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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 09

 settembre 2014

Saggi e rassegne

Giovanni Accardo

Le galline pensierose di Luigi Malerba

Sto scrivendo delle storiette di pollaio, con galline protagoniste. A Orvieto, durante l’ultimo week-end. Ne ho scritte una ventina di getto. In città è più difficile scrivere favole: comunque le galline sono molto trascurate e ho deciso di riabilitarle (MALERBA, 2008, pp.129-130).

I libri per bambini e per ragazzi, pubblicati in apposite collane editoriali, hanno accompagnato, intervallandola, l’intera produzione narrativa di Luigi Malerba. Rovesciando la prospettiva pascoliana, potremmo dire che essi si rivolgono all’adulto che c’è in ogni bambino, stimolandolo a riflettere, a maturare una capacità critica autonoma e a diffidare dalle facili certezze.

Come sostiene lo stesso Malerba:

Quel che funziona sempre, con i ragazzi, è metterli in difficoltà, in imbarazzo. Con vari sistemi, per esempio con il paradosso; io dicevo loro: se una macchina con quattro ruote va a cento chilometri all’ora, con otto andrà a 200. Allora i ragazzi cominciano a confondersi, a pensare, a irritarsi, anche, e ciò li obbliga ad avere delle reazioni, a non accettare queste proposizioni, questi paralogismi ciecamente, ma a discuterli (BARBERIS, 1991, p. 60).

Sono testi che conservano talune delle caratteristiche proprie delle altre opere malerbiane e muovono dal romanzo sperimentale e dai dibattiti del Gruppo 63: la metanarrazione, il punto di vista straniante, l’abbassamento linguistico. Essi, dunque, confermano la peculiarità della narrativa di Malerba nell’ambito del romanzo sperimentale: la ricerca di nuove forme espressive non va mai a scapito della comunicabilità, pur conservando intatta la vis demistificatoria e dissacrante nei confronti della tradizione letteraria, del potere e dell’autorità costituita. Facendo ampio ricorso all’assurdo, con i personaggi che agiscono attraverso ragionamenti paradossali e fitti di non-sense, nei libri per ragazzi i giochi linguistici trovano nella favola lo spazio espressivo ideale.

Io credo che il paradosso e il paralogismo […] possano abituare i ragazzi a diffidare della logica corrente della TV, della famiglia, della scuola, che spesso propone menzogne che si presentano con l’apparenza della verità. È una vaccinazione sicuramente salutare che a lungo andare darà i suoi frutti. […] Non è dunque un gioco astratto ma un avvicinamento al disordine fondamentale delle cose che ipocritamente si cerca di esorcizzare con il ‘pensare corto’ della quotidianità (MALERBA, 2008, p. 134).

La scelta dell’animale come unico protagonista è, ovviamente, riconducibile alla tradizione della favola, da Esopo a Fedro sino a La Fontaine, e, tra gli scrittori italiani, a Gianni Rodari. Nelle favole di quest’ultimo, però, c’è spesso un invito a costruire una società più giusta, e non a caso alcune di esse si concludono con una morale. Ad esempio, nella favola La strada che non andava in nessun posto, il protagonista, dopo essersi incamminato proprio per quella strada che a detta di tutti non portava in nessun posto, arriva presso un castello pieno di tesori di ogni genere. Quando ritorna in paese anche gli altri si avviano per lo stesso sentiero, alla ricerca del castello, ma non arrivano in alcun posto perché «la strada, per loro, finiva in mezzo al bosco […]. Non c’era più né cancello, né castello, né bella signora. Perché certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova» (RODARI, 1983, pp. 55-57).

In Malerba, invece «l’indignazione non diventa mai predica ma è il propellente che fa partire il razzo del pensiero» (GUGLIELMI, 1978) da cui scaturiscono le immaginazioni più paradossali e illogiche, vero e proprio trionfo della libertà della fantasia.

Del resto, come scrive Walter Benjamin:

Quando inventano storie, i bambini sono registi che non si lasciano tarpare le ali dal ‘senso’. È assai facile farne la prova. Basta scegliere quattro o cinque parole ben precise, facendole poi combinare in una breve frase, e se ne vedrà scaturire la prosa più inaspettata: non una sbirciatina, ma un ingresso in piena regola nel libro per bambini. […] È in questo modo che i bambini scrivono i loro testi; ma è anche così che li leggono (BENJAMIN, 1981, p. 52).

Come spesso accade nelle opere di Malerba, la realtà viene ironicamente aggredita nei suoi significati precostituiti nel tentativo di estrarne di nuovi, magari provando a dare dignità di pensatori ad animali proverbialmente stupidi, come le galline.

