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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 10

 aprile 2015

Interviste

Antonio Daniele

La guerra di Gadda

Intervista di Giovanni Accardo

Antonio Daniele insegna Storia della lingua italiana all’Università di Udine. Ha pubblicato saggi su Petrarca, Tasso, Ruzante, Folengo, Pasolini, Comisso, i poeti dialettali veneti. Sulla Prima guerra mondiale ha scritto i volumi: Magnaboschi. Storie di guerra, di scrittori e d’altopiano (Cierre edizioni) e La guerra di Gadda (Gaspari Editore).

Il 21 maggio 1915 Gadda invia una lettera dapprima a D’Annunzio e dopo addirittura a Mussolini, allora direttore del “Popolo d’Italia”, invocando la partenza immediata per il fronte anche se studente universitario. Come si spiega il suo interventismo?

L’interventismo di Gadda si spiega con il particolare momento. Nei primi anni del 1915 si intensificarono in Italia, specie nei ceti intellettuali e borghesi e nei partiti che li rappresentavano (non certo tra gli operai e i contadini), le spinte verso posizioni irredentiste (con richiamo ideale alle guerre di indipendenza) e quindi di conseguenza interventiste. Solo i socialisti e Giolitti si opposero a tale deriva bellicistica, ma senza esito. La richiesta degli universitari italiani (e di Gadda in questo caso) di andare subito alle armi, lasciando in sospeso addirittura gli esami, nasce in questo clima.

Il desiderio di Gadda, come si evince da tante pagine del Giornale di guerra e di prigionia, è quello di distinguersi, avere l’opportunità di un’azione eroica.

Gadda aveva proprio un’idea eroica e romantica della guerra (anche per eredità familiare), senza immaginare che una guerra nuova, moderna, del tutto meccanicizzata, avrebbe potuto durare – come poi successe – più di quattro anni. Per questo nella sua mente compare spesso l’idea dell’atto eroico, individuale, connesso con il sacrificio nobile e cavalleresco tipico dell’epica antica.

Lei definisce il Giornale il resoconto più attendibile della vita in guerra. Perché?

Il Giornale è un resoconto immediato, fededegno perché scritto mentre la battaglia infuria o immediatamente dopo, e vuole essere il referto della vita di trincea giorno per giorno, ora per ora, badando ai particolari anche minuti, anche sgradevoli o turpi.

Cosa rappresenta per Gadda la scrittura durante la vita al fronte?

A questa domanda non posso rispondere che facendo delle supposizioni. Ma in linea generale chi tiene un diario al fronte lo fa per ricordare fatti ed eventi di una condizione particolare, altamente rischiosa, memorabile per sé e per gli altri. Nel caso di Gadda credo che la scrittura avesse anche un valore terapeutico, tranquillizzante. Senza escludere tuttavia il gesto artistico, la volontà di cimentarsi in una prova, per quanto intima, di abilità rappresentativa.

Nel Giornale emerge una caratteristica che ritroveremo in diverse opere di Gadda, ovvero l’ossessione maniacale per l’ordine e l’insofferenza verso ogni comportamento approssimativo e superficiale, da cui scaturiscono violente e divertentissime invettive che non risparmiano né i commilitoni né gli ufficiali.

Credo che la mania ossessiva per l’ordine nasconda delle turbe, degli scompensi psicologici facilmente identificabili attraverso la psicanalisi.

Come scriverà qualche anno dopo nel Castello di Udine, Gadda dichiara di avere trascorso in guerra alcuni dei momenti migliori della sua vita, parla addirittura di felicità. Com’è possibile?

Il sentimento della felicità in guerra deve essere connesso a quel brivido provocato dalla sfida contro il destino, dall’ebbrezza del pericolo, da quella dose di incoscienza che si deve mettere nelle azioni belliche per sopravvivere. Certo è che questo sentimento si può ritrovare in diversi scrittori di guerra, io, per esempio, l’ho riscontrato in D’Annunzio, in Soffici, in Marinetti. Ma sarà presente anche in molti altri protagonisti della guerra, italiani e no.

D’altra parte non mancano giornate di noia e vuota attesa in cui il nostro giunge a meditare il suicidio, indicando come suo nemico atroce l’eccitabilità e la sensibilità.

Certo, l’idea del suicidio è l’esatto contrappeso all’eccitazione, alla febbrile incoscienza del pericolo, alla pesantezza delle giornate passate nell’attesa angosciante dell’attacco.

