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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 19

 ottobre 2019

Saggi e rassegne

Davide Morganti

La comicità come ethos della croce

 Anche queste pagine, come moltissime dei miei libri,
sono state scritte guardando le partite di Roger Federer come fossero versi.

La croce è un evento comico. Dove qualcuno muore e qualcuno ride e per forza doveva essere così. Lo pretendeva Cristo, che la teologia cristiana ha trasformato in Dio per amore dell’uomo anche se è proprio dall’uomo che si fa uccidere, tra risa e incomprensioni. La passione e morte di Gesù rivelano la farsa e la tragedia. Sulla croce i vangeli, in maniera non sempre concorde (quello di Giovanni si distingue di molto dagli altri), continuano a proporre un Gesù loquace come Groucho Marx (Mt 5-7 è un monologo totale). Stordito dal dolore e dalla delusione, ma ancora coinvolto nella predicazione del risentimento, mentre si avvia alla morte impreca e maledice1 per poi cambiare umore una volta in croce e annunciare il perdono al posto della maledizione2. Perdonare chi, per la salvezza dell’uomo come stabilito da Dio, esegue quanto annunciato dai profeti nell’Antico Testamento. Nel Getsèmani ha inizio la vera e propria azione comica, al momento dell’arresto, dopo il sonno degli apostoli.

Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù impugnò la spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio. Allora Gesù gli disse: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?» (Mt 26, 51-54).

Gesù, come un capocomico, anticipando il metateatro di Pirandello, quando si accorge che uno degli attori ha sbagliato, lo richiama, non è quello che deve avvenire in scena ma altro, cioè l’arresto, sennò la drammaturgia si ferma; o, forse, non ha sbagliato ma fa parte di quel tipo di azione scenica che prevede il finto errore. Meglio attenersi al copione, come invita il dottor Hinkfuss nella commedia Questa sera si recita a soggetto di Pirandello, dove, nel finale, dopo vari litigi tra gli attori e la morte di un’attrice, il regista tedesco dichiara che l’accaduto dimostra che il teatro è spettacolo esteriore e gli attori devono recitare secondo copione, mantenendo separato il loro ruolo scenico dalla loro stessa interiorità che diventa impertinenza pericolosa per la messa in scena. Gesù, per l’unica volta, è costretto a correggere ad alta voce quello che è un imprevisto o che appare tale, abbatte la quarta parete e gli altri protagonisti – Pietro e Malco, il servo del sommo sacerdote (Gv 18, 10-11) – restano prima e dopo in silenzio. Gli apostoli non sono stati goffi solo nell’orto, già in precedenza erano stati impacciati. «I discepoli, vedendo ciò, si sdegnarono e dissero: “Perché questo spreco? Si poteva venderlo per molto denaro e darlo ai poveri!”. Ma Gesù se ne accorse e disse loro: “Perché infastidite questa donna? Ella ha compiuto un’azione buona verso di me”». (Mt 26, 8 -10).

Sono inetti, i discepoli, imbranati come Jerry Lewis, come Luis de Funès, come Fantozzi, sbagliano dovunque si trovino, sono fuori posto nella vita. Pietro è una spalla alla Peppino o alla Stanlio, anticipa i fratelli De Rege: vuole camminare come Gesù sulle acque e sprofonda3, viene richiamato di continuo dal suo maestro, non ne dice mai una buona 4, fa dichiarazioni che poi non mantiene5, viene rimproverato al posto degli altri6. Non a caso Pietro è protagonista assoluto di migliaia di barzellette. Le Scritture si devono compiere ma pare che loro siano più impedimento che realizzazione, la loro buona volontà è comica perché cerca di obbedire senza capire realmente quello che deve fare. Gesù, una volta catturato, viene tradotto davanti al sommo sacerdote: «Allora il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio”. “Tu l’hai detto – gli rispose Gesù”» (Mt 26, 64). La risposta di Gesù è tipica di quei ribaltamenti comici in cui Groucho Marx, per esempio, o Totò riescono ad attribuire all’antagonista qualcosa che mai ha detto, per ingannarlo o disorientarlo. Non c’è riso, ma comicità. Poco dopo Gesù, con l’ostinazione di comici autistici alla Peter Sellers nei panni dell’ispettore Clouseau, ripete la stessa battuta detta al sommo sacerdote. «Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: “Sei tu il re dei Giudei?”. Gesù rispose: “Tu lo dici”» (Mt 27, 11). Una reiterazione alla Peppeniello di Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta.

Si arriva alla passione fisica di Gesù, dove entriamo in una delle forme comiche più antiche: la parodia.

Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: “Salve, re dei Giudei!”. Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo. (Mt 27, 28-31)

La parodia di una incoronazione, un re che muore e non che nasce, un re che viene deriso perché non è un re ma una vittima; della parodia sono stati maestri, tra gli altri, Rabelais e Luigi Pulci che nel suo Morgante rielabora il Credo cattolico in maniera blasfema, trasformandolo in ricettario:

Rispose allor Margutte: – A dirtel tosto,
io non credo più al nero ch’a l’azzurro,
ma nel cappone, o lesso o vuogli arrosto;
e credo alcuna volta anco nel burro,
nella cervogia, e quando io n’ho, nel mosto,
e molto più nell’aspro che il mangurro;
ma sopra tutto nel buon vino ho fede,
e credo che sia salvo chi gli crede;

e credo nella torta e nel tortello:
l’uno è la madre e l’altro è il suo figliuolo;
e ’l vero paternostro è il fegatello,
e posson esser tre, due ed un solo,
e diriva dal fegato almen quello.
E perch’io vorrei ber con un ghiacciuolo,
se Macometto il mosto vieta e biasima,
credo che sia il sogno o la fantasima.7 (XVIII, 115-116)

Nel cortile la gente si genuflette come se davanti avesse davvero un re, poi però gli toglie la canna dalle mani e gli sputa addosso, eppure non c’è vero odio, nonostante l’indignazione dei sacerdoti, qui non c’è emozione da parte del pubblico ma indifferenza perché il riso è castigo, secondo Henri Bergson8. Il filosofo francese ha anche scritto che un uomo «che si maschera è comico. Un uomo che noi credessimo mascherato sarebbe puro comico»9. Nella Passione e morte di Cristo gli avvenimenti comici sono continui, non solo parodia ma anche commedia dell’equivoco. «A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: “Elì, Elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”» (Mt 27, 45-46). C’è la disperazione di un uomo, di un Dio cristiano che avverte l’agonia e la fine e la distanza dal Cielo e dalla Terra. «Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: “Costui chiama Elia”. E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: “Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!”» (Mt. 27, 47-49).

Il quiproquo di cui parla con acutezza Bergson riguarda le commedie che vanno da Aristofane ai giorni nostri: «una situazione è sempre comica quando appartiene nello stesso tempo a due serie di avvenimenti assolutamente indipendenti tra di loro, e quando essa può interpretarsi ogni volta in due sensi del tutto differenti»10. Bergson chiama questa situazione interferenze della serie, proprio per il loro incrociarsi; l’equivoco linguistico, che parte da due interpretazioni diverse, è uno dei punti di forza da secoli: fa ridere, fa riflettere, spesso stupisce; lo hanno usato e lo usano decine di comici. E lo è anche sotto la croce perché il nome di Elia non è fatto a caso, non è solo un fraintendimento verbale perché Elia è un profeta che ha grande importanza nel sentimento religioso ebraico, si ritiene sia stato assunto in cielo anima e corpo11 e qualche volta ricompare sulla terra senza rivelarsi per aiutare il popolo ebraico. Il profeta Malachia profetizzò che Elia sarebbe tornato prima del giorno del Signore dell’Era messianica: «Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore» (Malachia 4, 5). Non è dunque un bisticcio casuale ma teologico, la gente derideva Gesù facendo una battuta cattiva; vediamo se quello che invochi verrà a prenderti dalla croce e il mondo finirà. La comicità è ethos della fede, la quale vede il mondo come lo vede Cristo e non come il mondo vede il mondo; ne è un magnifico esempio la scena di Amici atto secondo in cui Rambaldo (Gastone Moschin) sta per sedurre la cattolicissima e pia Noemi (Domiziana Giordano) quando l’Arno straripa e lei, in ginocchio, piena di gaudio, ringrazia il Signore di aver salvato la sua verginità, invece di preoccuparsi della tragedia che ha colpito la città. La croce è rappresentazione comica, quel giorno di morte si è riso di Gesù, eppure dei presenti non si parla mai, preferendo soffermarsi su Cristo che mai ha riso nei vangeli, forse perché in ogni sua azione e in ogni sua parola la morte ha più peso dell’amore e della bontà. Le persone ridono perché devono far rientrare Gesù, negandolo, nell’ambito sociale. Ancora Bergson:

Perciò essa [la società] fa dominare su ciascuno, se non la minaccia di una correzione, per lo meno la prospettiva di una umiliazione che per quanto leggera non è meno temibile. Tale si presenta la funzione del riso. Sempre un po’ umiliante per colui che ne è l’oggetto, il riso è veramente una specie di castigo sociale. Da ciò il carattere equivoco del comico.12

La croce è un fatto comico per il dramma non solo della morte ma della solitudine, la sua rappresentazione è stata quasi sempre tragica ma ha conosciuto nel Novecento musical e tante versioni. Sempre Amici miei atto secondo, geniale capolavoro comico sulla morte e sul tempo che passa. Rambaldo (Gastone Moschin) che, travestito da Gesù in una rappresentazione pasquale, mentre trascina la croce viene perseguitato burlescamente dai suoi amici, a un certo punto il conte Mascetti (Ugo Tognazzi), nei panni di Giuda, dopo aver dichiarato di non essere pentito ma, anzi, di essere incazzato colpisce per primo Cristo-Rambaldo urlando: lapidiamolo! Il traditore, in questa sorta di Pasqua blasfema, scaglia la prima pietra perché non sente il peccato che Gesù gli ha voluto dare in vita. Ed è ancora il conte Mascetti-Tognazzi, quando Rambaldo viene issato in croce, a dire: «Scendi, se ti riesce!». Riproponendo la situazione descritta dal vangelo di Matteo. Scena comica, che ribalta i ruoli e quanto sappiamo.

