Il signor Ugo Corsetti, settantanove anni, si chiese se avesse fatto bene a raccontare al cavalier Gaetano Smeraglia quello che da un po’ di tempo vedeva dal suo terrazzo il pomeriggio alle diciotto. Precisamente se lo chiese quando alla sua stanza bussarono i signori Ottavio Panzani e Domenico Turri, che si presentarono in vestaglia e con due pacchi di Tegolini del Mulino Bianco in mano.
“Buonasera signori, che sorpresa. A cosa devo la visita?”
“Bè, – cominciò Panzani – sono le diciassette e quaranta, e quindi…”
“Quindi?”
“Ecco, – intervenne Turri porgendo i dolcetti – questi sono per lei”.
“Grazie, ma non capisco”.
“Insomma, il cavalier Smeraglia ci ha raccontato quello che si vede dal suo balcone ogni pomeriggio alle diciotto, sarebbe bello poter condividere il piacere con lei”.
“Le chiacchiere volano”.
“Sa com’è, qui a Nostra Signora del Riposo una notizia del genere è meglio di una scatola di Rossana”.
In quel momento qualcuno bussò ancora.
“Heilà, vecchi rimba! Ecco un po’ di fuoco per le vene!”, disse il gigantesco Billy Moroni facendo il suo ingresso con un tetrapak di succo di pera sotto braccio.
“Ma che fortuna, – disse il padrone di casa – abbiamo anche il nostro cowboy! Bene, secondo voi, manca ancora qualcuno?”
I presenti si guardarono con aria interrogativa e ad un certo punto il Panzani disse:
“Ehm, ho sentito lo spruzzo di Ventolin dietro la porta. Di sicuro è il signor Margiotta che non ha il coraggio di bussare”.
In effetti c’era proprio Margiotta là dietro, insieme ai signori Canazza, Bifonchi, Ranalli e Mastropasqua; portavano in omaggio Fonzies e biscotti Ringo. Dalle scale si sentiva anche boccheggiare il conte Grifoni-Roncolati:
“Hei voi! – chiamò – Venite ad aiutarmi a portar su questo coso, non entra in ascensore!”
Il nobiluomo, per l’occasione, s’era fatto riconsegnare dal genero un pesantissimo telescopio anteguerra, uno dei pochi pezzi rimasti sul gozzo alla famiglia dopo la famosa svendita di tutto.
“Dove diavolo va con quell’aggeggio, conte! – protestò Corsetti – Il mio terrazzino è di tre metri quadri scarsi! Si può godere lo spettacolo degnamente anche a occhio nudo o al massimo con un binocolo, sa?”.
“Lei sa quanto io apprezzi i dettagli. Mi dia una mano per favore”.
Alle diciassette e cinquantacinque il gruppo contava dieci pensionati più un enorme telescopio Zeiss, tutti da sistemare in un malandatissimo balconcino che si affacciava solitario su un cortile formato dall’unione di quattro palazzine. Ci si riuscì con una certa pazienza e grazie alla perizia dell’ingegner Mastropasqua: i più vecchi e curvi davanti, gli altri indietro. Per ultimo, naturalmente, Billy Moroni, la cui base sviluppava da sola più di un metro quadro e necessariamente restava a metà fra la loggetta e l’interno di casa. Il conte, invece, dopo tanta insistenza fu accontentato e riuscì a piazzare il suo strumento ottico nell’angolo di destra, luogo perfetto per catturare d’infilata particolari scottanti. In cambio promise di far sbirciare ognuno nell’oculare.
Ormai si percepiva una certa tensione fra i pensionati, il Corsetti guardò l’orologio e con un semplice gesto del capo indicò a tutti una finestra semiaperta dall’altra parte della corte. Era a non più di dieci metri di distanza e ad un livello leggermente più basso.
D’un tratto, proprio da quella finestra, si sentirono le prime note di una canzone d’amore; qualcuno riconobbe un vecchio successo di Joe Sentieri:
È mezzanotte
Diamoci un bacio
E ritorniamo passo passo verso casa
Io t’accompagno,
tu m’accompagni
mentre le stelle ci stanno a guardar…
All’inizio della seconda strofa, nella stanza misteriosa s’accese una luce rossa che contrastava spudorata i toni freddi del tardo pomeriggio. Finalmente, un attimo dopo, fece il suo ingresso sontuoso la bionda fatale.
