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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 09

 settembre 2014

Saggi e rassegne

Fabrizio Cambi

Thomas Mann e il principio dell’ironia nel suo “arruolamento” intellettuale alla Grande Guerra

Per mettere a fuoco la complessa posizione politica e intellettuale di Thomas Mann durante la Prima guerra mondiale è opportuno ricordare alcuni fatti autobiografici. Quando il primo agosto 1914 scoppia il conflitto lo scrittore, che sta lavorando alla Montagna magica, scrive al fratello Heinrich:

Sono come trasognato e tuttavia ci si deve davvero vergognare di non aver ritenuto possibile la catastrofe, di non aver visto il suo approssimarsi. Quale tormento! Come apparirà l’Europa, interiormente ed esteriormente quando sarà passata? (THOMAS MANN-HEINRICH MANN 1995, lettera del 7 agosto 1914, p. 108)

In quegli stessi giorni si sposa il fratello Viktor, prima di partire per il fronte, come il cognato Heinz Pringsheim. Facendo parte delle classi più anziane del servizio territoriale, Thomas si presenta per l’arruolamento alla fine dell’anno. In seguito chiarirà così l’esonero:

Esonerato par excellence dal servizio militare, ho sempre avuto con la vita del soldato rapporti esclusivamente simbolici. […] Il medico militare, persona evidentemente molto civile e cieco ammiratore delle belle arti […] mi riformò ‘affinché potessi starmene tranquillo’. (Alla lettera) Un caso assolutamente non tedesco di corruzione mediante la letteratura. (THOMAS MANN 1967, lettera del primo ottobre 1915, p. 36)

Fra il 22 agosto e il 12 settembre, giorno della battaglia della Marna, scrive l’articolo Gedanken im Kriege (Pensieri di guerra) a sostegno della causa tedesca, pubblicato sul numero di novembre della “Neue Rundschau”; fra settembre e ottobre Gute Feldpost (Buone nuove dal campo di battaglia), uscito su “Zeitecho. Ein Kriegstagebuch der Künstler”, incentrato sul motto “vivere da soldato senza essere soldato”. Nell’autunno compone il saggio storico-politico Friedrich und die groβe Koalition. Ein Abriβ für den Tag und die Stunde (Federico e la grande coalizione. Una traccia per il giorno e l’ora). Nel novembre dell’anno seguente, sospendendo la stesura della Montagna magica, avvia il saggio Betrachtungen eines Unpolitischen (Considerazioni di un impolitico), completato nel marzo 1918. Mann, esonerato definitivamente dal servizio militare l’11 novembre 1916 per insufficienza dell’apparato gastrico e fragilità nervosa, decide di arruolarsi «in servizio spirituale armato» per tutta la durata della guerra per condurre da artista una lotta di giustificazione e di sostegno, quantunque consapevolmente di retroguardia, della Germania e della germanicità. Delle Considerazioni di un impolitico Mann stesso dà molteplici definizioni nell’opera sulla quale esiste una consistente letteratura critica, cui si rinvia in appendice. «Opera d’artista, non opera d’arte» (THOMAS MANN 1997, p. 34), «prodotto di una certa indescrivibile irritabilità contro ogni tendenza spirituale del momento, di un’eccitabilità epidermica, di una nervosità percettiva» (p. 33), scrive l’autore nella Prefazione composta ex post, mentre molti anni dopo, conclusa anche la Seconda guerra mondiale, ricorderà così il suo saggio di guerra nello scritto Meine Zeit (1950):

Nel profondo il libro fu molto più un romanzo sperimentale e di formazione che un manifesto politico. Dal punto di vista psicologico fu una lunga ricognizione in forma polemica della sfera nazional-conservatrice. (THOMAS MANN 1974a, p. 313)