Gesù è un tragico Buster Keaton, non ride ma viene deriso (katagheláo) e ridicolizzato, nulla di quello che aveva predicato si avvera, lui però non resta impassibile, inveisce, minaccia, infine urla poco prima di morire; il silenzio non appartiene a Gesù, quello appartiene alla sua faccia, rappresentato nei Cristi dallo sguardo basso di Georges Roualt che richiama le smorfie timide e spaurite di Harry Langdon, genio della comicità americana degli anni Venti oggi dimenticato. Gesù ha riso anzi deriso sé stesso nelle eresie. In una di queste Basilide (II secolo d.C.), per quello che scrive Ireneo, sostiene che Dio ha mandato il suo primogenito per liberare il mondo dagli angeli che lo avevano creato; Cristo ha poi trasformato Simone di Cirene (Mt 27, 32) nel suo sosia ed è stato crocifisso al suo posto. «Gesù invece aveva assunto l’aspetto di Simone e stando lì vicino irrideva i crocifissori»13, proprio come ci viene raccontato dai vangeli sinottici. Si ritorna a Bergson: anche nelle pagine finali del suo libro ribadisce: «Il riso, innanzitutto, è correzione. Fatto per umiliare esso produce nella persona che ne è oggetto una penosa impressione: la società si vendica per mezzo suo della libertà che noi ci prendiamo con essa» 14 . Nella eresia di Basilide Gesù ride dei suoi crocifissori che a loro volta ridono di Cristo-Simone: li sta ingannando, lo scherzo è riuscito, non c’è redenzione attraverso la morte. Per i sinottici sulla croce c’era la celebre insegna Inri (indicava la motivazione della condanna), c’è, forse, lo sberleffo di chi si illudeva di essere re dei Giudei, come si era autoproclamato e invece muore in croce come un qualunque poveraccio15. Sotto la croce c’è più gente che ride che persone che piangono, questo aumenta la tragedia di un uomo e il suo mistero. Terribili sono le parole di Giobbe, la cui angoscia lo pone in relazione alla Trascendenza, quando il Cielo schiaccia l’uomo fino a piegargli la nuca, costringendolo a trovare sulla terra ciò che si trova altrove, gridando come nemmeno a Cristo riuscì:

Sono innocente? Non lo so neppure io,
detesto la mia vita!
Per questo io dico: «È la stessa cosa»:
egli fa perire l’innocente e il reo!
Se un flagello uccide all’improvviso,
della sciagura degli innocenti egli ride.

Ringrazio Maddalena Fingerle, per l’ospitalità, Giancarlo Marinangeli, per la premura, e Marco Ciotola (a lui devo l’espressione “comicità come ethos della fede”).


1 «Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: ‘Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato’. Allora cominceranno a dire ai monti: ‘Cadete su di noi!’, e alle colline: ‘Copriteci!’. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?» (Lc 23, 27-31).

2 «Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”» (Lc 23, 33-34).

3 «Pietro gli disse: “Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque”. Ed egli disse: “Vieni!”. Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: “Signore, salvami!”. E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”» (Mt 14, 29-31).

4 «“Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea”. Pietro gli disse: “Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!”. Gesù gli disse: “In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai”. Ma egli, con grande insistenza, diceva: “Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò”. Lo stesso dicevano pure tutti gli altri» (Mc 14, 26-30).

5 «Allora Pietro gli disse: “Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò”. Gesù gli disse: “In verità ti dico: proprio tu oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte”» (Mc 14, 29-30).

6 «Tornato indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?”» (Mc 13, 37).

7 L. Pulci, Morgante, Milano, 1997, vol. III, pagg. 597-598.

8 H. Bergson, Il riso: saggio sul significato del comico, tr. it. A. Cervesato e C. Gallo, Laterza, Roma-Bari 1982, pag. 15.

9 Ivi, pag.28.

10 Ivi, pag. 63.

11 «Mentre camminavano conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elia salì nel turbine verso il cielo. Eliseo guardava e gridava: “Padre mio, padre mio, cocchio d’Israele e suo cocchiere”. E non lo vide più. Allora afferrò le proprie vesti e le lacerò in due pezzi. Quindi raccolse il mantello, che era caduto a Elia, e tornò indietro, fermandosi sulla riva del Giordano» (Re2 1, 11-13).

12 H. Bergson, op. cit, pag. 88.

13 Il Cristo. Testi teologici e spirituali dal I al IV secolo, I, a cura di Antonio Orbe, Mondadori, Milano 1985, pag. 195.

14 Ivi, pag. 126.

15 «Conteneva l’epigrafe un che di penoso e di beffardo per la nazione; molti che passando la lessero, ne restarono offesi» (E. Renan, Vita di Gesù, tr. it. di E. Torelli-Violler, Dall’Oglio, Milano 1962, pag. 233).