Uno dei momenti più drammatici dell’esperienza bellica fu la disfatta di Caporetto e la conseguente prigionia. Cosa rappresentò per lo scrittore?

Caporetto per Gadda non fu solo il crollo di un esercito, ma in qualche modo rappresentò la fine di un’idea di gloria (non tanto individuale, ma collettiva) e, personalmente, l’onta della prigionia, che nella concezione militare era sentita come una vergogna e una indegnità. Tutta la seconda parte del Giornale, quella relativa alla detenzione nei lager tedeschi, è improntata ad un senso di afflizione e di colpevolezza.

L’altro momento tragico, che lo segnerà per tutta la vita, in un confronto continuo, fu la morte del fratello Enrico.

La morte del fratello segna la fine del diario, ma segna anche la fine di un uomo, la disintegrazione di un sogno di potenza eroica, di baldanzosa giovinezza e libertà.

La prima elaborazione letteraria dei fatti annotati nel Giornale di guerra è rappresentata dal Castello di Udine (1934). Come cambia la scrittura?

Con Il castello di Udine comincia la rielaborazione (non solo letteraria) della guerra, ma anche una rimeditazione sulle cause e gli effetti di essa: un bilancio amaro. Da un punto di vista storico la prima ricostruzione individuale della propria adesione alla guerra fu la lunga memoria presentata alla Commissione d’inchiesta per i fatti della rotta di Caporetto. Nel Castello si ha invece la prima trasfigurazione saggistico-narrativa delle vicende vissute in guerra. Si tratta ancora di una scrittura che tende all’obbiettività – diciamo così – scientifica e distanziante delle vicende narrate e a una loro interpretazione.

La guerra compare nel suo primo romanzo, La meccanica (iniziato nel 1928 e pubblicato nel 1970), e in Meditazione milanese (scritto nel 1928, ma pubblicato postumo nel 1974), dove rievoca il crepitio della fucileria, l’odore degli escrementi e dei muli morti, il fradiciume delle trincee.

Con La meccanica la guerra entra nella narrativa di Gadda come elemento romanzesco, come tratto di integrazione e ambientazione storica, minuziosamente rappresentato. I lacerti memoriali del diario agiscono come materiali di sostegno e di configurazione “scenica”. Nelle opere maggiori poi (Cognizione del dolore, Pasticciaccio) il ricordo della guerra compare come sostrato affiorante, come lava eruttiva che ogni tanto tracima, e rivela una condizione di permanente anche se latente attività vulcanica. Probabilmente anche nel tratteggiare con tono chiaramente dissacratorio il finto sordo di guerra Pedro Mahagones (in realtà Gaetano Palumbo), ne La cognizione del dolore, sordo d’entrambi gli orecchi, da scoppio di granata penetrante e dilacerante nell’azione di quota 131, ha in mente l’esperienza della Grande guerra.

In conclusione, crede sia azzardato affermare che l’esperienza bellica segnerà interamente la scrittura gaddiana?

Sono perfettamente convinto che la guerra come ha segnato (e forse annichilito) l’uomo Gadda, così abbia informato e determinato lo scrittore, specie per quanto riguarda quel deposito terribile di esperienze e sentimenti che hanno a che fare con il lato più esposto, più compromesso e sensibile della psiche umana.

Carlo Emilio Gadda.Guarire dalla “malattia guerra”: la verbalizzazione come atto di liberazione

Conferenza del professor Antonio Daniele al Liceo delle Scienze Umane “Pascoli” – Bolzano

Protocollo di Valentina Carlotto

Carlo Emilio Gadda nacque nel 1893 a Milano. Proveniva da una famiglia medio-borghese: il padre, infatti, era ingegnere, mentre la madre insegnava lettere. In seguito alla morte del padre e ad alcuni investimenti disastrosi, la grave crisi economica che colpì la famiglia fece dell’infanzia e dell’adolescenza del giovane Gadda un periodo piuttosto tormentato. Nonostante egli fosse orientato verso la letteratura e le materie umanistiche, su consiglio della madre si iscrisse alla facoltà di ingegneria. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, lo studente decise di partire volontario per la guerra, arruolandosi nel corpo degli alpini. Su questa esperienza scrisse il Giornale di guerra e di prigionia, un vero e proprio diario nel quale, per la prima volta, comparvero temi e caratteristiche tipiche della sua produzione letteraria successiva.

