Nel suo romanzo d’esordio Otto (Kiepenheuer & Witsch, 2019), Dana von Suffrin descrive cosa significa quando un testardo patriarca ebreo si trasforma in un invalido. Il protagonista Otto, un ingegnere in pensione, originario della Transilvania, siede ormai nella sua villetta a schiera di Monaco, diventando sempre più smemorato e tormentando le sue due figlie adulte con “schöne Bitten” (“piccole cortesie”). Dopo il suo ritorno dall’ospedale, le cose vanno solo peggiorando. È ancora irascibile, manipolatore, distaccato e con idee folli – ma ora ha anche bisogno di cure. La Süddeutsche Zeitung di Monaco ha scritto del suo esordio: «[Qui] è stato creato un romanzo che […] è prima di tutto un evento. Il linguaggio, la melodia delle frasi, i dialoghi di questa prosa suonano come se provenissero direttamente dalla letteratura yiddish dell’Otto-Novecento, dal cosmo di Scholem Aleichem, Bruno Schulz, Martin Buber, ma più giovane, più femminile e dell’anno 2019. Si ha la sensazione, leggendo questo libro, di come potrebbero essere oggi i giovani scrittori ebrei dei quartieri centrali di Leopoli, se la storia fosse stata diversa e se agli ebrei fosse stato semplicemente permesso di vivere la loro vita invece di incendiargli i tetti e quant’altro… In ogni caso, che questa melodia della lingua potesse essere ancora ascoltata nella letteratura tedesca, non c’era davvero da aspettarselo. Eppure è qui».
Dana von Suffrin, nata nel 1985 a Monaco e residente nella capitale bavarese, ha scritto la sua tesi di dottorato sui botanici sionisti in Palestina presso l’Istituto di storia della scienza della LMU. Ha ricevuto sei premi letterari per il suo acclamato debutto, tra cui il Debütpreis des Buddenbrookhauses, il Bayerischer Kunstförderpreis e il Friedrich-Hölderlin-Preis der Stadt Homburg.