Cronaca polemica delle dinamiche ideologiche incentrate sulla contrapposizione di Kultur e Zivilisation, le Considerazioni nella loro iperfetazione saggistica si sviluppano e crescono in forza del principio compositivo-strutturale e filosofico dell’ironia su cui, tranne eccezioni, non ci si è soffermati a sufficienza in particolare riguardo alla sua necessaria contestualizzazione nell’opera manniana dal Tonio Kröger alla Montagna magica e alla complementare ricezione di Nietzsche. La chiave per orientarsi in questo percorso è data senza dubbio dall’ultimo capitolo dal titolo emblematico Ironia e radicalismo. «Il rapporto tra vita e spirito è un rapporto estremamente delicato, difficile, eccitante, doloroso, carico d’ironia e di erotismo» (THOMAS MANN 1997a, p. 499). A distanza di anni, Mann si riferisce ancora a Tonio Kröger, a quella «ballata in prosa» in cui formulava una teoria dell’ironia costruita sull’opposizione di arte, spirito e letteratura da una parte e vita dall’altra, tanto più bella quanto più vera, «innocente, improblematica», impersonata dagli occhiazzurri Hans Hansen e Inge Holm. La sintesi è rappresentata dal tentativo di abbracciare mediante un’ironia erotica «tutto ciò che non è … turbato dallo spirito». Tonio Kröger, scrittore in pectore, è il modello dell’artista che intende accostarsi «in un rapporto di strano distacco e lontananza» alla vita fertile e integra, mantenendo quella distanza necessaria per l’«abbracciamento innamorato di tutto ciò che non è spirito e arte». L’affermazione nella novella dell’unità di arte e spirito, mirata a rendere letterariamente concreta l’«aspirazione dell’amore per la vita», ha come presupposto poetologico una posizione astigmatica e marginalizzata dello scrittore, necessaria per comprendere e rappresentare la ricchezza della vita irriflessa. La finalità di una comprensione della natura tramite la rappresentazione artistica costituisce per un verso una variante novecentesca dell’‘abbracciamento’ romantico di una totalità comunque deprivata del coinvolgimento immediato del soggetto, dall’altro il risultato della rivendicazione di una ricezione autentica della lezione nietzscheana come è sottolineato nella Prefazione delle Considerazioni:

Sotto l’aspetto poetico e spirituale, l’esperienza di Nietzsche offre due possibilità affini. La prima è quell’estetismo della scelleratezza e del Rinascimento, quel culto isterico della forza, della bellezza e della vita di cui si compiacque per un certo tempo una certa poesia. L’altra possibilità si chiama ironia, e mi riferisco con questo al mio caso. (THOMAS MANN 1997a, p. 46)

La condanna in blocco dell’«estetismo alla Cesare Borgia», del ‘rinascimentismo’ e del dannunzianesimo, assimilati ed esaltati nella narrativa del fratello Heinrich, è motivata secondo Thomas da un’errata interpretazione in chiave superomistica di Nietzsche. Per rappresentare il possibile approdo alla vita occorre assumere al contrario un «contegno morale», caratterizzato nella rappresentazione da un’«autonegazione dello spirito» in funzione della vita e in questo processo sostenuta da una disposizione ironica. È significativo che in questi stessi anni Robert Musil costruisse nell’Uomo senza qualità due linee interpretative antitetiche del pensiero nietscheano. All’esaltazione vitalistico-irrazionalistica di Clarisse il protagonista Ulrich, che dona all’amica un’edizione delle opere del filosofo in occasione delle sue nozze, oppone la ricezione più profonda e produttiva dell’insegnamento del pensatore: quello del relativismo e del ‘sezionamento’ assiologico. Nel Saggio autobiografico (1930) Mann precisa nel modo più trasparente e incisivo il suo problematico rapporto con Nietzsche e la sua interpretazione in chiave ironica. È noto che Nietzsche non affronta organicamente il tema dell’ironia e anche quando polemizza con la tradizione romantica, come nell’aforisma 370, Che cos’è il romanticismo?, della Gaia scienza, definito «sovrabbondanza della vita» fatta propria da Schopenhauer e da Wagner, non fa menzione della teoria romantica dell’ironia elaborata da Friedrich Schlegel e confutata da Hegel. Solo in Umano, troppo umano dedica l’aforisma 372 all’ironia intesa come un

mezzo pedagogico, da parte di un maestro che tratta con allievi di qualsiasi specie: scopo di essa è provocare umiliazione e vergogna, ma di quella specie salutare che risveglia buoni propositi e ci induce a dimostrare rispetto e gratitudine […] L’ironico simula ignoranza […].