Per approfondire tali tematiche, il 29 gennaio 2015, presso l’aula magna del liceo “G. Pascoli” di Bolzano, ha tenuto una lezione il professor Antonio Daniele, studioso non solo della letteratura del ‘600, ma anche di uno degli autori più importanti del secolo scorso, Carlo Emilio Gadda, appunto. In particolar modo, si è parlato della sua prima opera compiuta e, probabilmente, quella meno travagliata, che potremmo definire un documento immediato e quasi riflessivo: Giornale di guerra e di prigionia. Si tratta di uno dei resoconti più dettagliati relativi alla Grande Guerra da parte di uno scrittore italiano, nel quale l’autore racconta giorno per giorno la propria esperienza bellica, incluso il periodo di prigionia. Timido e riservato all’apparenza, violento e irruento all’interno, il giovane parte volontario per il fronte con la convinzione di prender parte a quella che poteva definirsi la quarta guerra di indipendenza, l’ultima di una serie che aveva visto la partecipazione dei suoi familiari. Eppure, la sua esperienza si conclude con la deludente sconfitta di Caporetto che smorza tutto l’entusiasmo iniziale. La cattura da parte degli austriaci, seguita poi da un periodo di prigionia e dalla perdita del fratello Enrico in guerra, sembrano essere l’origine del suo scompenso psichico successivo.

L’opera, che si divide in sei quaderni formato taccuino, uno dei quali andato irrimediabilmente perduto, rimase segreta in un primo periodo. Comparve poi, a tratti, su alcuni giornali, ma solo nel 1955, in seguito a numerose pressioni da parte degli editori, Gadda acconsentì alla sua pubblicazione integrale, seguita, dieci anni dopo, da una versione più completa che, però, aveva subito una variazione nei nomi. Oggi, infine, si fa riferimento ad un’edizione curata da un’equipe di studiosi e pubblicata da Garzanti nel ’94. Ad ogni modo, una prima rielaborazione letteraria dei contenuti del Giornale di guerra la si può trovare all’inizio del secondo libro di Gadda, Il castello di Udine.

Il resoconto inizia, piuttosto banalmente, con l’acquisto presso un bazar di Edolo, città nella quale Gadda si trovava nel 1915, di un primo quadernetto. Eccellente valvola di sfogo, esso non venne utilizzato solamente come strumento di analisi della situazione circostante; la volontà era, infatti, quella di fissare nella memoria, grazie a queste pagine, anche i particolari più minuti della vita di trincea. Ne emerge, quindi, un quadro estremamente chiaro e limpido, nel quale l’autore non tralascia nemmeno i dettagli relativi ai bisogni fisiologici dei soldati. Emozioni forti e difficoltà esistenziali legate alla dura realtà circostante si mescolano, fornendo un’immagine della brutalità della guerra di posizione. Circolavano, inoltre, diversi luoghi comuni, alcuni dei quali influenzarono anche la mentalità dello stesso Gadda, il quale, spesso, inveiva con proprie esternazioni. Si era diffusa, per esempio, l’idea che tra i soldati ci fossero dei disfattisti pronti a infierire sulle sorti dell’esercito italiano.

Lo scrittore, che all’epoca era ancora uno studente, ricopriva la carica di sottotenente di fanteria e la vita militare si rivelò fin da subito più complicata del previsto: il giovane, infatti, era molto impacciato nei rapporti coi suoi compagni ed estremamente critico nei confronti dei loro atteggiamenti. È sorprendente notare come, immediatamente, si evidenzino i caratteri peculiari della sua personalità, quali l’ossessione per l’ordine, unito al disprezzo per la massa, la volgarità e coloro che sono privi di senso di dovere. Gadda, infatti, da convinto interventista, concepiva la guerra come una dimostrazione di fedeltà alla patria. Questo spiega la sua adesione alle manifestazioni contro Giolitti e il sostegno nei confronti di D’Annunzio, al quale, tra l’altro, scrisse una lettera assieme a due studenti del Politecnico milanese, nella quale essi pregavano il Vate di poter partire per il fronte prima della fine degli esami.

