Nell’autunno del 1909, nel pieno delle celebrazioni tirolesi del centenario hoferiano, fece la sua comparsa il libretto satirico Fern von Europa: Tirol ohne Maske (Lontano dall’Europa: Tirolo senza maschera). L’autore si nascondeva dietro lo pseudonimo di «Sepp Schluiferer», di evidente sapore tirolese. A far esplodere lo scandalo fu una “violenta” recensione di Rudolph Christoph Jenny, pubblicata il 21 novembre sulla rivista «Tiroler Wastl». L’intervento intendeva con ogni probabilità utilizzare un linguaggio volutamente iperbolico e grottesco per replicare alla dimensione umoristica del libro, ma ebbe l’effetto di avviarne da subito la discussione in un clima di esaltazione collettiva. Jenny esortava i compatrioti a lavare col sangue (dell’autore) l’affronto subito dal Land.
Ben presto l’intera stampa tirolese, soprattutto quella di ispirazione tedesco-nazionale, si dedicò al libretto con la massima indignazione. L’editore, Lothar Joachim di Monaco di Baviera, cominciò a essere bersaglio di lettere apertamente minatorie. L’opera scomparve dalle librerie tirolesi e circolò solo clandestinamente. Così scriveva l’editore a un aspirante lettore tirolese:
Preg.mo Signore, a seguito dei duri attacchi al libro da parte della stampa locale, Le consiglio nel Suo interesse una spedizione anonima della pubblicazione. Se mi invia 3,35 Corone in francobolli, Le farò spedire il libro in busta chiusa, senza alcuna indicazione della casa editrice…
Si mosse ben presto la politica. Si ventilò l’ipotesi che il libro derivasse dall’iniziativa di provocatori, sovversivi anarchici oppure irredentisti italiani. Fu ingaggiata anche un’agenzia privata di investigazioni per scoprire l’identità dell’autore. Questa fu rivelata verso la metà di dicembre del 1909. A scrivere il libro era stato Carl Techet, un insegnante di scienze di origini viennesi e da nemmeno due anni in forza alla Realschule di Kufstein. In realtà era stato lo stesso Techet ad “autodenunciarsi”. Scappato a Monaco, dato il montante clima di furore collettivo innescato dal libretto, aveva scritto una lettera alle autorità scolastiche; ammettendo la paternità dell’opera, motivava il proprio allontanamento e abbandono del servizio con la necessità di salvaguardare la propria incolumità personale.
Il caso approdò persino al Consiglio dell’impero di Vienna con un’interrogazione presentata da deputati tirolesi. Il Landesschulrat (Consiglio scolastico provinciale) chiese il licenziamento in tronco di Techet, in quanto la «bassa moralità» rivelata dai contenuti del libro non si sarebbe potuta conciliare con la sua responsabilità di educatore. Il ministero di Vienna optò per una soluzione di compromesso e cioè per un trasferimento punitivo di Techet a Prossnitz/Prostejov in Moravia.
Carl Techet era nato a Vienna, nel 1877, in una famiglia borghese. Il padre, di origini ungheresi, era impiegato di banca; la madre discendeva da una famiglia di imprenditori della Bassa Austria. Accanto agli studi tecnici (Technische Hochscule), Techet frequentò corsi di scienze naturali all’Università di Vienna, specializzandosi in vegetazione marina. Le sue capacità lo misero in luce presso gli ambienti accademici, che lo raccomandarono per un incarico temporaneo di assistente nella Stazione zoologica di Trieste. Gli anni trascorsi nella città adriatica (1903-1907) furono i più felici per Techet. Oltre a visitare le principali città d’Italia, compì viaggi in gran parte del continente e persino in Egitto. Accanto alle sue ricerche botaniche (citate per decenni nella letteratura scientifica), Techet si dedicò con vorace curiosità all’antropologia, alla storia e alle dottrine politiche, partecipando ai dibattiti dell’epoca. Il suo plurilinguismo (tedesco, ceco, italiano, inglese oltre ai fondamenti di francese e spagnolo) gli consentiva la ricezione immediata delle novità contemporanee.
Nel 1908, per trovare una sistemazione stabile, partecipò al concorso per la cattedra di scienze nella neonata Realschule di Kufstein. La sua intenzione era quella di entrare in ruolo e poi chiedere il trasferimento altrove (Trieste o Vienna). I racconti satirici sul Tirolo furono scritti tra l’autunno del 1907, quando Techet si stabilì a Kufstein, e la fine del 1908, quando li inviò alla rivista «Simplicissimus» di Monaco. A pubblicarli fu però l’editore Lothar Joachim. Con questi Techet strinse una solida amicizia e con la sua casa avrebbe pubblicato tutte le successive opere.