«Le galline non pensano» disse Zerbino annoiato.

«E chi ti dice che non pensano? Ci sei mai entrato nella testa di una gallina? Non si può sapere» (MALERBA, 1990, p. 68).

Questo dialogo si legge in uno dei racconti della Scoperta dell’alfabeto, libro d’esordio di Malerba. A distanza di anni, facendo propria la perplessità dell’interlocutore di Zerbino, lo scrittore prova a entrare nella testa delle galline e a registrarne i pensieri: il risultato è quel vero e proprio manualetto di paralogica che è Le galline pensierose, raccolta di brevissime favolette, quasi aforismi, che costituisce il culmine dell’abbassamento non solo del linguaggio, ma anche del punto di vista.

Pubblicato la prima volta nel 1980 da Einaudi, con le illustrazioni di Adriano Zannino, ripubblicato e arricchito di altre storie nel 1980 da Mondadori, con l’ultima edizione, pubblicata lo scorso aprile da Quodlibet, nella collana Compagnia Extra diretta da Jean Talon e Ermanno Cavazzoni, dalle 131 storielle iniziali si arriva a 155, con l’aggiunta di nove inediti scritti da Malerba nel febbraio 2008, dunque pochi mesi prima di morire.

Le storielle di cui si compone il volume sono strutturate in un’unica azione che si svolge nello spazio limitato del pollaio. Non troviamo mai neppure la traccia di una presenza umana; uniche protagoniste, infatti, sono le galline che, come scrisse Italo Calvino nel risvolto di copertina della prima edizione, «si librano tra lo humour sospeso nel vuoto del nonsense e la vertigine metafisica degli apologhi zen» (CALVINO, 1980).

Forse non a caso Malerba aveva indirizzato questo libro al pubblico infantile, la cui immaginazione ancora non è limitata dalle convenzioni e dai luoghi comuni. La scelta della gallina come protagonista è un modo per smascherare, attraverso lo humour, l’insensatezza della vita quotidiana, per denunciare un mondo, quello umano, dominato dal ridicolo:

«Per diventare filosofa» diceva una vecchia gallina che credeva di essere molto saggia, «non importa pensare a qualcosa, basta pensare anche a niente». Lei si metteva in un angolo del pollaio e pensava a niente. Così, e non in altri modi, diceva di essere diventata una gallina filosofa (MALERBA, 2014, p.22).

In questo caso l’effetto paradossale nasce dall’uso polisemico del termine ‘niente’, giacché esso può coincidere con il nulla delle filosofie orientali, oppure, preso alla lettera, diventa una modalità derisoria nei confronti di coloro che non pensano a nulla e si atteggiano a filosofi.

La polisemia diventa occasione per giocare col significato delle parole, ad esempio come aveva fatto qualche anno prima Achille Campanile con la parola tasso (CAMPANILE, 1999, pp. 105-107). Come in Malerba, anche in Campanile l’effetto ironico spesso è ottenuto sfruttando «la molteplicità di significati che assume un’espressione, cioè le varie possibilità di impiego offerte dal campo semantico di una parola» (CALENDOLI, 1979, p. 4432).

Una gallina disse che il tasso era una bestia, un’altra gallina disse che il tasso era una pianta e un’altra ancora disse che il tasso era un poeta. Bisognava aver paura del tasso? Tutte insieme decisero che era meglio non fidarsi del tasso (MALERBA, 2014, p. 51).

D’altronde, per ritornare alle teorie del Gruppo 63 e alla Neoavanguardia, la realtà è soprattutto un universo linguistico, dove gli oggetti esistono perché vengono nominati, e la letteratura è «un modo di agire nel linguaggio, ma anche […] un modo di agire con il linguaggio» (VETRI, 1992, p. 85).

Ed ecco la gallina enciclopedica annunciare alle compagne che il mondo è fatto di parole:

Una gallina enciclopedica aveva imparato a memoria più di mille parole. A questo punto credeva di essere diventata sapiente e quando stava con le compagne ogni tanto diceva ‘rombo’ oppure ‘cratere’ oppure ‘ortica’. A chi le domandava che cosa significassero quelle parole lei rispondeva che il mondo è fatto di parole e che se non ci fossero le parole non ci sarebbe nemmeno il mondo, comprese le galline.

La gallina come protagonista di storielle dissacranti nei confronti di talune forme di narcisismo intellettualistico, magari a sfondo esistenziale, compare anche nelle Favole minime di Rodari, raccolta di testi brevissimi con i quali l’autore, come scrive Carmine De Luca, «va a colpire gli errori e le distorsioni di una falsa razionalità […] i ragionamenti solo apparentemente logici» (RODARI, 1982, p. 85).

