrui. Di niente, infatti si ride, se non è improvviso; né le stesse persone ridono della stessa cosa o degli scherzi più volte. Non si ride inoltre, delle sconvenienze degli amici o dei consanguinei, giacché non sono degli altri. Gli elementi che muovono il riso sono, dunque, tre, congiunti insieme: la sconvenienza, il fatto che questa è degli altri, il fatto che questa è improvvisa.»

Secondo Hobbes dunque il riso scaturisce dalla consapevolezza della propria superiorità: non c’è spazio per ridere di sé.

Kant dedica al riso il paragrafo 54 della Critica della facoltà di giudizio: lo colloca accanto alla musica, ne dà una lettura sostanzialmente fisiologica e lo fa nascere dall’improvviso risolversi di un’aspettativa nel nulla. Alla fine del paragrafo accenna anche all’umorismo (Laune4) come talento a cogliere gli aspetti insoliti delle cose e allude al tema del rovesciamento.

Testo – Kant, Critica della facoltà di giudizio, § 54

Nelle trovate argute non conta tanto il giudizio «ma l’agevolata funzione vitale del corpo, l’affetto che muove i visceri e il diaframma, in una parola il sentimento della salute (che altrimenti, al di fuori di tali occasioni, non si può sentire), costituiscono il diletto che si prova nel poter giungere al corpo anche attraverso l’anima e usare di questa come medico di quello». «Bisogna che vi sia un qualche controsenso (in cui quindi l’intelletto come tale non può trovare un compiacimento) in tutto ciò che deve suscitare una risata viva e vibrante. Il riso è un affetto che nasce dalla conversione improvvisa in nulla di una tesa aspettativa».

4. Estetica del ridere

Jean Paul Richter definisce il comico come sublime rovesciato. Definizioni di ciò che fa ridere (Definitionen des Lächerlichen) è il titolo del paragrafo 26 della Vorschule der Aesthetik, nel quale l’autore afferma che ciò che fa ridere sfugge alla definizione dei filosofi, perché la sensazione che gli è peculiare assume tutte le forme possibili della deformazione, materia inesauribile corrispondente al numero delle linee curve. Ciò che fa ridere è un Proteo, il profeta eternamente sfuggente per via delle sue continue trasformazioni, «persino insidioso per chi ardisce di legarlo a una delle sue metamorfosi».

Testo – Jean Paul Richter, Sul ridicolo, Vorschule, VI Programma

«Il miglior modo di scrutare una sensazione è di interrogarla sul suo opposto. Qual è dunque il riflesso inverso del ridicolo? Né il tragico, né il sentimentale. […] In Omero, Milton, Klopstock la derisione, ossia l’indignazione morale, ben si accorda con la durata del sentimento sublime; ma il riso mai. In breve, il nemico giurato del sublime è il ridicolo; e un poema eroicomico è una contraddizione in termini e dovrebbe chiamarsi epos comico. Di conseguenza, il ridicolo è l’infinitamente piccolo»

La difficoltà della definizione e della catalogazione delle varie forme del comico non impedisce a Jean Paul di cogliere il carattere cognitivo dell’arguzia come arte del paragonare, capacità di accostare cose lontane, di trovare somiglianze che si celano dietro le dissomiglianze (l’arguzia è allora il «prete travestito che sposa tutte le coppie» e l’umorismo viene descritto con le immagini di Merope, l’uccello che sale in cielo dalla parte della coda, e del saltimbanco che danza sulla testa e beve il nettare dal basso verso l’alto).

Jean Paul è un autore molto citato, ma non molto conosciuto. Per questo tema è però un autore fondamentale e si possono scegliere alcune pagine dalla traduzione parziale della Vorschule di Eugenio Spedicato (vedi bibliografia).

5. Teorie del comico

Un altro momento importante della riflessione sul riso si colloca all’inizio del Novecento con i contributi di Bergson, Freud e Pirandello. Bergson riconduce il comico all’umano, alla sospensione dell’empatia e ne sottolinea il carattere interattivo e sociale; a suo parere il riso scaturisce dalla meccanizzazione della vita, dei comportamenti meccanici («Ridiamo tutte le volte che una persona ci dà l’impressione di una cosa»), monotoni che seguono pedissequamente una regola e non sanno cogliere la fluidità e la libertà autocreatrice della vita.