“Che puttana, sono le diciotto in punto”, commentò Ranalli sottovoce e Panzani, come ingelosito, prese le difese della donna.
“Be’, che c’entra la puntualità con l’essere puttana?”
“C’entra, c’entra… E comunque mi pare di conoscerla. – continuò Ranalli aggiustando la messa a fuoco del suo binocolino – Guardate bene, mi pare l’impiegata dell’ufficio postale…”
“Non si lamenti più del suo crollo del vitreo, lei ci vede come una lince. – gli rispose Corsetti – Si chiama Sonia, ha appena cinquant’anni e mi consegna la pensione tutti i santi mesi”.
Intanto la donna ancheggiava al ritmo lento della canzone e si piegava spesso a raccogliere degli oggetti lasciati ad hoc per terra, al fine di mostrare le sue vastissime natiche.
“Perdinci signori, questo telescopio non lo padroneggio! – esclamò il conte Grifoni armeggiando nervosamente con l’attrezzo. – giro le rotelle, giro e giro, ma qui dentro non si vede un cazzo!”.
“Si goda la chiappona dal vivo come facciamo noi e lasci perdere quell’accrocco arrugg…” Le parole si strozzarono nella gola di Canazza quando la bella Sonia prese una banana dalla fruttiera.
“Che diavolo sta succedendo di preciso?”, chiese Billy Moroni dalle retrovie, dato l’ammutolimento generale.
“Ha preso una banana… Se la sta strusciando dappertutto”.
“Eh? Una banana? Fate largo!”
“Non si faccia avanti più di tanto, signor Billy, che qua trema tutto!”
“Ma io non vedo niente, porcatroia!”
“Non è colpa mia se lei è enorme”.
All’improvviso si sentì bussare con violenza e il gruppo di anziani sobbalzò.
“Apritemi vecchiacci, o vi faccio vedere cosa combino!”
“Siamo fritti! – strillò Bifonchi con le mani fra i capelli candidi – É il Generale Nocetta!”
“Aprite! Aprite! O chiamo la suora!”, minacciava sbraitando l’anziano escluso.
“Toccherà farlo entrare, sentite che casino”.
Corsetti annuì e aprì la porta con una certa cautela.
“Maiali che non siete altro! E soprattutto egoisti fottuti!”, sbraitò il veterano in faccia al padrone di stanza.
“Generale carissimo. Ma come accipicchia ha fatto a salire fin qui in carrozzella tutto da solo?”
“Sono cazzi miei! Dov’è la donna nuda?”
“Si vedrebbe dal terrazzo. Però, ehm, non c’è più posto. Sa, è così piccolo!”
“Suooora! Suooora!”
“Signor Billy,– chiese Corsetti – mi aiuti a tirar su questo rompicoglioni dalla carrozzina e accompagniamolo al davanzale; poi per favore se ne torni un passo indietro, che qua viene giù tutto”.
“O-Kappa!”, rispose l’attempato gigante.
Dio solo sa come, ma in quel balconcino c’entrò pure Nocetta, e fece anche in tempo a vedere la bionda dell’ufficio postale avvicinarsi scandalosamente la lunghissima banana al basso ventre.
“Oh cavolo, non ci posso credere, lo fa!”, esclamò l’ex graduato.
“Lo fa, lo fa. Ma state in silenzio, se si accorge di noi, chiude tutto e arrivederci”, avvertì Panzani. Ranalli gli rise in faccia:
“Non ci credo che abbia detto questo sul serio! Pensa davvero che quella zoccola non abbia notato undici vecchi guardoni muniti di telescopio, proprio di fronte a lei?” Si rise molto e a Bifonchi cadde addirittura per terra l’arcata dentale superiore.
“E… E allora perché lo fa?”
“Per sentirsi ancora desiderata, credo”, gli rispose Corsetti.