Una gallina, guardandosi allo specchio, si chiedeva: «Chi sono io? Per essere un leone mi mancano due zampe, per essere una volpe mi manca quel certo sorriso, per essere una pantera nera sono troppo colorita. Chi sono, chi sarò dunque mai? Dove andremo a finire?» (RODARI, 1982, p. 82).

Le galline di Malerba, però, trovano sempre una risposta, magari aspra, che pone fine al loro vaneggiare.

Una gallina un po’ incerta andava in giro per l’aia brontolando: «Chi sono io? Chi sono io?». Le compagne si preoccuparono perché pensavano che fosse diventata matta, finché un giorno una le rispose: «Una cogliona». La gallina un po’ incerta da quel giorno smise di vaneggiare (MALERBA, 2014, p. 11).

L’originalità di Malerba, inoltre, consiste nel ricorrere all’espediente del meta-racconto, cioè alla favola dentro la favola, mettendo in luce il modo di procedere del racconto stesso ed evidenziandone la letterarietà:

Una gallina vanitosa incontrò un rospo nell’orto. Il rospo incominciò a gonfiarsi, a gonfiarsi per diventare grande come una gallina. «Stai attento», disse questa, «che non ti succeda come alla rana che voleva diventare grande come il bue». «Ho capito», disse il rospo, «ma qui non si tratta di una rana e di un bue, ma di un rospo e di una gallina» (MALERBA, 2014, p. 13).

Oppure nel riscrivere, dal punto di vista gallinaceo, i classici della tradizione letteraria, con evidente effetto comico, una comicità che facilmente sconfina nel grottesco:

Una gallina irrequieta aveva visto Madame Bovary in televisione e si sentiva molto infelice di vivere in un piccolo pollaio di provincia. Sognava di andare nella capitale e di camminare avanti e indietro sui marciapiedi delle strade affollate sotto gli occhi di tutti. Voleva essere ammirata, sognava il lusso e le luci dei grandi negozi. Un giorno la caricarono insieme con altre galline su un camioncino. Le altre erano disperate, ma lei era felice perché aveva visto che il camioncino aveva la targa della capitale. Il giorno dopo venne esposta, spennata e con la testa all’ingiù, in un grande negozio del centro (MALERBA, 2014, p. 47).

Le galline sono pensierose, dunque, non solo perché hanno il pensiero, cosa naturalmente strana, ma perché si preoccupano quando si confrontano con la realtà umana e la trovano inquietante o incomprensibile. L’animale proverbialmente stupido ci costringe a domandarci se ad essere stupido, o almeno insensato, non sia piuttosto l’universo umano, specie quando annega nelle tautologie o nell’autoreferenzialità:

Una gallina pensierosa si metteva in un angolo del pollaio e si grattava la testa con la zampa. A forza di grattarsi diventò calva. Un giorno una compagna le si avvicinò e le domandò che cosa la preoccupasse. «La calvizie» rispose la gallina pensierosa (MALERBA, 2014, p. 7).

[…] Una gallina gallinologa dopo avere studiato molto il problema disse che le galline non erano animali e non erano nemmeno uccelli. «E allora che cosa sono?» domandarono le compagne. «Le galline sono galline», disse la gallina gallinologa e se ne andò via impettita (MALERBA, 2014, p. 49)

BIBLIOGRAFIA

MALERBA Luigi (1990), La scoperta dell’alfabeto, Milano, Mondadori

MALERBA Luigi (2008), Parole al vento, a cura di G.Bonardi, Lecce, Manni

MALERBA Luigi (2014), Le galline pensierose, Macerata, Quodlibet

BARBERIS Alfredo (1991), Non si può fare gli scrittori 24 ore su 24, in “Millelibri”, n. 38

BENJAMIN Walter (1981), Orbis Pictus. Scritti sulla letteratura infantile, a cura di G.Schiavoni, Milano, Emme Edizioni

CALENDOLI Giovanni (1979), Achille Campanile, in Letteratura italiana 900, vol. V, Milano, Marzorati

CALVINO Italo (1980), nota sulla quarta di copertina de Le galline pensierose, Torino, Einaudi

CAMPANILE Achille (1999), La quercia del Tasso, in Manuale di conversazione, Milano, BUR

GUGLIELMI Angelo (1978), Gare di bellezza per scorpioni, in Carta stampata, Roma, Cooperativa Scrittori

RODARI Gianni (1982), Il cane di Magonza, a cura di C. De Luca, Roma, Editori Riuniti

RODARI Gianni (1983), Favole al telefono, Torino, Einaudi

VETRI Lucio (1992), Letteratura e caos. Poetiche della ‘neo-avanguardia’ italiana degli anni Sessanta, Milano, Mursia