logo fillide

il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 19

 ottobre 2019

Segnalazioni

Il senso del ridicolo. Festival sull’umorismo, sulla comicità e sulla satira, Livorno 27-30 settembre 2019

«Non una carrellata di comici, ma un’occasione per studiare i meccanismi che fanno scattare il riso e il sorriso» ci tiene a sottolineare Stefano Bartezzaghi in apertura alla quarta edizione del festival di Livorno. Certo questo taglio dell’iniziativa, che ha mescolato l’approccio teorico alla leggerezza della battuta e della risata, non ha scoraggiato il pubblico. Moltissimi hanno seguito e partecipato con interesse vivo alle conferenze nella biblioteca dei Bottini dell’olio, hanno atteso in lunghe file davanti al tendone le performances teatrali nella vicina piazza del Luogo Pio, hanno riempito i novecento posti del Teatro Goldoni per ascoltare l’intervista a Silvio Orlando, hanno assistito alla proiezione dei film di Woody Allen scelti da Gabriele Gimmelli al Teatro Vertigo.
Per ripercorrere i momenti principali dell’iniziativa – senza pretendere di render conto di tutte le sue articolazioni e con un criterio senz’altro arbitrario – scegliamo il filo degli autori umoristici che sono stati presentati, letti e approfonditi. Il primo è Achille Campanile, il nostro McLuhan, afferma Bartezzaghi: Anna Bonaiuto inizia la lettura con il racconto La O larga, giocato sulla differenza tra il «quesito da porci» (con la ‘o’ chiusa) e il «quesito da porci» (con la ‘o’ aperta) con la domanda, appunto, da pòrco, che farà svenire l’attempata contessa Mara che tiene la rubrica mondana “Sono tutta per voi”.
Nel difendere la cantante Jula de Palma che, al festival di San Remo del 1959, interpretava con enfasi la canzone Tua, Campanile esclude qualsiasi accenno erotico, con un’interpretazione letterale del testo, trasformandolo in un casto rapporto matrimoniale in cui si legittima il «tua» e il «sognare in due» e conclude l’articolo addirittura con una lettura patriottica.
Bartezzaghi prosegue presentando La vita di Socrate, colpevole, a sentire Santippe, di avere sempre ragione, La cuoca di Molière e quella di Kant, giudici sicure delle opere dei loro padroni, La quercia del Tasso, con il gioco di parole sul Tasso scrittore, il tasso animale e il tasso albero, per finire con Paganini, stanco di ripetere, alla vecchietta sorda, che proprio non intendeva affatto «ripetere». Non manca naturalmente la citazione del Trattato delle barzellette, ma rimane solo un accenno. Il gioco con le parole, basato sull’ambiguità, sui doppi sensi, sul rovesciamento del punto di vista, sull’iperbole, da parte di Campanile, risulta esilarante e ci offre una visione inventiva e surreale della realtà, come ebbe a dire anche Umberto Eco.
A Campanile si è richiamato il giorno seguente anche Ascanio Celestini. L’attore-scrittore ha appena pubblicato da Einaudi un libro dal titolo Barzellette, un testo che invero Valeria Parrella ha definito un libro sui treni e sulla morte, ma non è certo la prima volta che incontriamo il connubio tra riso e pianto, commedia e tragedia. Utilizzando Freud e Wittgenstein, Celestini propone di analizzare le barzellette con lo sguardo comparativo dell’antropologo, di considerarle come «vere», come il catalogo di noi esseri umani, del nostro lato oscuro, senza tentare una definizione, che consiste invece nel loro uso e nel contesto. Ci promette così una fenomenologia della barzelletta. Come ogni altro gioco – sostiene – anche le barzellette hanno delle regole: non si può cominciare a raccontare una barzelletta con «questa sì che fa ridere…», non si può ripetere compiaciuti (come faceva Berlusconi) il finale: «non sei tu che fai ridere, è la barzelletta che fa ridere». Ci rivela alla fine di aver provato a scrivere un libro sulle bestemmie, caratteristica dei paesi cattolici, possiamo aggiungere: controriformistici, ma di avere, almeno per ora, rinunciato.
Un’altra lettura brillante ci è stata offerta da Filippo Ceccarelli, autore di Invano. Il potere in Italia da De Gasperi a questi qua, uscito da Feltrinelli lo scorso anno. Lo scrittore, che è stato per lungo tempo cronista parlamentare, utilizza i sonetti di Gioacchino Belli – e ci assicura che ce n’è sicuramente uno per tutti i momenti della vita – per interpretare le vicende politiche di «questi qua». Stefano Scialanga legge in romanesco:

Je casca a un omo una corona in testa?
Ecchelo in faccia a li veri cristiani
diventato er ziggnore de la festa.

Perché, ccome li soggni de la notte
sò immaggine der giorno, li sovrani
sò immaggine de Ddio guaste e ccorrotte.

Ceccarelli ripete e sottolinea: sono immagini di Dio guaste e corrotte, nonostante una lieve speranza nell’attuale governo pd-cinque stelle. Ci ricorda che nel 1953, quando uscirono presso Mondadori i tre volumi delle opere del Belli, il cardinal Montini, futuro papa Paolo VI, allora Segretario di Stato Vaticano, aveva sporto formale richiesta di rivedere l’opera appena pubblicata del Belli, e Andreotti aveva democristianamente tergiversato.
Inaspettatamente un altro autore è comparso nell’ambito del festival del ridicolo: Primo Levi. Marco Belpoliti ci ha ricordato che la definizione di umorista è stata data a Levi poco dopo la sua morte dall’amico Massimo Mila. Lo spiega – afferma Belpoliti – collegando questa affermazione ad altre definizioni: Primo Levi è uomo schivo, cortese, affabile, che ha qualcosa del camoscio, un animale che ispira grande simpatia, ma si lascia avvicinare poco. Uno humour sottile, vicino all’umorismo inglese, ma che è chiaramente presente nei suoi romanzi e nei suoi racconti; uno degli esempi è il racconto Il versificatore del 1960, una sorta di parodia dello strumento che propone un rovesciamento tra la donna e la macchina (cfr. il dialogo pubblicato da Belpoliti su “Doppiozero”). Pare poi che Primo Levi si dilettasse anche con i giochi di parole, con le assonanze, le false etimologie, con i rebus: ce lo assicura Bartezzaghi citando un esempio dal racconto Calore vorticoso, scritto a Ferragosto nel 1978: a Roma fottuta tutto fa mora, un palindromo che allude alla strana sensazione che la calura estiva possa sospendere e rovesciare lo scorrere del tempo.
Rimangono altre moltissime suggestioni, dalla «livornesitudine» (che fa rima con solitudine) dei livornesi Eva Giovannini, Bobo Rondelli, Paolo Virzì e Matteo Caccia, ai contributi di Massimo Recalcati, Chiara Alessi, Nadia Terranova, Stefano Andreoli, Marco Ardemagni, Sara Chiappori, Maria Cassi, Irene Soave, Sofia Gnoli e Bruno Gambarotta. Il sito: ilsensodelridicolo.it

IMG 4783

  Ascanio Celestini e Stefano Bartezzaghi – Livorno 29-9-19