L’esperienza bellica di Gadda si può sintetizzare in quattro combattimenti significativi:

  • La sconfitta di Caporetto: l’autore, infatti, così come tutti gli altri prigionieri, dovette fornire, al momento della cattura, un dettagliato resoconto di tutti i propri spostamenti, ed è proprio a questo documento che si fa affidamento oggi.
  • L’impresa a Passo Faiti, in occasione della quale gli venne conferita una medaglia d’argento per l’abilità e il coraggio dimostrati. Il resoconto relativo a questo episodio è andato perduto nel trambusto di Caporetto, per cui l’unica testimonianza reperibile è data dal suo stato di servizio.
  • L’impresa di Adamello, riportata non nel diario, bensì nel Castello di Udine, dove egli racconta del suo primo combattimento ad alta quota. In tale occasione, inoltre, ebbe modo di assistere al sacrificio del tenente Calvi.
  • L’intervento di contenimento della Strafexpediktion: mentre l’azione si svolgeva alle pendici dell’Altopiano di Asiago, Gadda si trovava su un’altura ed ebbe modo di assistere ai giorni conclusivi dell’offensiva straniera, segnati dalla ritirata del 14 giugno 1916 e dagli ultimi scontri violentissimi.

Fu proprio in quest’ultima occasione, in un contesto di massimo disagio, che egli sentì la necessità di trascrivere ogni emozione su carta. Era fortemente convinto che anche in situazioni così estreme si dovesse mantenere un ordine, per cui anche durante la sua permanenza sull’altopiano, egli pretese il rispetto di quelle che lui considerava le basi di una buona etica militare: il mantenimento di una buona condotta in trincea e la totale assenza di propositi pacifisti, equivalente di un tradimento alla patria. In queste pagine, lo scrittore ha anche modo di tracciare il profilo del tipico soldato italiano, descrivendolo come pigro (soprattutto se meridionale), tendenzialmente incurante dell’igiene e solito rimediare ai propri bisogni corporali senza preoccuparsi di allontanarsi dal luogo in cui è costretto a vivere. Nonostante l’intento evidentemente critico, l’immagine viene resa attraverso mezzi espressivi piuttosto ironici. Gadda, tuttavia, non si limitava a questo: la scrittura, infatti, costituiva uno sfogo segreto per la rabbia e le critiche che non gli era consentito esternare liberamente. Il suo tono, infatti, ha numerose invettive che non risparmiano né gli avversari politici, né gli amici e gli ufficiali vicini, spesso disprezzati e criticati per la loro mancanza di coraggio.

Una parte cospicua del Giornale di guerra è dedicata al periodo di prigionia in Germania, svoltosi in un primo momento a Rastatt e, successivamente, a Celle-Lager nell’Hannover. Qui Gadda patì terribilmente la fame, così come tutti gli altri prigionieri italiani che, sotto la tutela dei tedeschi, riuscirono a sopravvivere solo grazie ai viveri inviati da casa e dalle associazioni umanitarie. Tra i vari letterati con cui entrò in contatto durante il periodo di prigionia, quelli con cui stabilì un rapporto più intimo furono Ugo Betti e Bonaventura Tecchi che, all’epoca, erano ottimi giornalisti. Dovrà passare del tempo, prima che Gadda, all’epoca semplicemente ingegnere, si rivelasse essere superiore a tutti in fatto di doti letterarie. Il soldato soffrì immensamente per la sconfitta, con la convinzione che costituisse la più grande viltà subita in vita. Avendo partecipato alla guerra come militare convinto e, a tratti, molto coraggioso, quel periodo di prigionia fu, per lui, una vera e propria umiliazione. A questo si andò ad aggiungere la notizia della morte del fratello, avvenuta in occasione di un incidente aviatorio. L’opera si conclude, quindi, con una dolorosa scoperta: l’eroe della situazione si rivela essere Enrico, e all’autore non resta che la paura di non aver fatto nulla di significativo nella vita. Questo fattore, unito alla vergogna della prigionia, segnò il momento più acuto dello stato depressivo dello scrittore, responsabile, tra l’altro, del complesso andamento dei due romanzi fondamentali, incompiuti nella struttura, ma non, sicuramente, dal punto di vista artistico. Eppure, nonostante si stesse compiendo la sua tragedia personale e il suo completo annullamento individuale, Gadda risultava piuttosto ambiguo nella sua vaga esaltazione dei sentimenti legati alla guerra, considerata come un’esperienza di formazione. Laddove la gente normalmente trovava solo dolore, notiamo che egli aveva, invece, avuto modo di sperimentare quello che definì un momento felice della sua esistenza. È pur vero, tuttavia, che egli individuò nella guerra un pervertimento dei valori, eppure mantenne ancora delle riserve sul considerarla un fenomeno totalmente disastroso. Anche Freud sviluppò concetti analoghi nel saggio Considerazioni attuali sulla guerra e la morte. È sorprendente notare come, pur non conoscendosi e vivendo, addirittura, in un clima di ostilità tra le relative nazioni, i due pensatori convengano sullo stesso concetto e abbiano sviluppato considerazioni simili a proposito del declino etico e morale della società occidentale di allora.

