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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 13

 settembre 2016

Saggi e rassegne

Fabrizio Cambi

Ridere per sopravvivere. Il teatro comico di Jura Soyfer

«Per quanto la vicenda sia molto penosa, è comunque estremamente umoristica. Veramente, mia cara […] di tutta questa situazione non posso che ridere; è così comico il fatto che nel momento più bohèmien della mia vita sia eletto a nemico dello stato». Con queste affermazioni autoironiche e disincantate il venticinquenne Jura Soyfer (Charkow 1912 – Buchenwald 1939), ucraino ebreo, viennese d’adozione, poeta, cabarettista, drammaturgo, militante socialista, poi comunista, informava la fidanzata Helli Ultmann, in una lettera del 20 dicembre 1937, del suo arresto a Vienna (SOYFER 2003, p. 100). La comicità, qui richiamata come modalità esistenziale di un artista e di un intellettuale, e il Lachtheater sono per questo autore, che muore all’età di Georg Büchner, componenti essenziali di una poetica e di una prassi drammaturgica e al tempo stesso strumenti cognitivi e di lotta per smascherare e contrastare le strategie perverse dell’Austrofascismo e del Nazionalsocialismo. Non si tratta di una «comicità della disperazione» né di un «umorismo patibolare» (JARKA 1995, p. 27), ma di un principio poetologico in base al quale poter affermare la verità ridendo, superando quindi la posizione di Otto Julius Bierbaum secondo cui «l’umorismo si dà quando nonostante tutto si riesce a ridere» (motto a epigrafe del diario di viaggio di Bierbaum Yankeedoodle-Fahrt, 1903). Per Soyfer vale se mai la convinzione che «è perduto chi ha perduto l’umorismo». Ma la questione più rilevante e sorprendente è come fosse possibile ridere e far ridere in tempi tanto bui e minacciosi che Soyfer rappresenta nel suo teatro anticipando la catastrofe imminente (vedi in proposito OTTAI 2016).

L’elemento ludico, del divertissement insito nella comicità resta il fine della sua arte, mai subalterna o funzionale a finalità politiche e didascaliche che comunque si manifestano e si impongono di per sé in tutta la loro drammatica carica premonitrice. Prima di esaminare analiticamente le modalità del comico in due pièces è opportuno dare qualche cenno sull’opera di Soyfer, composta, in un arco di non più di nove anni, da circa 150 liriche e songs, una decina di testi teatrali, un romanzo non concluso, un ricco corpus saggistico di genere politico, letterario e drammaturgico. Gli esordi risalgono al 1929, anno della morte di Hofmannsthal e del conferimento del Premio Nobel a Thomas Mann, quando comincia a collaborare al Politisches Kabarett e a scrivere le prime liriche. Nel 1932 pubblica sulla “Arbeiter-Zeitung” i reportages di viaggio in Francia e in Germania e compone il primo testo teatrale Christbaum der Menschheit, una celebrazione proletaria del Natale. Nel 1933, dopo l’esautoramento del Parlamento ad opera di Dollfuß, scrive il ciclo agitprop Wir klagen an e l’anno dopo, che vede la costituzione del governo Schuschnigg, si avvicina alla KPÖ, avvia la stesura del romanzo So starb eine Partei e compone i testi per il “Wiener Tag”, sketches, songs e Mittelstücke per i piccoli teatri viennesi come ABC e Literatur am Naschmarkt. Nel dicembre 1937 viene arrestato una prima volta. Rilasciato dopo tre mesi è fermato dalla Gestapo il 13 marzo 1938 a poche centinaia di metri dal confine svizzero. Internato nel campo di concentramento di Dachau fino al settembre, è trasferito in quello di Buchenwald dove muore di tifo il 16 febbraio 1939, lasciando come testamento e testimonianza di resistenza e speranza il Dachaulied. Soyfer è il poeta dell’”altra” Austria, sommersa e popolare, le cui manifestazioni risultano eccentriche al mito della cultura mitteleuropea fra Otto e Novecento. Soyfer, attratto dalla vitalità dei teatri viennesi di periferia, scrive e recita al ‘pianterreno’ e non al ‘primo piano’ della cultura per mantenere uno stretto rapporto con il pubblico coinvolgendolo nella rappresentazione aggiornata di conflitti politico-sociali inscritti spesso nella cornice della tradizione popolare di Johann Nestroy e Ferdinand Raimund.