Fern von Europa ebbe numerose edizioni e, fino agli anni Venti, una tiratura complessiva di 25.000 copie. Dopo lo scandalo e il trasferimento punitivo, Techet visse tra Prossnitz e Vienna, continuando la sua attività letteraria e collaborando a riviste e giornali progressiste. I suoi racconti ed elzeviri avevano come bersaglio gli aspetti più retrivi della cultura clericale e tedesco-nazionale. In breve, però, la sua attività finì col rallentare perché si aggravarono i sintomi di una appendicite cronica. Morì nel gennaio 1920 dopo un’ennesima operazione chirurgica
Le satire di Techet sul Tirolo non nascono da specifiche osservazioni e conoscenze del territorio e delle sue popolazioni. Mutatis mutandis le principali coordinate dell’universo «tarrolese» elaborato da Techet (clericalismo, intolleranza, furbizia contadina, rifiuto dello straniero, assolutizzazione dei propri caratteri e della tradizione) si sarebbero adattate facilmente anche ad altre regioni della Monarchia danubiana, soprattutto rurali o alpine. Coi meccanismi dell’iperbole e della parodia, Techet converte in disvalori quegli stessi caratteri positivi che sul Tirolo e sui tirolesi si erano ormai fissati come elementi di percezione esterna e poi di autocelebrazione. Il risultato è la relativizzazione di una (e implicitamente di ogni altra) identità regionale che voglia presentarsi come “unità conclusa”, culturale, etnica o razziale. In altre parole, l’«antipatriottismo» di Techet non riguarda solo il Tirolo, ma investe ogni tipo di nazionalismo.
La dimensione filosofico-politica della satira di Techet si valuta appieno solo alla luce della sua opera teorica più impegnativa e sistematica. Il saggio Völker, Vaterländer und Fürsten: Ein Beitrag zur Entwicklung Europas (Popoli, patrie e principi: un contributo allo sviluppo dell’Europa), pubblicato nel 1913, testimonia l’ampiezza della ricerca techetiana e la profondità della sua riflessione riguardo al dibattito contemporaneo sul nazionalismo. Con curiosità e abilità interdisciplinare, Techet si muove disinvoltamente tra letteratura classica e moderna, filosofia, storia e antropologia. E tra gli altri affronta uno dei temi principali dell’ideologia politica europea di quegli anni e cioè le teorie sulla superiorità della cosiddetta «razza nordica».
Analiticamente, col metodo critico e sistematico di un degno allievo di Wettstein, Techet discute, compara e infine demolisce tutti i fondamenti del razzismo europeo, quale si era venuto configurando dall’ormai lontano Gobineau fino ai contemporanei Chamberlain, Woltmann ed epigoni. E sono proprio le pseudo-teorie sui caratteri fisici (e sulla loro presunta incidenza sui caratteri spirituali) a suscitare la sua fredda ironia. Su questa strada arriva anche alla teoria dei tirolesi quali «Urgermanen».
Techet conosceva gli studi di Franz Tappeiner che rappresentano con ogni probabilità precisi spunti parodistici per alcune pagine di Fern von Europa, verosimilmente per lo stesso titolo. Der Europäische Mensch und die Tiroler s’intitolava, infatti, lo studio del 1896 in cui il famoso medico meranese, suggestionato dall’antropologia anatomica imperante (Virchow), pubblicava i risultati delle sue indagini craniometriche. Esse erano tese a dimostrare come erronee le ipotesi di preistoriche migrazioni mongolico-asiatiche nel cuore dell’Europa, di cui gli iperbrachicefali sarebbero stati traccia. Nel racconto Tipologie craniche e altro il bersaglio della satira sembra essere proprio il fervore delle ricerche di Tappeiner e affini.
La parodia di Fern von Europa prende poi come modello anche il resoconto etnografico che sulla scia degli studi di Zingerle si diffonde sempre più anche in Tirolo a cavallo del XIX e XX secolo. L’appuntamento del centenario hoferiano porta frutti anche in questo campo, come il Tiroler Volksleben di Ludwig von Hörmann.
