Fillide, sindrome di: particolare sindrome auto-letteraria in base alla quale ciascun redattore della rivista, recensendo l’opera altrui, ne individua gli aspetti comici o umoristici e cerca di appropriarsene per fini redazionali o, più biecamente, personali. Nei suoi sintomi iniziali si manifesta con le seguenti derive fil-logorroiche:
– è un libro simpatico?
– sì, abbastanza simpatico… ci scrivo su?
– ma sì, dai… magari una recensione. Oppure se è piccolo (e pure senza immagini), scrivi una segnalazione.
Nei suoi aspetti più degenerativi, sfocia nell’arte imitativa:
– è un libro solo simpatico o anche umoristico?
– no, a tratti è anche umoristico
– possiamo prenderne spunto? Magari per il prossimo numero della rivista?
– ma sì, ci prendo ispirazione io.
N. B : la sindrome è stata auto-diagnosticata all’interno della redazione della rivista “Fillide”, dopo la lettura del Piccolo dizionario delle malattie letterarie di Marco Rossari (Italo Svevo, Roma 2016). Le redattrici invieranno all’autore una piccola scheda tecnica della sindrome in modo che venga inserita nel prossimo aggiornamento medico della sintomatologia letteraria passata in rassegna. In assenza di una risposta, si rivolgeranno a un altro scrittore. Forse a Fabio Stassi, traduttore italiano di Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno (di E. Berthoud, S. Elderkin, Sellerio, Palermo, 2016) ed esperto di biblioterapia, per capire se esistono rimedi letterari per malattie letterarie. In presenza invece di una risposta, le redattrici della rivista “Fillide” pubblicheranno la seguente recensione:
A cinquant’anni dalla sua prima uscita, riapre nel 2016 la storica casa editrice Italo Svevo fondata nel 1966 da un gruppo di intellettuali triestini ispirati dall’opera del grande romanziere. Il marchio e il catalogo storico sono stati infatti acquistati nel 2013 dall’editore Alberto Gaffi, che non solo ha ripubblicato i vecchi titoli ma ne ha aggiunti di nuovi in una collana ironicamente intitolata “Piccola biblioteca di letteratura inutile”, che nelle intenzioni del suo ideatore, Giovanni Nucci, si propone di esplorare la variegata galleria della prosa saggistica: reportage, divagazione letteraria, divertissment, pamphlet, scritti morali.
Ed è al genere del divertissment per aforismi che appartiene il Piccolo dizionario delle malattie letterarie di Marco Rossari, che converte la biblio-terapia in una biblio-malattia, potenzialmente declinabile all’infinito da chiunque sia affetto da amore per la lettura e, nei suoi livelli più acuti, da dedizione alla scrittura. L’esplorazione dell’universo delle biblio-malattie e dei suoi possibili portatori sani non ha tuttavia scopi terapeutici se non quelli di filtrare attraverso l’ironia le possibili devianze dei letterati e dei lettori di fronte all’oggetto libro a partire dalla sua fascetta: «forma di megalomania mendace dettata da disperazione» (ROSSARI 2016, p. 30), o dalla sua quarta di copertina: «senso di alterazione della realtà inversamente proporzionale alla leggibilità del libro» (p. 45). La climax dissacratoria è ascendente e lambisce tutto ciò che riguarda il libro e i costumi di chi ci lavora sopra organizzando festival, reading e premi letterari come lo «Strega [colpo della]: rimedio universale ai mali dell’editoria. Se ci riesce il colpo dello Strega, per un po’ siamo a cavallo» (p. 49).
Se l’editoria appare un luogo di falsificazioni a fini promozionali, il mondo degli accademici e degli intellettuali non appare più vigoroso o veritiero: vi si aggirano al suo interno personaggi che agitano fantasmi letterari, spettri ideologici e bandiere classificatorie con le quali farsi riconoscere dal pubblico dei lettori. Ed ecco comparire malattie come la «gomorrea: malattia venerea contraibile con impegno. Sintomi: ipertrofia della prosa, ridondanza retorica, forte propensione all’orazione civile» (p. 32). Potremmo anche chiosare che spesso chi soffre di gomorrea patisce, simbioticamente, anche di PPP, acronimo dietro il quale si annida il sempre più frequente citazionismo (o il falso citazionismo) pasoliniano, che induce a spiegare ogni fenomeno sociale in Italia definendolo come “rivoluzione antropologica”. Il tutto, poi, potrebbe avvenire all’interno di un dibattito letterario (e alzi la mano chi non se n’è mai fatto coinvolgere) che, secondo Rossari, è un «infallibile anestetico […]. dopo un’ora di esposizione, rischio esilarante; oltre le due ore, rischio decesso; oltre le tre, strage» (p. 28).
E dopo editori e critici, cadono vittime dell’ironia corrosiva dell’autore anche gli stessi scrittori, generosi eponimi di malattie esotiche e inguaribili come la sindrome di Camilleri, che corrisponde all’«ipertrofia gergale determinata da dialetto» (p. 25), o quella di Salinger, che ti fa vivere nell’ansia di nascondimento anche se nessuno ti insegue, oppure la «bukowskite» (p. 23) che ti fa credere di poter scrivere un capolavoro dopo una colossale sbornia.
Nel dizionario di Rossari l’eponimia classificatoria è un gioco raffinato che individua nello stile di scrittura il principale marchio autoriale di riconoscimento. Ogni scelta stilistica porta con sé un virus che dalla pagina può colpire il lettore e trascinarlo verso il cuore stesso della letteratura, che è l’unico luogo dove, peraltro, nessuno vuole guarire dalle proprie malattie. Anzi, aggiunge Rossari nel bugiardino finale: «la letteratura è una malattia che si contrae nell’infanzia, quando il corpo è più gracile. […] è la malattia del mondo: viene espulsa dal corpo degli uomini e della realtà come il sudore che aiuta a smaltire la febbre […] Perché guarire? La letteratura è una febbre bellissima. Fidatevi: un bugiardino dice sempre la verità» (pp. 57-9).
Post scriptum: la redazione di “Fillide” si chiede se sia davvero possibile fidarsi di un aforista che aggiunge a chiusura della sua raccolta una postfazione chiamata bugiardino e che, tuttavia, nel finale rivendica veridicità e affidabilità. Ci si domanda se questa postfazione possa essere un sintomo della sindrome dell’aforista inattendibile: si manifesta inizialmente con sintomi di invidia verso i narratori inattendibili e poi si evolve nel tentativo di insinuare dubbi nei lettori più ingenui tramite mendaci figure retoriche come antifrasi e litoti (per le quali si controlli l’inserimento nel dizionario da parte dell’aforista inattendibile).