La cornice cosmica della pièceDer Weltuntergang. «Die Welt steht auf kein’ Fall mehr lang…» (Zwischen Himmel und Erde) (La fine del mondo. «Il mondo non reggerà ancora a lungo…» (fra cielo e terra)), con il prologo e l’epilogo calati nella Zauberdramatik dei pianeti chiamati a consulto dal sole per rimediare alla disarmonia della terra, richiama la farsa magica Der böse Geist Lumpazivagabundus oder Das liederliche Kleeblatt (1833) di Nestroy oltre che la tragedia Die letzten Tage der Menschheit (1918-19) di Karl Kraus. Il titolo apocalittico di quest’opera, rappresentata dal 6 maggio all’11 luglio 1936 nell’ABC-cabaret, era il riflesso del succedersi di drammatici avvenimenti, basti ricordare che l’ultima rappresentazione coincise con gli accordi di Berchtesgaden fra Hitler e il cancelliere Schuschnigg. Nella cornice drammatica l’allegoria della cometa Konrad, inviata da sua maestà il sole, su suggerimento di Marte, sulla terra per bonificarla dal parassita uomo e farla così rientrare nell’armonia celeste, è tragicomica quanto profetica rappresentazione dell’umanità di fronte all’imminente catastrofe della guerra. Lo scienziato Guck, che ha inventato una macchina in grado di evitare l’impatto, resta inascoltato nelle varie capitali europee. I trenta giorni di tempo che gli uomini hanno per tentare di salvare se stessi e la terra dalla distruzione si consumano nella sottovalutazione del pericolo e nella convinzione che ognuno riuscirà in qualche modo a salvarsi e che a soccombere sarà sempre l’altro. La cometa non distruggerà la terra non perché gli uomini hanno saputo porvi rimedio, ma perché innamoratasi di lei la risparmia disobbedendo agli ordini celesti. L’evidente finalità satirica, con la quale Soyfer intende denunciare la miopia degli uomini, il loro egoismo, l’interesse individuale e dei mercati finanziari, l’ottusità e l’irresponsabilità dei politici, non è disgiunta, anzi è accentuata dalla vis comica.

Nel quarto quadro ha luogo un’udienza del professor Guck presso «un führer», dove con l’articolo indeterminativo da un lato non si può mettere in dubbio l’evidente riferimento a Hitler, mentre dall’altro l’autore allude a una estensione e generalizzazione del potere dittatoriale:

FÜHRER: Professore, lei ha tratto il suo genio dalle radici della forza del nostro popolo. Mi dia la sua forte

mano! […]

GUCK: No, devo veramente…

FÜHRER: Niente no! No è una parola straniera! Guck, dello stato lei è il pubblico orgoglio numero due! La

fine del mondo è un’invenzione del popolo! […]

GUCK: Ma…

FÜHRER: Niente ma! Ma è un’espressione marxista! […]

GUCK: Credo che lei non comprenda completamente il significato della mia scoperta. La cometa ci

distruggerà tutti.

FÜHRER: Per distruggere ci sono qua io!

GUCK: Ma l’intera umanità…

FÜHRER: Umanità? Non la conosco!

GUCK: Un’esecuzione di massa…

FÜHRER: Questa la conosco…

(SOYFER 2011, I, p. 81)

L’ideologia e la politica nazionalsocialista sono condensate in poche battute costruite con una vena comica che alimenta la cornice satirica. Hitler è al potere da tre anni e Soyfer prefigura già nel 1936 l’esito tragico della sua azione che due anni dopo avrebbe come primo passo portato all’Anschluß.

Quanto più si avvicina la scadenza della fine del mondo, secondo i calcoli dello scienziato, tanto più l’evento distruttivo diviene oggetto di intrattenimento e di profitto. La constatazione di Guck: «Evidentemente gli uomini devono occuparsi tanto della vita che non arrivano proprio a pensare alla morte» (SOYFER 2011, I, p. 121) introduce a una scena in cui la comicità traspare dalla situazione grottesca del giovane che, abbandonato dalla sua ragazza, vuole farla finita gettandosi nel Danubio:

GUCK: Dove va così di fretta, giovanotto?

SUICIDA: Vado a buttarmi nel Danubio.

GUCK: Ma perché mai?

SUICIDA: La mia ragazza mi ha lasciato. Vado a buttarmi nel Danubio.

GUCK: Giovanotto, domani a mezzogiorno il mondo finirà.

SUICIDA: E io vado a buttarmi nel Danubio.

GUCK: Mi dica, e fino ad allora non può proprio resistere?

SUICIDA: La mia ragazza mi ha lasciato. Vado a buttarmi nel Danubio.

GUCK: Ma un briciolo di pazienza. Tanto domani a mezzogiorno va tutto in fumo!

SUICIDA: Non si sa mai.