Altro riferimento assai presente in Techet è il manuale-guida di genere turistico. Il Tirolo ha ormai consolidato i propri tratti quale “paradiso alpino”. Cominciata a metà dell’Ottocento, soprattutto da parte di alpinisti inglesi, è ora al culmine l’attività di esplorazione, conquista di vette, apertura di vie, sentieri e rifugi. Protagonisti sono (per il Tirolo tedesco) i turisti germanici e austriaci del Deutsch-und Österreichischen Alpenverein. La cultura e i valori di cui costoro sono portatori vengono esplicitamente messi alla berlina nei racconti techetiani (L’eroe del giorno, Un amore estivo, etc). L’osservatore-narratore mette a nudo la “costruzione” del mondo alpinistico da parte dei cittadini: i membri del club sono esclusivamente turisti, i segni della loro vocazione montanara sono standardizzati, in una logica economica che riduce il folklore a merce.
La “razza vacanziera” che in inverno e in estate migra dal profondo nord fino alle montagne tarrolesi è bersaglio di tutta la cattiveria techetiana. Nella sua ricerca di un mondo di “natura” ancora incontaminato dalla “cultura”, il forestiero vede ciò che vuol vedere, proietta il suo sogno romantico di salute e autenticità sullo sfondo di un’umanità apparentemente candida, in realtà scaltra ed avida (Il trio felice). Al punto che l’«ingenuità» diventa elemento caratterizzante del cittadino e non del montanaro.
Gran parte della notorietà e simpatia di cui i tirolesi avevano goduto lungo tutto l’Ottocento in Europa derivava dalla tradizione hoferiana. E ad essa era collegato l’immaginario romantico di un popolo fiero, duro come le sue montagne, capace di sfidare con la forza della fede la potenza e la malizia di Napoleone. Techet non esita a colpire il mito dell’«età eroica», ridicolizzando nella caricatura di «Kchluibnschedl» (La testa parlante) la figura del combattente per la libertà del 1809.
Infiniti sono i motivi anticlericali che ricorrono nelle satire, dalle prediche di Amandus Daxenbichler (Un predicatore) all’ostilità ed emarginazione di stranieri, luterani e semplici dissidenti (La conversione degli infedeli a Brunäckkchch; Il sozi). Techet usa qui cliché abbastanza tradizionali della polemica antidogmatica e scientista, ma la caratterizzazione tirolese risulta efficacissima. Basti pensare che lungo tutto il 1908 (poco dopo l’enciclica antimodernista di Pio X) la stampa austriaca e internazionale aveva registrato gli sviluppi del famoso «affare Wahrmund» che aveva finito col preoccupare persino l’imperatore. Il giurista viennese Ludwig Wahrmund, dal 1898 docente ad Innsbruck, aveva pubblicato il testo di una conferenza sull’indipendenza della scienza dalla morale della Chiesa. Se gran parte del mondo accademico e studentesco (soprattutto liberale e tedesco-nazionale) si era schierato al suo fianco, l’intero mondo ecclesiastico e politico tirolese aveva montato una campagna di ostilità, diffamazione e persino intimidazione. Alla fine il ministero aveva dovuto trasferire Wahrmund all’università di Praga.
Nei racconti di Techet non sempre viene raggiunto l’equilibrio tra la vis comica e quella polemica. La ricerca di elementi paradossali, iperbolici, contraddittori è talvolta appesantita dal commento etico e dal ragionamento logico. E la leggerezza lascia il posto molto spesso a un greve sarcasmo che non risparmia ambiti dolentemente tragici (come l’infanticidio in Una storia quotidiana).
In tutte le sue opere Techet usa al meglio lo strumento linguistico per rafforzare i caratteri parodistici oppure in senso metaforico. Il plurilinguismo di molti racconti (soprattutto nell’ultima raccolta Vom toten Österreich, 1922) diventa metafora delle contraddizioni della Monarchia danubiana. I personaggi vivono una scissione continua tra ambito ufficiale, professionale, familiare, amicale, etc., in cui ciascuna di queste dimensioni rivendica una lingua propria ed esclusiva.
Nelle satire tirolesi domina l’interazione tra il tedesco letterario del narratore e il dialetto dei personaggi locali. L’idioma «tarrolese» è volutamente iperbolico e conferisce ai racconti gran parte della loro forza comica, irrimediabilmente perduta in ogni tentativo di traduzione in altre lingue. Ma il gioco linguistico techetiano va ben oltre. Ad esempio, le formule di saluto quotidiano, di benedizione o imprecazione diventano segno di “identità nazionale” di cui vorrebbero appropriarsi i turisti berlinesi, che sognano di spacciarsi per “veri” figli della patria alpina. A loro volta, i nativi più istruiti si sforzano di usare un “vero” tedesco. Anche attraverso i segni linguistici passa quel gioco di maschere, identità e finzioni che è in fondo il nucleo teorico del libro.
