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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 10

 aprile 2015

Segnalazioni

Giovanni Kezich

Carnevale re d’Europa. Viaggio antropologico nelle mascherate d’inverno

copertina del libro

 [ Giovanni Kezich,Carnevale re d’Europa. Viaggio antropologico nelle mascherate d’inverno. diavolerî giri di questua riti augurali pagliacciate, Priuli & Verlucca Editori, Scarmagno 2015 ]

Illustrato da disegni di maschere di Helene Lageder, corredato da apparati di consultazione (bibliografia, filmografia e sitografia) a cura di Antonella Mott, con trascrizioni di musiche ad opera di Laura Gasperi, questo libro, di più di cinquecento pagine, si presenta come una vera e propria enciclopedia del carnevale in Europa. Rappresenta il risultato di una ricerca che si colloca nell’ambito del progetto internazionale Carnival King of Europe, promosso dal Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all´Adige, di cui Kezich è direttore (vedi www.carnivalkingofeurope.it). A questo progetto hanno aderito molti altri musei etnografici europei come appare dall’elenco della museografia.

«Uno spettro si aggira per l’Europa» – così inizia l’esposizione: non si tratta del comunismo naturalmente, ma appunto del Carnevale che si presenta in luoghi diversi e lontani con sequenze, maschere e riti che rivelano sorprendenti affinità. Kezich le percorre con attenzione regalandoci, come dice il sottotitolo, «un viaggio antropologico nelle mascherate d’inverno». A partire dalle nostre montagne del Trentino e del Sudtirolo, lungo tutta la valle dell’Avisio – da Valda a Grauno a Valfloriana fino ai piedi della Marmolada – in val dei Mòcheni, in val di Non, nelle Giudicarie (Bagolino), in val Sarentino e in Val Venosta, il racconto si estende all’Italia e all’Europa, raggiunge la Slovenia, la Carinzia, la Macedonia, la Polonia, la Spagna e l’Inghilterra. I personaggi mascherati sono scampanatori, corridori, saltatori, ballerini; si presentano nella sequenza di figure paurose, figure cerimoniali e figure burlesche. Il rito – e di vero e proprio rito Kezich ci parla a più riprese – comprende il ritorno dei morti, dei trapassati, le figure del vecchio e della vecchia che indicano lo scambio di generazione, il matrimonio per finta, il sacrificio finale di un simulacro, di un fantoccio, di un albero, la presenza di animali, la capra, l’orso e, infine, la semina (da cui deriverebbero i nostri coriandoli) e l’aratura rituale. Colpisce la presenza in luoghi lontanissimi tra di loro di personaggi vestiti di bianco, con alti cappelli a cono, adorni di lunghi nastri e di altri elementi simbolici.

L’interesse di questo libro sta proprio nella descrizione minuziosa, precisa e partecipe, di ciascuna delle centinaia di mascherate che si svolgono nei luoghi più remoti del nostro continente prima, durante e dopo il carnevale, inteso come periodo dell’anno: il libro estende l’analisi delle mascherate dalla festa di Ognissanti – dal carnevale prima del carnevale – a molto oltre il calendario di quello che consideriamo carnevale e che termina con la Quaresima.

Del resto l’approccio teorico a cui Kezich fa riferimento non è la tradizione degli studi che tentano un’interpretazione unitaria e sociologizzante – che si richiama a Bachtin – di un carnevale prodotto dal Medioevo cattolico, nel quale l’intera società si mette in gioco e si rispecchia alla rovescia. Il tema del rovesciamento torna più volte, ma in relazione a momenti particolari, a mosse specifiche. Kezich si riallaccia piuttosto alla corrente di studi etnologici che fa capo al lavoro dello scozzese James Frazer, Il ramo d’oro (pubblicata inizialmente nel 1890 e poi ampliata più volte, fino alla stesura definitiva del 1915) che indagava il tema della magia nelle sue manifestazioni empiriche nei vari luoghi e tempi della storia e del mondo.

Così l’interpretazione risale poi indietro rispetto al Medioevo, alle origine antiche, pagane, a riti remoti e propone anche la revisione dell’etimologia tradizionale del termine stesso di carnevale: non più da carnem levare, bensì da carmen arvale. L’ipotesi, suggestiva e documentata, fa risalire il termine alla confraternita romana dei Frates Arvales, Arvali biancovestiti, ornati di spighe, che fanno sacrifici pubblici perché i campi rechino le messi, e il cui canto ci è noto appunto come carmen arvale.

[ L.B. ]