Testo – Bergson, Il riso (1900)

«Il comico esige dunque, per produrre tutto il suo effetto, qualcosa come un’anestesia del cuore. Esso si rivolge all’intelligenza pura. Però quest’intelligenza deve restare sempre in contatto con altre intelligenze. […] Non gusteremmo il comico se ci sentissimo isolati. Sembra che il riso abbia bisogno di un’eco.»

L’analisi compiuta da Freud del Witz, del comico e dell’umorismo è molto complessa e articolata. Ci limitiamo ad accennare all’analogia del meccanismo del motto di spirito con il processo onirico (condensazione, spostamento e figurazione indiretta) e alla tesi che il piacere che proviamo nell’arguzia derivi dal risparmio di un’energia psichica, dal blocco dell’irrompere di emozioni spiacevoli: il soggetto riesce cioè a esprimere contenuti inconsci, solitamente repressi, senza violare esplicitamente la censura del Super-Io e quindi senza aggredire l’interlocutore.

Freud ritiene poi che questa caratteristica sia estendibile al comico e all’umorismo.

Testo – Freud, Il motto di spirito (1905)

«Il piacere dell’arguzia ci è parso derivare dal dispendio inibitorio risparmiato, il piacere della comicità dal dispendio rappresentativo (o di investimento risparmiato) e il piacere dell’umorismo dal dispendio emotivo risparmiato.»

Infine la tesi di Pirandello che distingue con chiarezza tra comico e umorismo rifacendosi alla tradizione di studi dell’Ottocento tedesco (in particolare a Jean Paul e a Lipps): il comico viene inteso come «avvertimento del contrario», come pura intuizione di una contraddizione, mentre l’umorismo è inteso come «sentimento del contrario», riflessione che porta a un sentimento di identificazione e compassione nei confronti della persona di cui ci si prende gioco.

Testo – Pirandello, L’umorismo (1908)

«Un umorista dovrebbe dirsi solamente chi ha il sentimento del contrario, chi ha cioè una filosofica tolleranza spinta fino a tal segno da non sapere più da qual parte tenere.» «L’umorismo, sotto qualunque aspetto si voglia considerare, è sempre una forma di sentimentalismo, anzi – mi si passi l’immagine – è lo stesso sentimentalismo, che ride per una faccia, la faccia opposta piangendo; ride delle sue stesse lacrime, dei suoi sogni andati a vuoto o vani, dei suoi desideri sproporzionati alla possibilità del volere; ed è bene spesso un eccesso, che risponde a un altro eccesso»

Molto importante anche il lavoro di Lucie Olbrechts-Tyteca (1977) che propone un’analisi del comico che esclude il riso come unico criterio per definire l’umorismo. L’autrice sostiene che esistono modi diversi del ridere: la risata fisiologica scaturita ad esempio dall’uso d’allucinogeni; il riso nelle diverse culture; la risata non necessariamente proporzionata all’intensità dello stimolo; il sorriso, non sempre forma attenuata del riso; il sorriso e la risata simulati.

6. Umorismo computazionale

Gli studi attuali nell’ambito delle scienze cognitive e della linguistica hanno affrontato il tema del comico e dell’umorismo in una linea di ricerca che affronta il problema dell’analisi del linguaggio naturale. Il libro di Salvatore Attardo Linguistic Theories of Humor, pubblicato nel 1962, ha aperto la strada a questa prospettiva di ricerca su “AI and Computational Humor”. La prima parte di questo lavoro prende in considerazione la storia delle teorie dell’umorismo e le classifica in tre categorie: teorie dell’incongruità (ciò che inizialmente è interpretato in un senso improvvisamente viene percepito da un punto di vista diverso e la rottura dell‘aspettativa iniziale genera in questo modo un‘esperienza piacevole accompagnata da una risata: Kant), teorie dell’ostilità/denigrazione (aggressione, superiorità, derisione: Platone, Aristotele, ma soprattutto Hobbes) e teorie del rilassamento (sublimazione: Freud). Naturalmente le teorie del primo tipo sembrano più adatte a un approccio cognitivo e ad esse fanno in genere riferimento i teorici dell’IA che hanno bisogno di un approccio il più possibile oggettivo. Le ricerche in campo semantico hanno prodotto alcune teorie – come la Semantic Script Theory of Humour (SSTH), basata sulla codifica di script opposti, e la General Theory of Verbal Humour (GTVH), evoluzione della SSTH – che forniscono una complessa descrizione delle locuzioni comiche, limitando però l’ambito di indagine alle espressioni verbali e al presupposto che ogni parlante abbia una competenza umoristica per giudicare un testo comico (Raskin).