“Siete tenerissimi. – insistette il crudo Ranalli – Volete proprio sapere perché lo fa? Per la nostra pensione! Se non ci credete, guardate nel frattempo chi è arrivato da lei…”
Il gruppo aguzzò la vista e s’accalcò alla ringhiera:
“Occazzo, è Smeraglia!”
“Sì, sì! È proprio lui!”
“Il fottuto cavalier Smeraglia!”
“Ecco perché non è qui!”
“Ha spiattellato il segreto di Corsetti apposta, per farsi vedere da tutti!”. Su quei tre metri quadri ci si spolmonava, sgomitando per assicurarsi il punto di vista migliore. Per tutta risposta, Smeraglia si voltò pimpantissimo verso il gruppetto facendo il gesto dell’ombrello; Sonia intanto gli si strusciava tutta addosso e aveva iniziato a spogliarlo.
“E ora, cosa racconterà a quella cavalla?”, si chiese il Canazza.
“Roboril… Sempre che faccia effetto…”, rispose Bifonchi enigmaticamente.
“Roboril? Mai sentito”.
“È un pillolone tipo Viagra. In più, garantisce un finale da urlo con polluzione a fontana”.
“E chi gliel’ha passato?”
“Quel luridone di Zopito, l’infermiere di Sulmona. A suo tempo aveva caldeggiato il farmaco anche a me, di sicuro è in joint venture con la signora di fronte. Insomma, Smeraglia se n’è calata mezza scatola verso le tre del pomeriggio e mi ha sparato la fregnaccia che erano mentine”.
“Acciderba, quello rischia!”, si preoccupò il conte Grifoni.
“Sai quanto gliene frega. Magari a schiattarci fra quelle zinne!”
“Giusto. – commentò Corsetti – A questo punto, mentre voi tenete d’occhio la situazione io preparo qualcosa da bere; il signor Billy ci ha portato il succo di pera, io avrei da qualche parte… ehm… del rum: mi viene in mente un Chupiti, che ne dite?”.
“Va benissimo. E da pappare?”, chiese il Generale Nocetta, sempre aggrappato al davanzale.
“Tegolini, Fonzies e Ringo. E poi ho da parte anche degli sfrizzoli di maiale fritti che mi hanno portato dal paesello”.
“Sfrizzoli? Porti, porti, piacciono sempre gli sfrizzoli”.
“Signori, eccoli al dunque!”, gridò a quel punto l‘ingegner Mastropasqua.
Ancora una volta tutti si affollarono avanti, con gran tremore della malconcia balaustra. “Guardate bene il nostro amico! – esclamò il conte con una punta d’invidia – Le sue mentine fanno effetto!”
“Volete sapere come mi svamperò d’ora in poi la pensione?” domandò retoricamente Bifonchi con tutti e due gli occhi di fuori. In quel momento Corsetti s’avvicinò al gruppo con un’enorme guantiera piena di provviste, inclusi degli enormi sigari simil-cubani.
“Vogliate gradire, gentili amici. Che non si dica che a casa mia si patisce!”
“Lei è un ospite meraviglioso, perdinci!”, commentò il nobile Grifoni mettendo per primo le mani sulla confezione di Ringo.
“Ecco… Ecco! – s’agitò Margiotta sparandosi in gola un’altra botta di broncodilatatore – La postina sta… Sì insomma… Si è genuflessa… E guardate come se la ride il nostro vecchio Smeraglia!”
“Cavoli, il trattamento è di prim’ordine!”, osservò Canazza.
Sull’onda dell’entusiasmo e ormai certo del fatto suo, il cavaliere salutò i compari in terrazza con un movimento dell’arcata sopraccigliare e accompagnò vigorosamente la bionda verso la parte più interna della camera, purtroppo quasi del tutto fuori dalla visuale.
Il signor Turri, che pian piano era scivolato uno stato di semi-torpore, si risvegliò improvvisamente credendosi in Curva Sud:
“Aò! Mavvaffanculo! – urlò all’indirizzo di non si sa chi – Daje, crossa! Tira!”
Dopo un attimo di sconcerto generale, tutti apprezzarono l’idea ed esplose un tifo ultrà verso la finestra di fronte.
“Sme-ra-glia! Sme-ra-glia!”
