[ Giuseppe Pontiggia, Le sabbie immobili, Edizione speciale per Il Sole 24 ore, pubblicata su licenza di Arnoldo Mondadori Spa, Milano 2012 ]
Si potrebbe cominciare dai verbi, uno in particolare:
«RILEGGERE Si usa per i classici che si leggono per la prima volta» (p. 35).
Ci si ritrova subito smascherati: dove trovare il coraggio di confessare, fosse pure a se stessi, di non aver ancora mai letto Anna Karenina?
Ma gli aggettivi sono ancora più rivelatori:
«KAFKIANO Riservato d’ufficio alla burocrazia. Rivela assenza di ogni familiarità con Kafka, come di ogni familiarità con Platone l’aggettivo platonico, riservato all’amore in bianco e al risultato di zero a zero nel calcio» (p. 49).
Eppure ci sentiamo così maledettamente snob nel pronunciarlo raccontando la nostra ennesima, prevedibile coda all’ufficio postale.
Le sabbie immobili, di Giuseppe Pontiggia, è un esilarante catalogo di stupidità, soprattutto linguistiche, la cui lettura rende difficile, a chi scrive, proseguire la stesura di questa breve segnalazione: davanti alla scelta di ogni parola, di ogni aggettivo, di ogni espressione appena un po’ ricercata, infatti, ci si sente addosso lo sguardo sornione dell’autore, capace di cogliere ogni minimo accenno di malafede o di supponenza dietro parole apparentemente innocue. Pontiggia si diverte a fare la parte del bambino nella favola “I vestiti nuovi dell’imperatore” e non perde occasione per dire a tutti che il re è nudo.
Disseziona il linguaggio della politica, passando dalla manovra (parola rinfacciata dai politici a chi li accusa di furto… p. 40), al bagno nel sociale (scendere tra la folla dall’automobile, dalla portantina,dal palco, dal balcone. Dura pochi minuti. p. 41), dal dialogo (ricercato da tutti, purché non sia reciproco. p. 41) alla stanza dei bottoni (il potere viene esercitato attraverso pulsanti che si illuminano. p. 56), dal cane sciolto (si dice in politica di chi passa da una parte all’altra. È il contrario di cane legato. p. 54) alla congiuntura (… si intende sempre sfavorevole, donde la soppressione dell’aggettivo. Condizione stabile. p. 55).
Ma un intero capitolo è dedicato al “Circolo delle Muse”, quella società letteraria che ha regole proprie e propri codici di interpretazione, società di cui Pontiggia è inevitabilmente parte, ma all’interno della quale, allo stesso tempo, rappresenta un corpo estraneo. Nel decalogo degli scrittori, al punto numero quattro, si legge: «Lo scrittore poco fecondo è migliore di quello prolifico. Chissà dove arriverebbe se non scrivesse mai» (p. 59). E prosegue poi con un’analisi puntigliosa degli “aggettivi della critica” – incisivo, inimitabile, inquietante, indelebile, inconfondibile, impeccabile, irresistibile, indispensabile – conducendo il lettore passo passo verso l’illuminante epifania dei contenuti sommersi.
Sempre spietato, ma al contempo indulgente, Pontiggia non dimentica neppure le “piccole masse”, con i loro tic e le loro manie, i loro tormentoni. Anche qui gli è facile mostrare come, attraverso l’uso impudico della lingua, non si faccia altro che mascherare significati veri e raccontare verità capovolte. Una sorta di nuova Psicopatologa della vita quotidiana, in cui si favoleggia dei miracoli della dieta italiana, si giustifica l’alibi semantico del grasso, si ragiona intorno a problemi esistenziali del calibro del russare in due o del viaggiare con un avaro. Il tutto con una capacità davvero straordinaria di cogliere le debolezze e le ipocrisie di noi tutti piccoli uomini, di denunciarle con il sorriso sulle labbra, rendendole in fondo meritevoli di perdono.
Nel capitoletto “Ridere per non piangere”, Pontiggia si sofferma infine sui meccanismi del comico, che nasce a suo parere dall’assenza di distacco: «Paradiso del comico è un mondo in cui gli uomini si identificano con i ruoli. Nobili che sono convinti di esserlo, intellettuali che si sentono delegati a pensare, genitori che costringono al dialogo figli che aspirano al silenzio» (p. 44). Come non essere d’accordo? Come non riconoscersi nella goffaggine quotidiana di pretendersi altro rispetto a ciò che prosaicamente si è?
«I comici, compagni di viaggio. Incarnano al posto nostro la sconfitta e insegnano come fronteggiarla» (ibidem). Strumenti preziosissimi, dunque, per attraversare un’esistenza che di vittorie, spesso, ne riserva davvero poche.
La chiusa della breve riflessione è ancora una volta un piccolo capolavoro di chirurgia semantica, alla quale non serve aggiungere altro, se non forse, sullo sfondo, la faccia senza sorriso di un imperturbabile Buster Keaton.
«La malinconia dei comici è una di quelle leggende di cui nessuno dubita, come la collera dei calmi.
Ma nasce solo dal contrasto, che accentua illusoriamente la differenza.
In realtà i comici non sono più disperati degli altri» (p. 46).