Qui Nietzsche ripropone la concezione socratica fin nel significato di eirōneίa, cioè di dissimulazione e di finta autoironia. Questo aforisma è indirettamente riproposto nella Montagna magica in un dialogo fra Settembrini e Hans Castorp. Thomas Mann ancora nel Saggio autobiografico confessa quasi paradossalmente a proposito del filosofo:

Non prendevo alla lettera nessuna delle sue parole, non gli credevo quasi in nulla, e ciò appunto conferiva al mio amore per lui una passione su doppio binario, la vera profondità […] La sua esaltazione della ‘vita’ a danno dello spirito non potevo assimilarla che in un modo solo: come ironia. (THOMAS MANN 1997b, p. 1460).

Sembrano riaffiorare le parole di Zarathustra ai suoi discepoli: «Si ripaga male un maestro, se si rimane sempre scolari … e ora vi ordino di perdermi e di trovarmi» (NIETZSCHE 1976, p. 92). Il distacco, l’indipendenza dal maestro che vuole essere dipendenza e continuità si coagulano in un processo di Verbürgerlichung che a Mann appare più conseguente e autentico rispetto a ogni «eroica ebbrezza estetica», in quanto si basa su una identificazione del concetto ditirambico della vita genuinamente bella tramite il recupero di una dimensione borghese sana e vitale già rappresentata nel racconto Tonio Kröger. L’atteggiamento ironico-erotico risulta quindi il prodotto dell’esperienza nietzscheana, da un lato mirata a un’esaltazione della vita e, secondo lo schema oppositivo manniano, della Kultur, intesa come «unità, stile, forma, compostezza, gusto» e come «una certa organizzazione spirituale del mondo» (THOMAS MANN 1974b, p. 528), dall’altro considerata come «premessa di un periodo di pensiero conservatore» che anima lo scrittore durante la guerra. L’ironia, come antidoto dell’estetismo, traduce in intervento ideologico-morale l’habitus e la militanza dello scrittore che intende far comprendere le radici profonde della civiltà tedesca e le ragioni inevitabili della guerra. Distacco e coinvolgimento, costitutivi della disposizione ironico-erotica risultano un falso ossimoro nella prassi saggistica di Mann negli anni del conflitto mondiale. L’ironia diviene in questo modo strumento di giustificazione e di lotta. Alla militaristica strategia intellettuale si aggiunge infatti l’aspetto ulteriore dell’equiparazione e della successiva identificazione dell’artista con il soldato. Fra «l’arte della guerra e la ‘guerra’ dell’arte» (Marianelli in MANN 1997a, p. 16) sussiste una forte affinità, anzi nel saggio Pensieri di guerra Mann rivendica per lo scrittore gli stessi requisiti e le qualità del guerriero:

Organizzazione […], l’azione reciproca di entusiasmo e ordine, sistematicità […], solidità, esattezza, accortezza, coraggio, costanza nella sopportazione di fatiche e sconfitte […], spietatezza verso di sé, radicalismo morale, dedizione estrema fino al martirio […], tutto ciò è in realtà militaresco e artistico. (THOMAS MANN 1974b, p. 530)

Missione del poeta e del soldato convergono attingendo al demiurgico vitalismo di tradizione romantico-novalisiana e si condensano nella peculiare parola tedesca “Dienst”, un servizio da prestare come dovere morale quale quello «freddo e appassionato» dello scrittore Gustav von Aschenbach nella Morte a Venezia, conclusa nell’estate 1912, il cui bilancio di vita riecheggia nelle Considerazioni: «Anche lui aveva prestato servizio, anche lui era stato soldato e guerriero come alcuni di costoro, ‒ giacché l’arte era una guerra, una lotta logorante» (THOMAS MANN 2009, p. 191). Nell’agone creativo di Aschenbach, disseminato di fragilità e debolezze, eroismo nel superamento di se stesso ed erotismo si fondono e sostengono a vicenda. Arte e guerra, eroismo, nella consapevolezza scettica della sconfitta certa, ed erotismo, nella passione per la Kultur tedesca, sono le linee guida del vastissimo itinerario di Mann nelle Considerazioni, «una corsa a ostacoli fra rovi e spine», un’«ultima grande battaglia data, non senza coraggio, dalla borghesia romantica in ritirata di fronte al mondo nuovo», vissuta individualmente come un «fenomeno psicologico o patologico» (THOMAS MANN 1997b, pp. 1478-79).

