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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 01

 settembre 2010

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Fabio Cioffi

Figure del comico (Protocolli del laboratorio di estetica, Bolzano 2008-2010)

[ 1 dicembre 2008, aula di estetica, liceo “Carducci” ]

«L’umorismo non esiste, esistono gli umoristi»: questa affermazione, che troviamo ripetuta in vari autori (tra gli altri, Croce e Bachtin), testimonia la difficoltà di definire in qualche modo l’essenza del comico. Del resto la storia della filosofia intrattiene con il comico un rapporto difficile, a partire dalla svalutazione del riso nel terzo libro della Repubblica di Platone (che però lo riabilita nel Filebo e nelle Leggi), confermata dalla tesi di Schopenhauer (Supplementi, cap. VIII) che il comico esprime appunto i limiti della ragione, il segno dell’incrinarsi della logica e rimanda al riso della servetta tracia che si prende gioco di Talete.

Nel delineare una serie di relazioni tra il comico e gli ambiti più importanti del pensiero e dell’agire umano (comico e ragione, comico e corpo, comico e teatro, comico e moralità, comico e religioso, comico e conoscenza, comico e tragico) Cioffi sottolinea alcuni aspetti importanti che, se non ci danno forse l’essenza del comico, ne mettono però in rilievo alcuni tratti ineliminabili. In primo luogo egli sottolinea il carattere corale dell’esperienza del riso, messo in luce anche da Bergson nel saggio Le rire in un’indagine fondamentale dei meccanismi di produzione del comico. Ridiamo – sostiene il filosofo francese – della meccanicità e della ripetitività di ciò che dovrebbe essere libero e che invece si trova prigioniero di un meccanismo. A questo si aggiunge il tema dello scarto, della distanza dagli eventi che già era emerso nella tradizione che dipinge Democrito come il filosofo che ride e nella teoria di Hobbes sul comico connesso al senso di superiorità.

L’intervento di Cioffi prosegue con una serie di riflessioni sul rapporto tra comico e ironia nel pensiero di Kiekegaard in cui trova suggestioni per una modalità diversa di considerare la ragione stessa, una modalità per così dire obliqua, che tiene conto del sentimento.

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