In men che non si dica fu una babele di ululati, sghignazzi e fischi alla pecorara. Il gruppo cominciò perfino a battere i piedi per terra come si fa sugli spalti (ad eccezione del generale Nocetta che non aveva più l’uso delle gambe).
“Sme-ra-glia! Sme-ra-glia!”
L’entusiasmo era alle stelle, ma il balcone tremava tutto e l’occhio tecnico di Mastropasqua insisteva su una crepa nel punto di congiunzione fra la parte esterna e il corpo del palazzo. “C’è sempre stata quella fessurina, da che ne ho memoria. – lo tranquillizzò Corsetti – Niente di che, torni pure a incitare il nostro cannoniere”.
Dall’appartamento di fronte, intanto, arrivavano esagerati rantoli di godimento (tutti attribuibili al cavaliere), a sottolineare il benefico effetto del tifo amico. Durò poco, però: agli ansiti d’amore si sovrappose la voce velenosa di Suor Alina, proveniente invece dalle spalle dei poveri pensionati. Saltarono letteralmente in aria dalla paura:
“Vi prego, signori. Fate divertire anche me!”
Tutti muti, impietriti dal terrore.
“Vi ho cercato dappertutto per offrirvi la tisana e mi son chiesta: ma dov’è il carissimo conte? E l’ingegner Mastropasqua? E il signor Margiotta? E tutti gli altri? Però alla fine vi ho trovati… A essere sinceri, non è stato difficilissimo”, e ridacchiò.
“Sa com’è, – tentò d’intortarla Corsetti – Festeggiavamo il compleanno di…”
“Non mi prenda in giro, per favore, oggi non è la festa proprio di nessuno. Ora, graditissimi ospiti, entrate dentro e raccontatemi cosa stavate facendo di bello, sono tutt’orecchi”.
Immobilità, silenzio.
“Allora vi ci accompagno io, dentro. – disse la monaca alzandosi di scatto – Cominciamo con gli inseparabili amichetti.” Prese letteralmente per le basette Panzani e Turri e li trascinò nell’appartamento, gli altri eseguirono l’ordine di loro spontanea volontà per evitare una simile umiliazione. Si allinearono tutti all’interno della stanza come soldatini, ad eccezione dell’audace Nocetta che protestò ancora:
“Ehi, suora! Siamo abbastanza grandicelli da decidere cosa fare il pomeriggio, no?”
“Lei non è grandicello, generale, lei è un vecchio. E per di più, sotto la mia responsabilità. Bene! – disse a quel punto sfregandosi le mani – visto che avete tanta difficoltà a parlare, darò personalmente un’occhiata di sotto.” La religiosa s’affacciò, si mosse di qua e di là, sbirciò nel telescopio, si spostò ancora nervosamente e, in assenza di risultati, s’incazzò sul serio:
“Vuotate il sacco o chiamerò i vostri parenti! Gli dirò che non siete più graditi in questa casa di riposo! Loro mi pregheranno in ginocchio, mi copriranno d’oro per non avervi di nuovo tra le scatole!”, urlò sbattendo un piede violentemente per terra. Si sentì un rumore sinistro.
…Crack!
Dall’interno della stanza, in meno di un batter d’occhi i dieci presenti videro letteralmente scomparire tutto quello che avevano davanti: Suor Alina, il telescopio tedesco e il terrazzino. La fulminante scena si concluse un istante dopo con un indescrivibile schianto nel cortile.
Ci fu un lunghissimo silenzio. Poi Corsetti toccò col gomito Mastropasqua e gli disse sottovoce:
“Le giuro ingegnere che quella crepa già c’era”.
Il primo ad affacciarsi nel vuoto fu Billy Moroni con un bicchiere di Chupiti in mano. Attese che svanisse un tantino il nuvolone di calcestruzzo, poi guardò di sotto e commentò fra sé: “Cazzo, proprio come Willy Coyote”.
Alzò gli occhi e incrociò lo sguardo dell’amico e della bella Sonia alla finestra di fronte:
“Heilà, Smeraglia, tutto occhei? Salve, signorina, posso chiederle se ha programmi per domani?”
[ dall’Antologia Appollaiati sul balcone, Giulio Perrone Editore, 2006 ]