Appunti di ricerca da “Carnival King of Europe”
È nato prima l’uovo, o la gallina? L’annosa questione, oggi decisamente risolta a favore dell’uovo dai progressi della genetica e dell’embriologia, può essere estesa per un’ulteriore verifica anche alla scienza del folklore, visto che nelle mascherate popolari di ordine carnevalesco e viciniori, si palesano entrambi, uovo e gallina, in una varietà molto ampia di circostanze. Comunissimo è infatti l’uovo come protagonista assoluto delle questue itineranti dell’epifania – le “pasquelle” umbro-marchigiane, romagnole o anche liguri – e di quelle affini di carnevale, avendo poi sconfinato nel calendario per assurgere in proprio quale importante simbolo beneaugurante della Pasqua cristiana. Ben se ne accorse D.H. Lawrence, a spasso per Volterra nell’aprile 1927, davanti a un ovetto di alabastro da cui veniva fatto uscire un pulcino color tuorlo, pure d’alabastro: un “simbolo della resurrezione”, da cui ricavò l’idea per il suo The escaped cock, lungo racconto crepuscolare su Gesù risorto, poi ripubblicato postumo (1931) con un nuovo titolo appostovi dall’editore, The man who had died, decisamente meno impattante per un occhio anglosassone.
Meno comune dell’uovo, ma sempre ben presente nella tradizione popolare, è la gallina, che troviamo rappresentata nelle mascherate in varie località del continente europeo, e che compare occasionalmente qua e là, all’interno di un piccolissimo bestiario di animali carnevaleschi, lo stesso che comprende l’orso, la capra, qualche altro quadrupede più o meno indocile, eventualmente la cicogna (in Polonia), e pochissimi altri: per esempio la volpe, che della gallina è il doppio speculare perfetto, essendone il predatore di riferimento. Ecco così che nella val dei Mòcheni il componente spaiato del terzetto carnevalesco del Bètschato, il “giorno dei vecchi”, viene definito l’“Oiertröger”, il “cercauova”, e reca in cima alla sua vecchia cràizera da ambulante, dove vengono riposte le uova della questua, una volpe imbalsamata, tutt’uno con il personaggio luciferino che la porta con sé. Una sorta di ossimoro tassidermizzato, quello di volpe/uova, che ritroviamo anche altrove: per esempio sulla feluca degli Zottler blu del Tirolo enipontano, dove osserviamo lo stesso curioso connubio, perfettamente analogo, di una lunga pelle di volpe abbinata a una mezzaluna di penne di pavone: anche qui, un’unione simbolica e piuttosto misteriosa di predatore e predato, selvatico e domestico, sacrificatore e sacrificato.
Ma andiamo al dunque, alla gallina nel carnevale, come l’abbiamo incontrata a Mersino nella Slavia Friulana, o Benečija che dir si voglia, alle pendici occidentali del monte Matajur, una chioccia enorme, bianca, rossa e gialla, sgargiante e dispettosa, portata in giro da una squadra di pustje festanti, insieme a una vacca a rotelle, con le mammelle caricate a vino.
Una gallina gigante simile, ma con il piumaggio grigio marezzato, e quindi un po’ incupita come il personaggio di una saga del nord, l’abbiamo pure vista a Zell am See, sulle montagne del Salisburghese, nella mascherata dei Tresterer, i trebbiatori, che escono in quattro o cinque occasioni distinte tra l’8 dicembre e l’epifania. Nel bestiario sempre ridottissimo di questa interessante mascherata, la gallina, detta Hühnerpercht, è un terzo incomodo che si aggiunge all’eterna coppia carnevalesca di capra e orso (che però qui è una volpe, ma è lo stesso). Alla fine di ogni sosta del giro rituale delle maschere, dopo il ballo dei cosiddetti “trebbiatori” bene azzimati nelle loro uniformi di broccato, spetta infatti proprio alla gallina l’atto cerimoniale conclusivo, l’epilogo. Così, quando i danzerini della trebbia si fanno da parte, e l’aia resta vuota, arriva a sorpresa la gallina gigante, che si pone proprio nel centro della croce ideale tracciata nel centro dell’aia. Eccola emettere un debole chiocciolìo, e poi accucciarsi, come per espellere qualcosa. Nella meraviglia generale, e nel silenzio degli astanti piuttosto attoniti, cade un uovo, che si rompe sul pavimento. Accorre la padrona di casa, o la ragazza del bancone, con uno straccio bagnato, a tirar su tutto, e la piccola magia beneaugurante per i fati della casa e di chi vi abita, si conclude così.
Il semplice rito dei Tresterer ci permette di mettere a fuoco un fatto elementare, e cioè che la gallina fa la sua comparsa nel rito carnevalesco in quanto generatrice dell’uovo, ovvero nel suo ruolo di “madre dell’uovo”, cioè in relazione con l’uovo. Qui, come altrove, come sempre, il simbolo non vale nulla di per sé, ma solo in quanto inserito in un sistema di relazioni: e dunque della gallina con l’uovo, per un verso, con la volpe, per un altro, e con il gallo, verrebbe da aggiungere, per un altro ancora. Gallo che è peraltro animale sacrificale per eccellenza in una quantità di contesti europei più o meno dichiaratamente carnevaleschi, dalla penisola iberica a tante località italiane, dove veniva decollato al volo senza tanti complimenti sulla pubblica via fino a non molti anni fa e qualche volta ancor oggi: vedi il caso di Perticaro nel Crotonese, dove i carabinieri ancora nel maggio di quest’anno (2017), impedivano che avesse luogo l’antico rito del distacco a suon di mazzate della testa di un gallo vivo semisepolto nella piazza, da parte di giovani del luogo bendati e armati di bastone.
Gallo, capra, volpe, lupo, cavallo, orso e pochi altri, un bestiario molto ristretto e complessivamente del tutto incongruo che comprende in pratica tutti gli animali nominati qui, e che costituiscono peraltro, seguendo il grande J.G. Frazer (Il ramo d’oro, capitolo XLVIII), altrettante possibili incarnazioni zoomorfe dello “spirito del grano”, metafore semoventi ovvero simboli propri di un’energia vitale primaria, animale e vegetale insieme, che si incarna e muore, per poi tornare a nascere.
In questo quadro di riferimenti simbolici, la gallina è una comparsa d’obbligo in quanto incongrua, instancabile, palesemente imperfetta, inetta e risibile madre dell’uovo, che è invece di per sé forma perfetta. Da questo punto di vista, la gallina può essere forse equiparata, nella logica della mascherata, a quelle onnipresenti figure di vecchie e vecchiarde zoppicanti che, come la Sara dell’Antico testamento o Sant’Anna nel Nuovo, contro ogni aspettativa plausibile riescono a dar vita a un bambino o a una bella bambina. Questo riferimento al manifestarsi improvviso e capriccioso di una potenza generativa misteriosa, inarrestabile e sempre rinnovantesi è pertanto il cuore vero della nostra mascherata, che permetterà anche al folklorista diligente di concludere insieme all’embriologo e al genetista che sì, l’uovo è più importante, e viene sempre prima l’uovo.
© Foto di Antonella Mott, Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, Archivio Carnival King of Europe