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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 15

 ottobre 2017

Testi

Federigo Tozzi

La gallina disfattista (1919)

in Le novelle, vol. II, Firenze, Vallecchi, 1988

Il signor Demetrio Serti, a cinquant’anni, si era fatto sentimentale. In villeggiatura ci andava perché, dopo cena, quando la digestione gli faceva passare quei deliziosi brividi di freddo su lo stomaco, era certo di provare, stando alla finestra, certe emozioni indefinibili che gli inumidivano gli occhi; e allora, difatti, guardava sopra le olivete come un innamorato, e sospirava.

Per l’appunto, proprio nel caldo del luglio, una sera che aveva invitato gli altri villeggianti e i contadini per festeggiare con un ballo su l’aia quattro giovinotti che dal Piave erano venuti in licenza, un colpo d’aria gli fece gonfiare una gengiva.

Spasimava da battere la testa nel muro, ma impossibile rimandare la festa! Poteva, anzitutto cambiare il tempo; poi, alcuni degli altri villeggianti dovevano tornare in città; e, infine, perché le cose riescono bene quando si fanno a pena dette. C’era la sua figliuola, in vacanze, Paolina, che doveva divertirsi! C’era la moglie! E quei quattro giovinotti non meritavano un poco di affetto? Per una gengiva infiammata farsi deridere proprio da quelli che tornavano dalla guerra? E la patria non contava più d’una gengiva gonfia? Egli lo sapeva, perché portava la cravatta tricolore e nelle dimostrazioni non si risparmiava.

Dunque, dopo aver bevuto alcune tazze di brodo, perché a masticare non gli sarebbe stato possibile, si fasciò con un fazzoletto di seta e con la bambagia, si sciacquò la bocca con il cognacche e poi biascicò un garofano. Egli avrebbe sonato la chitarra; e Berto, uno dei quattro soldati, l’organetto. Bisognava che ridessero per forza!

Quando apparve con lo strumento sotto il braccio, lo accolsero con evviva. Ma egli si mise una mano sul fazzoletto, dalla parte gonfia, scosse la testa; e, ritto nel mezzo dell’aia, cominciò ad accordare. Berto pigiò qualche tasto, ma tutti gli gridarono: – Tu aspetta!

Volevano la chitarra e l’eroico signor Demetrio!

Le donne, specie le serve delle quattro famiglie riunite, provarono come uno strappo giocondo dentro il cuore; e, senza né meno accorgersene fecero qualche passo ballando. Subito i giovanotti andarono intorno a loro chiudendosele in mezzo. Le signorine, guidate da Paolina che strillava anche per dire una parola sola, canticchiarono, un poco sottovoce, un ballabile. Berto esclamò:

– Codesto sarebbe bello da vero, ma qui con l’organetto non lo so suonare.

Una di loro rispose:

– Non importa! Non importa! Ci divertiremo di più se suonerete a modo vostro, come se foste in trincea.

Uno dei soldati rispose:

– In trincea si suonava anche con il fucile!

Le ragazze restarono un poco mortificate, ma avevano creduto di far piacere a ricordare la guerra.

I giovinotti dei villeggianti (c’erano fra essi due studenti e due impiegati) convennero di ballare con le contadine. E allora le signorine, contente, decisero subito di prendersi i reduci. I babbi e le mamme restarono a sedere, chi su le sedie, chi sopra un muricciolo e chi sopra un mucchio di travi. Non ci mancava che cominciare!

Il signor Demetrio provò due accordi, ma mentre tutti s’erano presi per mano, e aspettavano la prima nota per moversi, si sentì fare crac: s’era rotta una corda! Il signor Demetrio, come offeso, disse:

– È l’umidità: lo sapevo che sarebbe stato difficile che tutto andasse bene!

– Ed ora? – gli chiese la figliola, mettendogli una mano sopra una spalla e tenendo un piede alzato.

Alcuni gridarono:

– Suoni l’organino solo!

Berto, che l’invidia della chitarra aveva fatto doventare serio e taciturno, sentì tremarsi tutto dalla gioia: senza né meno rispondere, cominciò una polca; e, per non sbagliare, si accompagnava fischiettando.

I primi balli andarono benissimo: i vecchi si sbellicavano dalle risa; e per ridere si torcevano, mettendo il capo quasi tra le ginocchia. Il signor Demetrio era escito dal mezzo e s’era steso, con la chitarra accanto, sul muricciolo, perché la guancia gli stesse calda. Si esaltava; e, mentre gli altri ballavano come dannati, gridava con quanta voce aveva in gola:

– Viva l’Italia!

Ma, al quinto ballo, e Berto suonava sempre la stessa cosa, qualche coppia sparì: al sesto eran rimasti soltanto una serva e un giovanotto, una signorina e un reduce: il più grullo e il più impacciato. Quelli seduti avevano una certa sonnolenza e una pesantezza dentro la testa, che i ballabili aumentavano sempre di più.

A un tratto, senza saper perché, una delle signore s’accorse che mancavano quasi tutti. Si alzò; e, andando accanto alla moglie del signor Demetrio, le disse, sottovoce, con un’aria di rimprovero:

– Signora Caterina, ma dove sono andati tutti gli altri?