L’umorismo computazionale (computational humor) è diventato poi un ramo della linguistica computazionale e dell’IA che utilizza sistemi informatici per la ricerca sul comico. È un ambito relativamente recente: le prime ricerche sono degli anni Novanta e il primo convegno risale al 1996. Queste ricerche si basano sulla convinzione della possibilità di riconoscere l’elemento comico da parte di una macchina e cercano di elaborare un modello per la costruzione di frasi spiritose e giochi di parole. Il primo approccio consiste nella classificazione dei motti di spirito e si basa sulle ricerche condotte nell’ambito della linguistica e della semantica, il secondo passo consiste nell’elaborazione di un programma che genera battute sulla base delle regole che sottostanno alla classificazione.

In Italia gli studi su questo tema sono condotti da alcuni ricercatori dell’IRST di Trento (Carlo Strapparava, Alessandro Vallitutti e Oliviero Stock) e del dipartimento di linguistica dell’università di Bologna (Delia Chiaro, autrice del libro The Language of Jokes: analysing verbal play, Routledge, Londra 1992). Il progetto “HAHA-cronym”, sviluppato da Oliviero Stock e Carlo Strapparava, per la creazione di acronimi, ha mostrato di possedere delle vere e proprie capacità linguistiche, generando giochi di parole con sottili effetti umoristici. L’assunto dell’incongruità tra due distinti piani di una situazione e la veloce ricostruzione della coerenza produce il divertimento o la risata.

Testo – Oliviero Stock e Carlo Strapparava, Getting Serious about the Development of computational Humor:

«Here below some examples of acronym re-analysis are reported. As far as semantic field opposition is concerned we have slightly tuned the system towards the domains FOOD, RELIGION and SEX. We report the original acronym, the reanalysis. […] and some comments about the strategies followed by the system.

ACM – Association for Computing Machinery

→ Association for Confusing Machinery

FBI – Federal Bureau of Investigation

→ Fantastic Bureau of Intimidation

[…]

CRT – Cathodic Ray Tube

→ Catholic Ray Tube

ESA – European Space Agency

→ Epicurean Space Agency

PDA – Personal Digital Assistant

→ Penitential Demoniacal Assistant

→ Prenuptial Devotional Assistant

MIT – Massachusetts Institute of Technology

→ Mythical Institute of Theology

Some re-analyses are RELIGION oriented. Note the rhymes.»

Le ricerche nell’ambito dell’umorismo computazionale si sono estese anche ad altri campi: sono stati elaborati nuovi sistemi intelligenti nei settori dell’intrattenimento interattivo, dei videogiochi “educativi” o della pubblicità, della cura di bambini disabili.

http://cuorenellanebbia.splinder.com/post/21794240/computer-umorismo-standup

Il sito fornisce la descrizione di un programma creato per migliorare le abilità linguistiche dei bambini disabili: STANDUP (System To Augment Non-speakers’ Dialogue Using Puns). Si rivolge a bambini che vivono in contesti sociali isolati, hanno difficoltà nell’uso del linguaggio e non hanno occasione di praticare attività ludiche con i loro coetanei. L’uso di software generatori di umorismo costruiti appositamente per loro può arginare questo problema.

STANDUP costruisce nuovi giochi di parole a partire da schemi e da un database lessicale, funziona su due piani separati, uno frontale (l’interfaccia) e uno nascosto (il generatore di testi comici): l’interfaccia utente è costruito con tasti semplici e immagini adatte e il generatore di testi è basato su schemi che forniscono i rapporti fra le variabili (es: Trova elementi X, Y nel dizionario in modo che X sia un nome o un aggettivo, Y un nome, e X e Y abbiano gli stessi suoni); delle regole di descrizione, che riescono a trovare delle espressioni semanticamente equivalenti a quelle date; dei template, che determinano la forma testuale in cui gli elementi X, Y vanno inseriti; un dizionario, costituito da WordNet per il lessico e da Unisyn per la trascrizione fonetica delle parole.