Quando presi in consegna il Museo dal mio predecessore, trovai le vetrine stracolme di quello che da un punto di vista scientifico poteva considerarsi un incredibile ciarpame. Il reperto che mi faceva più arrabbiare era una testa umana conservata in un liquido. Sul contenitore si leggeva la scritta «Homo sapiens» con un grande punto di domanda e il numero di inventario 3784. Il preparato richiedeva una quantità incredibile di alcool. Potevo metterne quanto ne volevo che il livello tornava dopo un po’ a scendere sotto la volta cranica. Mi sarei senz’altro sbarazzato ben presto del costoso reperto se il mio predecessore non l’avesse prudentemente inventariato.
Una volta, mentre lavoravo ancora a tarda sera nel laboratorio, udii un improvviso rumore. Seguendolo, giunsi al predetto cranio, num. inv. 3784. Alla luce della lampada da studio potei distinguere nettamente le sue pallide labbra aprirsi e pronunciare: «Schpezial!» (Spezial, «speciale» nel senso di «vino buono»). Due occhi sbarrati mi fissarono e io inorridii: «Ma sei ancora vivo? ».
«Certo» rispose roco.
«Chi sei?»
«Kchluibnschedl» (nome che gioca tra i vocaboli «Kloben», cioè ceppo, ciocco di legno, e quindi in senso figurato «zotico», «villano» e Schädel, testa. Si potrebbe cautamente avvicinare all’italiano «testa di legno»).
«E da dove vieni?»
«Dal Kchootlockchn» (Kothlacken, nome popolare per St. Nikolaus, sobborgo di Innsbruck).
«Allora sei un Tarrola? »
Il teschio annuì felice; solo allora potei notare che gli era stato estratto il cervello.
«Oh poveraccio… non hai più il cervello!» dissi in tono compassionevole. «Mai accorto» gorgogliò nel contenitore. Vidi poi il pallido viso tendersi in un’espressione di indicibile tristezza e, dopo un breve pausa, udii ancora con chiarezza «Schpezial ! Schpezial!».
Adesso mi era chiaro perché il misterioso preparato dovesse essere rabboccato così spesso. Spinto più dall’interesse scientifico che dalla compassione, riempii il vaso num. 3784 di alcool al 96%. Avida la bocca ingurgitò il liquido, le rughe della fronte si spianarono e quel cranio pallido cominciò a parlare. Ecco, in breve, quel che mi raccontò. È poco, ma impressionante.
La testa apparteneva ad uno di quegli idealisti che nell’epico anno 1809 tentarono di difendere la propria identità, minacciata da un popolo che dovunque arrivava costruiva strade e addirittura scuole! Già al primo scontro il nostro eroe avvertì la presenza di alcuni corpi estranei sulla schiena. Cercò di placare il crescente fastidio grattandoci sopra con il cannello della pipa. Così lo vide il suo amico e compagno d’arme, il maniscalco e veterinario Castullus Zumtobel. Questi, fine erudito e ottimo osservatore, diagnosticò che i corpi estranei fossero pallottole di piombo e consigliò per prudenza una temporanea sospensione dell’attività bellica.
Kluibnschedl fu portato al lazzaretto. Insieme a un aiuto-infermiere arrivò (cosa del tutto consueta) un frate cappuccino, ed entrambi si misero duramente al lavoro. Con la stessa perizia e precisione con cui uno cercava di constatare l’esatto numero delle ubriacature settimanali e dei figli illegittimi, l’altro cercava le pallottole nemiche, che nonostante gli evidenti fori di entrata non si riuscivano a trovare nella carne della schiena. Dopo che l’infermiere ebbe praticato senza alcun successo 14 incisioni a croce, Kchluibnschedl si schiarì la voce, sputò con veemenza, come era solito, e suggerì benevolo: «Non è meglio cercare sul davanti?» e si girò sulla schiena in maniera udibile e odorabile.
Il pensiero era davvero buono, ma dato che era il primo e l’unico nella sua vita, il nostro eroe si sentì sfinito da questa inconsueto sforzo mentale e si addormentò.
Il sonno dovette essere lungo e profondo perché, quando riaprì finalmente gli occhi, Kchluibnschedl si ritrovò, in forme assai ridotte, nel contenitore col preparato num. 3784. Di come ciò potesse essere accaduto, lui, come sempre, non si diede pensiero.
Sapeva solo di soffrire di una tremenda sete. Per questo feci in modo di procurargli le necessarie quantità di alcool. Ben presto, però, si videro le conseguenze! I suoi discorsi si fecero sempre più confusi e contraddittori, rivelò espressioni che contrastavano con l’educazione religiosa del suo popolo. Così proruppe gorgogliando: «Un imbecille sono stato, un vero imbecille… che mi sono fatto sparare! Avrei dovuto fare come l’Anderl! Sì… come l’Anderl! Lui è andato nel fienile, quando quelli hanno cominciato a sparare e ha tirato fuori la testa solo un po’… qualche volta. Sono stato proprio un imbecille!»