Alla politicità della tradizione illuministica occidentale, democratica e radicale, guidata dalla ragione e votata al progresso, Mann oppone un’impoliticità in grado di arginarla o almeno di consentire una ritirata dignitosa. Una visione impolitica implica una prospettiva conservatrice, volta alla salvaguardia di un patrimonio culturale minato militarmente e ideologicamente. «Essere conservatore significa volere che la Germania rimanga tedesca, proprio quello che non vuole la democrazia» (THOMAS MANN 1997a, p. 272), scrive Mann che nell’ultimo capitolo Ironia e radicalismo, già citato, ribadisce l’elemento complementare:

L’uomo dotato di ironia è conservatore. Un conservatorismo, tuttavia, è ironico solo quando non rappresenta la voce della vita che anela a se stessa, bensì la voce dello spirito che non si interessa di sé ma della vita. (p. 565)

E poco più avanti: «Che cos’è il conservatorismo? L’ironia erotica dello spirito» (p. 566). Nella parte conclusiva delle Considerazioni la triangolazione di conservatorismo, spirito e ironia si fa più stringente ed esplicita. E di nuovo è ancora l’ironia la chiave di volta, il baricentro mediano e mediatore fra vita e spirito che tramite la propria autonegazione si rivolge ad essa. La difesa e la valorizzazione della vita, calata nella propria individualità e declinata nella Kultur tedesca, si attuano grazie all’intervento dello spirito che per controllarne l’irruenza irrazionale trova un sostegno nell’ironia «come modestia, come scetticismo volto all’indietro ed etica personale» (p. 573). Anche in questa fase tanto tormentata è conservato l’impianto originario del contegno ironico teorizzato da Tonio Kröger che, per abbracciare con nostalgia e affetto la vita, deve collocarsi ai suoi margini. Mann non esita a definire l’ironia nella doppia ottica, che si muove nelle due direzioni della vita e dello spirito, come «bastarda», ambigua e fluttuante fra la ratio e i sensi, in un movimento significativamente rappresentato dalla citazione dal Faust goethiano: «Dentro il cuore, ah, mi vivono due anime» (GOETHE 1990, v. 1112).

La resistenza conservatrice operata da Mann, anche in considerazione delle sue ripetute affermazioni a latere, appare un atto dovuto come assunzione di individuale responsabilità morale e di collettiva rappresentanza del popolo tedesco, ma nelle pieghe del mare tempestoso delle Considerazioni e dei tragici eventi della guerra si colgono spunti interessanti di filosofia della storia riguardo al problematico inquadramento critico del progresso da parte di un artista impolitico che proprio nell’arte intravede un orizzonte di sopravvivenza di fronte all’incalzante razionalità moderna. Con la sconfitta della Germania e il crollo degli imperi asburgico e guglielmino Mann può archiviare il suo militante contributo nazionalistico-patriottico e iniziare un percorso democratico che nel dopoguerra raggiunge già uno dei momenti più nobili con il discorso Della Repubblica tedesca, tenuto il 15 ottobre 1922 nel Beethovensaal di Berlino in occasione del sessantesimo compleanno dello scrittore Gerhard Hauptmann. In proposito aveva scritto il 4 settembre ad Arthur Schnitzler:

Esorto la parte restia della nostra gioventù e della nostra borghesia a mettersi finalmente, senza riserve, al servizio della Repubblica e dell’umanesimo: una tesi di cui Lei, forse, si stupirà. Ma proprio in quanto autore delle Considerazioni di un impolitico mi credetti in debito di dare al mio paese, in questo momento, un tal manifesto. (THOMAS MANN 1986, lettera del 4 settembre 1922, p. 166).

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