La signora Caterina arrossì, e decise di chiederlo al marito; ma il signor Demetrio s’era addormentato, sognando trincee e battaglie; e quando, destandosi, si stropicciò gli occhi e sentì come una trafitta di spillo nella gengiva, non seppe raccapezzarsi di niente; anzi voleva ostinarsi a dire ch’erano già andati a letto e che perciò erano più furbi di lui. Ma siccome la signora insisteva che si trattava di una cosa quasi indecente, egli fece chetare Berto facendogli un cenno con una mano e mandò i quattro ballerini rimasti in cerca degli altri.

Prima che fossero tutti ritrovati e ritornati su l’aia, era già mezzanotte: i più dissero che erano andati a chiappare le lucciole.

La mattina dopo, però, Paolina aveva un raffreddore forte; e le altre signorine chi più e chi meno, si sentivano poco bene e temevano i dolori reumatici. Dicevano:

– Non siamo buone a niente! Figuriamoci se dovessimo vivere come i soldati!

E si vergognavano.

Ma quella signora, si chiamava Egidia, che aveva fatto notare alla moglie di Demetrio la diminuzione delle coppie, aveva perso una spilla d’oro di quasi seicento lire, diceva lei. Come si poteva fare per ritrovarla? I l signor Demetrio non ci credeva e scoteva la faccia gonfia: la signora Caterina supponeva che l’avesse persa per strada e che dicesse così perché il marito si arrabbiasse meno contro di lei.

Tutti i contadini, interrogati uno per volta, avevano detto di non aver trovato niente, le serve, perfino minacciate, lo stesso. E allora? Per tre giorni non fu parlato d’altro, ma senza resultato. La signora Egidia, che aveva perduto da vero la spilla, s’adirò; e il signor Demetrio ebbe da leticare con il marito di lei; ma Paolina, a malgrado della questione scoppiata, andava scrupolosamente la mattina e la sera a cercare la spilla per conto suo. La vedevano curva, con il mento su la gola e una bacchetta in mano, girare da per tutto; ed ella, quando incontrava uno dei contadini, chiedeva:

– Né meno voi?

– Né meno io, signorina!

Finirono con il sospettare, chi sa perché, uno zio di Berto; ma lo zio di Berto, giurando e bestemmiando, con certe bestemmie che facevano fare ognuna un passo in dietro alla signora Caterina, convinse ch’era innocente; e dovettero chiedergli scusa. Dei reduci non sospettavano: anzi, davanti a loro, nessuno parlava né meno della spilla: tutti, irresistibilmente, sentivano del rispetto dinanzi ai soldati: tutti, dinanzi a loro, si sentivano piccoli. Ma, allora, gli altri contadini cominciarono a dire che se i signori non si fidavano di loro, avrebbero fatto meglio a non invitarli a ballare. Nacque, così, un malumore sordo in tutti, che i villeggianti non erano né meno più salutati. Invano il signor Demetrio, guarito della gengiva, andava pazientemente a prendere gli uomini per le maniche della camicia, e le donne per i grembiuli! Alzavano le spalle e non lo guardavano né meno in faccia. Egli diceva disperato:

– Ma se vi difendo io! È quella strega della signora Egidia, venuta a metter sottosopra anche la casa nostra! Ora per colpa sua non si potrà più né meno mettere su una festa ai vostri figlioli finché sono in licenza! E io che avevo perfino comprato una damigiana di vino, per farla bere a loro una di queste sere! E la mia figliola che con le sue amiche voleva imbandire tutti gli alberi attorno all’aia!

Ma se vedevano il signor Demetrio, i ragazzi scappavano tirandogli i sassi; la signora Caterina piangeva quasi tutto il giorno; e Paolina non s’arrischiava più ad andare sola. Era evidente che tutto quel sacro patriottismo stava passando un pericolo grave!

Dopo quasi due settimane, una contadina trovò, sotto un mucchio di travi, una gallina morta. Ella l’aprì con il coltello per sapere di che male era morta: dentro, pareva sana; e le interiora e il fegato non avevano colori sospetti. Quando fu allo stomaco, vide la spilla.

Era stata lei, dunque, la ladra a far nascere tanti malumori! Rimessasi dalla sorpresa, corse nell’aia; e, gridando di gioia, chiamò tutti quanti intorno a sé. E tutti quanti non staccavano gli occhi da quella carne spezzata e sanguinolente dove luccicava la capocchia della spilla.

Venne anche la signora Egidia, che, convintasi di come stavano le cose e dell’onestà dei suoi amici, fece il viso rosso e non trovava a dire parola. Ma la contadina le disse:

– Come! Per colpa di questa bestia ingorda, non vorrebbe fare la pace?

Il signor Demetrio sentì che toccava a lui; e, inchinatosi alla signora Egidia, la invitò a restare.

Allora, tutte le donne si baciarono, a due a due. La sera stessa fu data la festa ai soldati; e ognuno volle mangiare almeno un boccone di quella gallina, che da vile disfattista era stata punita come si meritava.