«Kchluibnschedl» dissi per calmarlo «non sai cosa dici!»
«Cooosa?» grugnì rabbioso «stai zitto, pezzo d’asino, sennò ti caccio come abbiamo cacciato i Wallischen! (francesi. Wallisch, Welsch e simili indicano gli stranieri di lingua romanza, francesi e italiani).
«Ma dai! Voi avete cacciato in primo luogo i Bavaresi e non i Wallischen!»
Il recipiente cominciò veramente a ribollire. «I Wallischen o i Boarn (bavaresi), è la stessa cosa! Tutti sono scappati a gambe levate. Abbiamo fatto tremare di paura anche gli Innschbruckcha (cittadini, borghesi di Innsbruck) proprio come gli altri! Quando uno di noi ha la sua giusta dose di grappa, ah sì che le dà! Un Wallische o un Boarn o un Innschbruckcha o un altro, per noi era lo stesso! Cosa ne sai tu? Per la santa religione abbiamo picchiato duro!»
La testa faceva movimenti sempre più energici, i suoi occhi fissi sporgevano sempre più in fuori, in uno sguardo davvero inquietante. Era delirium tremens, il delirio dei bevitori.
Mentre ancora ero scosso dai brividi, provenne dal vaso un ennesimo, inquietante «Schpezial! Schpezial!».
Nell’agitazione e confusione più completa afferrai la bottiglia sbagliata e senza accorgermene versai il suo contenuto proprio nella bocca dell’irata testa bevitrice. L’effetto fu spaventoso. L’intero reperto cominciò ad agitarsi con forza, la volta cranica oscillò, il viso si irrigidì in un’espressione diabolica e le labbra bianche come il gesso cominciarono a emettere violenti sputi, tanto da spruzzare il liquido fuori dal vaso. Poi, improvvisamente, il silenzio.
Kchluibnschedl aveva parlato per l’ultima volta. La testa del morto adesso era veramente morta.
Per sbaglio avevo versato acqua distillata.
[ Per gentile concessione di Edition Raetia, tratto da: Carl Techet, Tirolo senza maschera/Tirol ohne Maske, a cura di /herausgegeben von Carlo Romeo, Bolzano 2009 ]
Per altre informazioni sul contesto del «caso Techet» rimando al mio contributo Il Tarrol di Carl Techet in: Carl TECHET, Tirolo senza maschera/ Tirol ohne Maske, Edition Raetia, Bolzano 2009, pp. 7-50.
Oltre a Fern von Europa, Techet pubblicò in ordine cronologico: Isola lunga (Modernes Verlagsbureau Curt Wigand, Berlin-Leipzig 1907); Sonderbar und dennoch war (Lothar Joachim, München 1910); Völker, Vaterländer und Fürsten: Ein Beitrag zur Entwicklung Europas (Joachim, München 1913); Wie sie sind: Ein Frauenbuch für Männer (Joachim, München 1918); Das Geheimnis der Ruine Szipar (Lothar Joachims Verlag, München1918, riedizione di Isola lunga); Menschen ohne Lachen: Eine Philistergeschichte aus stillen Tagen (Joachim, München 1919). Dopo la morte uscirono riedizioni di opere precedenti (Tirol ohne Maske, 1921 e 1923; Unselige Liebe, 1922; Sonderbare Geschichten, 1922), i nuovi racconti di Vom toten Österreich (Feuer-Verlag, Leipzig 1922) e gli «schizzi» di Aus meiner kleinen Welt: Von Pflanzen, Tieren, Menschen (Feuer-Verlag, Leipzig 1924).
L’unico (ma in compenso assai profondo) studio accademico sulla figura di Techet è di Werner GURTLER: Carl Techet 1877-1920: eine Biographie (Dissertation, Universität Innsbruck, 1991). Oltre che ricostruirne minuziosamente le vicende biografiche e letterarie, la ricerca ne analizza il profilo psicologico, culturale, politico. Allo scandalo di Fern von Europa, Gürtler ha dedicato anche altri interventi, tra cui: über die Vorstellung von der sogenannten kulturellen Einheit Tirols. Erläutert am Beispiel der Techet Affäre, in: Egon Kühebacher (a cura di), Tirol im Jahrhundert nach Anno Neun, Innsbruck 1986, pp. 177-198.