(SOYFER 2011, I, pp. 121-123)

Nella pièce le situazioni comiche si determinano per l’incapacità di comprendere la portata di un rischio planetario che viene tutt’al più derubricato e riassorbito dalla routine. Il continuare a vivere come se nulla stia per accadere, senza dare ascolto a Guck che potrebbe con una sua macchina deviare la traiettoria della cometa, genera nella fitta e frizzante tessitura di gags la combinazione tragicomica. Ne è ancora un esempio la grottesca conversazione di due diplomatici:

PRIMO DIPLOMATICO: Il mondo finirà fra venti giorni. Deve ammettere, Sir, che al fatto non gli si può

non riconoscere il carattere d’urgenza.

SECONDO DIPLOMATICO: Capirà, Monsieur, che l’equilibrio europeo non dovrà in alcun modo risentire

della fine del mondo.

PRIMO: Che cosa intende fare allora?

SECONDO: Niente. È sempre la cosa più sicura.

PRIMO: Ma la fine del mondo…

SECONDO: La fine del mondo saprà comportarsi da gentildonna.

(SOYFER 2011, I, p. 101)

La terra si salva non per un qualche intervento dell’uomo, ma per l’atto d’amore della cometa che disobbedisce agli ordini celesti e all’apoteosi del sistema solare nel valzer iniziale dei pianeti risponde con il Canto della terra, proiezione utopica di Soyfer nello spirito nestroyano e illuministico. È una speranza che sembra vanificata in Vineta. Die versunkene Stadt (Vineta. La città sommersa) in cui Soyfer rielabora l’antico mito della città inabissata sulle rive del Baltico a seguito di un maremoto, trattato da molti autori fra i quali Heinrich Heine e Karl Kraus. Al di là del chiaro riferimento nel titolo e nei contenuti a Vienna, l’assenza per la prima volta del dialetto viennese sostituito da un più duro dialetto tedesco del nord richiama il viaggio compiuto dall’autore in Germania, in particolare ad Amburgo, di cui ci resta l’incisivo reportage Kalte Schlote an der Nordsee, pubblicato sulla “Arbeiter-Zeitung” il primo marzo 1932. Soyfer dovette restare colpito dallo sterminato paesaggio portuale in cui i colossi cantieristici contrastano con l’immobilismo dei disoccupati. In realtà Vineta, rappresentata nel programma Via Bagdad nach Vineta, dall’11 settembre al 19 novembre 1937 nell’ABC-cabaret, è metafora e parabola satirica del processo di medievalizzazione della Vienna nel regime austro fascista di Dollfuß-Schuschnigg e della bancarotta di una società ridotta a un patriarcato primitivo.

Il protagonista, il vecchio marinaio e palombaro Jonny, racconta alla prostituta Kathrin la sua esperienza vissuta a Vineta, la città morta in fondo al mare, i cui abitanti si credono vivi. Vivendo fra i morti, Jonny esperimenta la non vita, diviene cittadino vinetese, fa carriera, diventa senatore, sposa la cinquecentodiciottenne Fiorella. Ma in realtà non si integra in quella società cristallizzata nella morte perché resta animato dalla volontà di riportare alla vita i suoi abitanti pronunciando quella parola vietata. Alla sua ribellione che culmina nel grido: «Ascoltate, ascoltate tutti! Vineta, il vostro mondo è morto» segue, all’atto della riemersione, il risveglio sulla nave ancora una volta secondo canoni illuministici come dice Jonny a Kathrin alla fine della narrazione: «Ma se un giorno venisse un maremoto, una grande guerra, una grande barbarie, mi chiedo se non diventerebbe tutto il mondo una Vineta» (SOYFER 2011, II, p. 69). Il risveglio dall’incoscienza, per mancanza di ossigeno, che ha fatto vivere al protagonista uno stato fra la vita e la morte, vissuto come un incubo e una grande allucinazione, inquadra la metafora di una società che sulla sua fine ha costruito una non esistenza come unica possibile forma di sussistenza. Di fronte a questa inquietante rivisitazione del mito di Atlantide sembrerebbe fuori luogo la presenza del comico. Al contrario esso costituisce una delle componenti essenziali di questa rappresentazione grottesca con evidenti connotazioni della letteratura dell’assurdo. La situazione tragicomica nasce dal sovvertimento della categoria temporale e dal rovesciamento di piani fra chi è vivo e chi è morto e non lo sa, come osserva il segretario comunale della città sommersa: «Vineta è morta, ma Vineta non lo sa. Buffa situazione, no? Non viviamo e non possiamo morire. Non invecchiamo, non odiamo, non amiamo, non abbiamo paura. Non lottiamo più per niente, non speriamo in niente» (SOYFER 2011, II, p. 49). Tenendo presenti il carattere metaforico e la trasposizione nel presente, in cui venendo meno valori e diritti della libertà e della speranza nel futuro si è già morti senza saperlo, la comicità con la sua carica surreale e iperbolica produce una stimolazione cognitiva. Qualche esempio: Jonny, che nell’immersione si risveglia nella città in fondo al mare, incontra una guardia in divisa medievale in mezzo alla piazza deserta e gli chiede la via più breve per raggiungere il porto. La guardia risponde come un automa: «Come secondo le regole. Dirigo il traffico». Il dialogo prosegue:

JONNY: Ce n’è qui di traffico?