Politicamente, Gadda aderì al partito nazionalista e, per un breve periodo, a quello fascista. In un suo scritto, riportò la marcia su Roma in chiave quasi carnevalesca, come se non ne cogliesse il reale significato: nella sua descrizione, eleganza e povertà si mescolano e sfilano davanti al suo sguardo stupefatto. Ma già nel 1925 le sue convinzioni sembrano sfiorate da un ravvedimento, se pur lieve, dovuto, probabilmente, ad un semplice processo di maturazione. Il periodo successivo alla guerra fu, infatti, per l’Italia estremamente travagliato e caratterizzato dall’avvento del fascismo, che altro non era che la preparazione ad un nuovo scontro ancora più catastrofico del primo. Gadda venne, così, messo di fronte ad una dura realtà che gli diede modo di ricredersi sulla guerra, arrivando, addirittura, a dare ragione a Giolitti. Nemmeno un interventista come lui, infatti, poteva negare la tragicità del ‘15-18, e questo lo portò a non biasimare gli atteggiamenti neutralisti o non interventisti di coloro che temevano uno scontro ancora più atroce di quello appena terminato.

Sono in molti a considerare il Giornale di guerra un capolavoro del genere e, sicuramente, esso sta alla base di tutta la successiva letteratura di Gadda. L’esperienza bellica è, infatti, la matrice del suo stile, ed è come se questi pochi taccuini contenessero le anticipazioni di quella che sarebbe diventata, poi, l’abilità di uno scrittore estremamente complesso, ma allo stesso tempo abile in uno stile unico e, per certi versi, insuperabile. Con Gadda, infatti, abbiamo un lessico complicatissimo, ricco di neologismi, termini latini e relativi al campo semantico della filosofia. Le composizioni dialettali hanno sempre fatto parte della tradizione letteraria italiana, e Gadda, che incarna il loro ciclico ritorno, se ne avvale per dar vita ad uno stile innovativo, caratterizzato da una grande cura nei particolari.

Ritornando al Giornale di guerra, è possibile notare come, nonostante la prevalente normalità di scrittura, compaiano, talvolta, delle curiose impennate di stile. La guerra viene, infatti, spesso trasfigurata in occasione linguistica, per cui non è raro che un semplice dato di vita quotidiana, quale potrebbe essere una marcia di addestramento, si trasformi in un pretesto narrativo. Hanno, così, origine quelle ulteriori descrizioni tipicamente gaddiane che, successivamente, saranno caratteristiche della sua scrittura.

Nel romanzo La cognizione del dolore, che, a detta di Contini, sembra essere scritto coi nervi, per via del suo stile acceso e visionario, è interessante notare come ai toni grotteschi e satirici si vadano ad alternare altri più lirici, tenerissimi nelle loro immagini e metafore. Completamente assente è, invece, la prosa comune. Stando alle affermazioni dell’autore, infatti, un suo utilizzo avrebbe fornito un’immagine falsa della realtà, per niente in linea con la volontà di svelare il groviglio che sommuove il mondo intero.

In Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, invece, il caratteristico plurilinguismo si esprime attraverso l’utilizzo di svariati dialetti, tra i quali il romanesco, il molisano, il napoletano e il veneto, scelti in seguito ad uno studio dei diversi personaggi, al fine di rendere al meglio i loro tratti fisici e psicologici.

Gadda lascia incompiuti i suoi romanzi più famosi, il che suggerisce la presenza di una personalità complessa, controversa e, verosimilmente, non del tutto risolta. Entrambe le opere hanno un delitto sullo sfondo, il che le rende quasi dei gialli. Manca, tuttavia, un preciso finale e, per questa ragione, vengono definite talvolta “frammentarie”. Forse a dimostrazione che la realtà stessa è priva di senso.