[Franco Bellacci, Luca Boschi, Leonardo Gori, Andrea Sani, Jacovitti. Sessant’anni di surrealismo a fumetti, Nicola Pesce editore, Roma 2010, pp. 335]
Lisca di pesce era lo pseudonimo – in immagine o scritto per esteso – del disegnatore umoristico Benito Franco Jacovitti (Termoli 1923 – Roma 1997): «a scuola mi chiamavano così – racconta lo stesso Jac nella lunga intervista riportata nel libro – perché ero molto magro. Poi con il passare del tempo la lisca di pesce è diventata grassoccia perché la mia corporatura non è più quella di una volta». Il volume – addirittura «una specie di Bibbia» del fumetto, come scrive Gianni Brunoro nella prefazione, ripercorre la storia della lisca presentando molti e diversi materiali: oltre all’intervista, che è somma di una serie di colloqui, una lunga storia – davvero di piacevole lettura – dell’attività artistica del disegnatore nella produzione di illustrazioni e di fumetti che si intreccia con i principali eventi storici e politici della seconda metà del Novecento italiano, due saggi – sul costume e sul linguaggio -, a cui si aggiungono resoconti sulle panoramiche, sull’attività di illustratore (Pinocchio), sulle cartoline e sulla pubblicità e, infine, una bibliografia davvero esaustiva.
Il libro contribuisce alla rinascita dell’interesse per questo autore che per qualche tempo fu criticato e messo in ombra per la sua posizione politica di destra o – se si vuole – di “estremista di centro”, come egli stesso si definì. Lo testimoniano le ristampe, le novità librarie che lo riguardano e la fortuna del suo sito ufficiale: http://www.jacovitti.it/jacovitti/public/home.jsp.
La storia artistica di Jac inizia con le prime vignette disegnate sui lastroni della città di Termoli, con le caricature dei soldati tedeschi e americani e poi con la duratura collaborazione – dal 1939 al 1967 – alla rivista cattolica “Il Vittorioso”, un periodico a fumetti italiano, distribuito nel circuito delle parrocchie e degli oratori, a cui seguì la fortunata edizione del Diario Vitt. Negli anni Cinquanta e Sessanta lavora al “Giorno” e per tutti gli anni Settanta, fino al 1982, al “Corriere dei piccoli” e al “Corriere dei ragazzi”. Segue una breve collaborazione a “Linus” e infine a “Playmen”.
Gli autori del libro percorrono analiticamente tutte le fasi del lavoro di Jac, illustrando le novità stilistiche che si intrecciano con le soluzioni di altri disegnatori e altri artisti, soprattutto registi del cinema, talora prefigurando la scena visiva, talora riprendendo e citando storie e battute. I personaggi principali inventati dal nostro – i vittoriosi 3P: Pippo, Pertica, Palla e il cane Tom; Tom Ficcanaso e Cocco Bill del “Giorno dei ragazzi” al giovedì; Jack Mandolino, Zorry Kid e di nuovo Cocco Bill del “Corriere”, la fortunatissima Signora Carlomagno, vecchietta forzuta con velleità femminili – sono delineati con tutte le loro parentele fumettistiche, cinematografiche e di costume. Solo le illustrazioni sono di difficile lettura, alcune addirittura non si riescono a decifrare con una lente.
Jacovitti – spiegano gli autori – può apparire a prima vista popolare o plebeo, ma a ben guardare il suo stile iconografico si rivela sperimentale e d’avanguardia. Sessant’anni di surrealismo, dunque.
Lo dimostra, in primo luogo, il gusto dei riempitivi che affollano le panoramiche senza una precisa relazione con il testo: i famosi salami, le ossa, i piedi, i vermi con il cappello, i pesci, le api, i macinini, i pettini sdentati, i rocchetti, i dadi, le matite, le mani che fanno le corna, i piedi, i ragni pelosi, ecc. A questo si aggiungono gli spostamenti metonimici – a un uomo con una gamba di legno Jac accosta ad esempio un tavolo con una gamba umana -, le metamorfosi che trasformano i personaggi (spesso in diavoli) oppure producono oggetti impossibili – come le uova piramidali del faraone -, l’interpretazione letterale delle metafore e delle espressioni correnti – “cucire la bocca”, con ago e filo; “spegnere” una radio che appare in fiamme -, l’interpretazione visiva dei termini equivoci – il “cane” della pistola disegnato come un cagnolino – rivelano un mondo nel quale domina «il culto della metafora, un congegno retorico capace di esprimere il senso di instabilità e fluidità di tutte le cose che si fondono e si trasformano le une nelle altre» (p. 216).
Accanto alla realizzazione visionaria delle immagini il surrealismo si presenta nel gioco linguistico che, a parere degli autori, evoca Palazzeschi. I Witze di Jac spaziano dal gergo fanciullesco ai proverbi inventati, alle giaculatorie demenziali, agli accoppiamenti capricciosi delle parole, alla creazione delle parole inesistenti. Il gergo dei bambini compare in Cocco Bill e in Tarallino: «Non mi chiamo, sono gli altri che mi chiamano, mi chiamo Piripò, anche quando non sono sul comò». I proverbi accentuano la dimensione futurista: gli autori ne propongono un elenco divertente; ne citiamo solo uno, a mo’ di esempio: «sta di notte la pantera, lucidando la dentiera». Per gli accostamenti tra parole dotate di senso e non-sense si può leggere la citazione seguente: «gallina vecchia onor di capitano, dice un proverbio dalla vista corta; ma io non credo che per tenerla in mano, quella gallina deve far la morta». Un altro ambito di sperimentazione è dato dal gioco con le lingue straniere, tradotte nei dialetti italiani: così i nordisti della guerra di Secessione parlano milanese e i sudisti, naturalmente, napoletano.
L’ultimo Jacovitti, quello che negli anni Novanta riprende Cocco Bill, accentua questa dimensione eversiva dell’immagine e del linguaggio, riprende le interferenze tra i personaggi della storia e il disegnatore che dialogano tra di loro (Cocco Bill, ad esempio, protesta contro Jacovitti per la mancanza di un intreccio più avventuroso), fa saltare la gabbia delle strisce a quadrilatero e ne disegna una vuota, a forma di trapezio, che Cocco Bill salta a piè pari; conclude poi il fumetto facendo disegnare al suo personaggio l’ultima vignetta.
Altro elemento essenziale della poetica di Jacovitti è stata la satira di costume, già presente nelle storie d’esordio, ma evidente e feroce a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, descritti dalle copertine del “Vittorioso” nei nuovi miti del benessere, della musica leggera, della televisione, dello sport e delle vacanze di massa. Allo stesso modo, negli anni Settanta, Jacovitti descriverà la società italiana su “Linus”, stigmatizzando la contestazione giovanile e affrontando direttamente la tematica del sesso rappresentato nei giocosi accoppiamenti del Kamasutra. Tutto questo percorso è stato segnato, anche se a margine, dalla censura e dall’autocensura a partire dalla proibizione delle nuvolette (balloons) e della riquadratura delle vignette da parte del Mincultpop del 1941, in funzione antiamericana, fino alla pruderie dei giornali cattolici che non accettarono le incursioni nel fumetto erotico e senza escludere le proteste della redazione di “Linus” che lo richiamava a un atteggiamento politicamente corretto.
Il volume si conclude con la Bibliojacgrafia: un invito a leggere, rileggere e guardare che riserva nuove sorprese.