GUARDIA: No, come secondo le regole!

JONNY: E allora?

GUARDIA: Io lo dirigo. […]

JONNY: Ora le chiedo un ultimo favore: mi dica che è qui da dopodomani e poi sono a posto.

GUARDIA: Sì, da dopodomani, come secondo le regole.

(SOYFER 2011, II, p. 25)

Più avanti a Jonny, come straniero e per di più unico vivo nel mondo acquatico di Vineta, viene chiesto un documento di identità:

SEGRETARIO COMUNALE: Documenti.

JONNY: Che documenti?

SEGRETARIO COMUNALE: Tutti

JONNY: Non ho documenti. Voglio uscire di qui. A cosa servono i miei documenti?

SEGRETARIO COMUNALE: Questo non lo so. Io ho soltanto il compito di chiederglieli.

JONNY: Non ho documenti, le dico. Nel tipo di viaggio che ho fatto non si usa portarsi dietro i documenti.

SEGRETARIO COMUNALE: Allora torni dopodomani.

JONNY: Maledizione! Non li avrò neanche dopodomani.

SEGRETARIO COMUNALE: Allora torni ieri l’altro tra le cinque e le due.

(SOYFER 2011, II, p. 35)

Questo dialogo, in cui tramite il non-senso il comico esprime l’incomunicabilità del naufrago e dell’uomo investito di potere, è da considerare una riscrittura ermeneutica dello schizzo in forma di parabola Gibs auf, qui riportato in nota1, di Kafka, composto nel dicembre 1922 e pubblicato postumo nel 1936 proprio quando Soyfer sta lavorando a Vineta. Nella prosa kafkiana la constatazione casuale e banale che il proprio orologio non è in sincronia con quello ufficiale del campanile determina un dramma metafisico, l’angoscia del disorientamento, l’impossibilità di trovare la via e la condanna alla resa decretata con supponenza dal vigile al tempo stesso giudice riproponendo in un fulminante microcosmo l’intricato mondo del Processo. In Vineta Jonny non si arrende anche se al perentorio ordine conclusivo della guardia «rabbrividisce ‒ perché ‒ la cosa comincia a fargli paura». Lo sgomento esistenziale e metafisico nello schizzo kafkiano diviene nella pièce di Soyfer torbida metafora del tempo presente senza futuro sulla soglia del baratro dove un mendicante non può che affermare: «Speriamo che lo ieri sia migliore» (SOYFER 2011, II, p. 39) e alla domanda di Jonny alla moglie se lei lo ami questa risponde: «Certo che sì, tesoro», ma alla domanda ulteriore di lui: «E sai che cos’è l’amore?» esclama: «Certo che no, tesoro» (SOYFER 2011, II, p. 55). Il comico si fa amaro, corrosivo e premonitore affermandosi come uno strumento dolorosamente accattivante per illuminare versanti bui e minacciosi della storia.

Bibliografia

SOYFER Jura (2003), Sturmzeit. Briefe 1931-1939, Deuticke, Wien

SOYFER Jura (2011), Teatro, trad. di Laura Masi, a cura di Hermann Dorowin, Morlacchi, Perugia, 2 voll.

KAFKA Franz (1983), Arrenditi!, in Skizzen-Parabeln-Aphorismen /Schizzi-Parabole-Aforismi, a cura di Giuliano Baioni, Mursia, Milano

JARKA Horst (1995), Komik und Zeitgeschichte bei Soyfer, in Herbert Arlt, Fabrizio Cambi (a cura di), Lachen und Jura Soyfer, Röhrig Universitätsverlag, St. Ingbert

OTTAI Antonella (2016), Ridere rende liberi. Comici nei campi nazisti, Quodlibet, Macerata

Nota

1 «Era mattina molto presto, le strade erano pulite e deserte, io andavo alla stazione. Quando confrontai l’orologio di un campanile con il mio orologio, vidi che era molto più tardi di quanto avessi creduto, dovevo fare molto in fretta, lo sgomento per questa scoperta mi rese incerto circa la strada da prendere, non ero ancora molto pratico di quella città, per fortuna lì vicino c’era un vigile, corsi verso di lui e, senza fiato, gli chiesi la strada. Egli sorrise e disse: “Da me vuoi sapere la strada?, “Sì”, dissi io, “perché da solo non riesco a trovarla”, “Arrenditi, arrenditi”, disse lui, e i volse con gran slancio, come fa chi vuole essere solo con la propria risata» (KAFKA 1983, p. 91).