DANTE NARDO, Terenzio e l’ironizzazione del «sapiens»
in Atti dell’Istituto Veneto di Scienze lettere ed Arti, Anno Acc. 1967-1968 – Tomo CXXVI – pp.131-174
Vogliamo qui ripercorrere nelle sue linee essenziali la complessa interpretazione di Dante Nardo, pubblicata ormai più di quarant’anni fa, ma ancora di grande interesse.
La commedia di Terenzio che viene analizzata è Heautontimoroumenos, il punitore di se stesso, del 163 a.C.
Il titolo si riferisce al vecchio Menedèmo che si autopunisce lavorando duramente in campagna. Come spiega al vecchio Cremete, suo vicino, che gli chiede spiegazioni, egli intende espiare una grave colpa: ha ostacolato l’amore di suo figlio Clinia per Antifila, una ragazza senza dote, e così Clinia, disperato per la severità paterna, è andato ad arruolarsi come soldato in Asia.
Nel frattempo però, Clinia, in gran segreto, è ritornato: lo ospita l’amico Clitifone, figlio di Cremete. Clitifone è innamorato a sua volta di Bacchide, una meretrice sfrontata e spendacciona. A Cremete fanno credere che Bacchide sia Antifila. Menedemo, ormai molto più comprensivo, consentirebbe egualmente alle nozze di Clinia con Antifila, anche se gli è stato riferito che ormai fa la prostituta. Siro, servo furbo di Cremete, escogita trappole per ingannare sia Menedemo sia Cremete. La moglie di Cremete però scopre, grazie a un anello, che Antifila (quella vera) è figlia sua: alla sua nascita il marito, che non voleva figlie femmine per non essere costretto a fornirle di dote, aveva ordinato di ucciderla, ma lei s’era limitata ad esporla. Alla fine Clinia sposa Antifila e Clitifone lascia la rovinosa Bacchide dichiarandosi pronto a sposare una ragazza di buona famiglia.
Homo sum: humani nihil a me alienum puto è il celebre verso contenuto nella commedia. A pronunciare la frase è Cremete, quando cerca di sapere da Menedemo le motivazioni del suo comportamento inusuale. Come sottolinea Nardo, già nell’antichità da Cicerone a Seneca a S.Agostino il verso si viene via via sottraendo al suo specifico significato contestuale per assumere l’aspetto di una professione di fede nella fraternità umana e di una norma etica di valore assoluto, definizione completa dell’umanesimo.
Il contesto è quello dello scambio di battute fra due padri anziani, uno chiuso in se stesso e nella sua angoscia, l’altro ben deciso a informarsi sulle sue motivazioni. Non è sfuggita agli studiosi più attenti la sproporzione fra la massima e la circostanza che la suggerisce… non solo, è notevole anche il contrasto fra la sentenza e il personaggio che la pronuncia.
Fin dalle prime scene, nella loro conchiusa simmetria, è impostata nitidamente l’intera azione drammatica. Al centro è sempre Cremete, la cui personalità si viene delineando attraverso un duplice ordine di relazioni, con un altro padre, da un lato, con il proprio figlio dall’altro…Cremete, così lucido e persuasivo nell’impartire a Menedemo la sua lezione di pedagogia, così pronto a farsi giudice degli altri, non ha saputo affatto educare suo figlio: peggio, non lo conosce per niente. D’ora innanzi egli non cesserà di concedere la sua pietà a Menedemo e la sua fiducia al figlio Clitifone…dentro se stesso il saggio Cremete non guarda mai…e quando il velo gli cade dagli occhi…riversa sugli altri la sua collera scomposta e irragionevole…la sua sapientia non accetta il contraddittorio e non accetta la controprova della vita.
L’ulteriore svolgimento della commedia è costituito dall’intemperante dilagare di questa stulta (Orazio direbbe insaniens) sapientia e dalle tante occasioni che inutilmente si presentano a sollecitare il sorgere di una autocoscienza in Cremete, una autocoscienza che non arriva mai…il personaggio è continuamente sotto il tiro dell’ironia…ed è l’unico personaggio che esce dal dramma totalmente e irrimediabilmente sconfitto: come padre, come marito, come sapiens. E’ sconfitto dalla forza dell’amore giovanile (Clitifone e Clinia), dalla feconda esperienza del peccatum, dello sbaglio (Menedemo e sua moglie) e dalla istintiva sagacia del servo (Siro).
Se questo è il personaggio Cremete, il famoso verso da cui si è partiti va inteso in modo un po’ differente da quello tradizionale…in Cremete coabitano un germinale sentimento di umanità e, insieme, la sua cristallizzazione formalistica, gonfia e vanitosa. La sapientia, fondamento e culmine dell’humanitas, non può stare nella rimasticatura di una formula: deve inverarsi, giorno per giorno, nella perigliosa dinamica dell’esistenza.
Il poeta a cui si usa attribuire la scoperta dell’humanitas ha portato sulla scena anche qualcosa di più fine e inquietante, la retorica dell’humanitas: la saccenteria che usurpa il posto dell’esperienza, la verbale ostentazione del nuovo che maschera la sostanziale sopravvivenza del vecchio.
Terenzio addita la perenne perfettibilità della sapientia e mostra la drammatica sconfessione che la vita appresta a chi presume un infallibile possesso della verità: oltre la linea creduta definitiva erompe l’imprevisto, domina la tyche, e allora chi crede di plus sapere finisce per minus sapere.
Questo è il nodo drammatico e il contenuto etico dell’Heautontimoroumenos.
Per maggiori informazioni su Dante Nardo:
LAPENNA A. (1996), La ricerca filologica e storica di Dante Nardo, in “Lexis” online, 14/1996