Il programma è scaricabile dal sito.

Come conclusione possiamo senz’altro sottolineare l’importanza di questo ambito della ricerca non solo per le applicazioni pratiche, ma anche come approfondimento della conoscenza dei meccanismi del linguaggio dell’umorismo. Si dimostra forse così che la domanda iniziale è una domanda malposta. Ma lasciamo concludere agli studenti.

Bibliografia

Aristotele, Poetica, a cura di Pierluigi Donini (testo greco a fronte), Einaudi, Torino 2008, V, 1449a.

Attardo Salvatore, Linguistic Theories of Humor, Mouton de Gruyter, Berlin – New York 1994.

Bachtin Maichail, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, trad. it. di Mili Romano, Einaudi, Torino 1979.

Bergson Henri, Il riso. Saggio sul significato del comico, Introduzione di Fabio Ceccarelli, trad. it. di Franco Stella, Rizzoli, Milano 1991.

Cicerone Marco Tullio, Dell’oratore, Libro II, trad. it. a cura di Amedeo Pacitti, Zanichelli, Bologna 1990, capp. LIV-LXIX.

Freud Sigmund, Opere 1905-1908. Il motto di spirito e altri scritti, trad. it. di P. Segre, Boringhieri, Torino 1972.

Hobbes Thomas, L’uomo, in Elementi di filosofia, trad. it. di Antimo Negri, Utet, Torino 1972, cap. XII, § 7.

Kundera Milan, Il libro del riso e dell’oblio, trad. it. di Alessandra Mura, Bompiani, Milano 1980.

Luciano, Una vendita di vite all’incanto, trad. it di Luigi Settembrini, http://www.liberliber.it/biblioteca/l/lucianus/index.htm

Mauthner Fritz, La maledizione della parola, trad. it. a cura di Luisa Bertolini, Supplementa, Aesthetica, Palermo 2008 (disponibile in http://www.unipa.it/~estetica/download/Mauthner.pdf)

Olbrechts-Tyteca Lucie, Il comico del discorso. Un contributo alla teoria generale del comico e del riso, trad it. di Alessandra Serra, Feltrinelli, Milano 1977.

Pirandello Luigi, L’umorismo, Mondadori, Milano 1986.

Platone, Filebo, in Opere complete, vol. III, trad. it. di Attilio Zadro, Laterza, Bari 1984, 48c – 50 b (testo greco in http://gutenberg.org/ebooks/31436).

Richter Jean Paul, Il comico, l’umorismo e l’arguzia, trad. it. a cura di Eugenio Spedicato, Il Poligrafo, Padova 1994.

Schopenhauer Arthur, Il mondo come volontà e rappresentazione, Introduzione e trad. it. di Sossio Giametta (testo tedesco a fronte), Bompiani, Milano 2006, Libro I, § 13, Supplementi al Libro I, cap. VIII.

Vischer Theodor, Il Sublime e il Comico. Un contributo alla filosofia del bello, trad. it. a cura di Elena Tavani, Aesthetica, Palermo 2000.

Note

1 Cfr. Il filosofo che piange e il filosofo che ride. Immagini per Eraclito e Democrito, a cura di Paolo Spinicci, http://www.lettere.unimi.it/Spazio_Filosofico/imago.htm. Per il tema del riso dei filosofi vedi anche i due libretti dello studioso spagnolo Pedro Gonzáles Calero, Risosofia (Ponte alla grazie, Milano 2010) e Rido ergo sum (Ponte alla grazie, Milano 2008, traduzione dello spagnolo Filosofia para bufones, che raccoglie una serie di osservazioni spiritose, comiche e umoristiche dei filosofi.

2 Edizioni dell’ateneo, Roma 1967.

3 Ivi, p. 287.

4 Sulla storia del termine Humor in tedesco cfr. Lessing, Hamburgische Dramaturgie, saggio 93, dove corregge la sua proposta di tradurre la parola inglese humour con Laune.