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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 14

 aprile 2017

Saggi e rassegne

Kristian Anselmi

L’asino come il popolo: utile paziente e bastonato: la rivista “L’Asino” tra Giolitti e Mussolini

“L’Asino” fu fondato a Roma nel 1892 da due giovani studenti, il socialista Guido Podrecca – detto Goliardo – e Gabriele Galantara – detto Rata Langa. Podrecca, studente di lettere, si occupava degli articoli, mentre Galantara, studente di matematica e abile disegnatore, faceva caricature e vignette.

Il giornale, di chiara ispirazione socialista, internazionalista e anticlericale, operò fino al 1925, quando, all’indomani del delitto Matteotti, fu chiuso per intervento delle autorità fasciste. Le vicende del settimanale sono inevitabilmente correlate agli avvenimenti del Regno d’Italia: per maggiore comodità e perché ogni fase temporale si lega a temi differenti, ho distinto l’attività del giornale in cinque momenti: il periodo antigiolittiano, il periodo anticlericale, tripolino, interventista e infine antifascista. A ciò ho aggiunto una breve introduzione al primo foglio di Gabriele Galantara e Guido Podrecca, il “Bononia ridet”.

Gabriele Galantara e Guido Podrecca nel 1891 a Bologna

“Bononia ridet”

Gabriele Galantara, originario di Fano, veniva da una famiglia di possidenti terrieri impoveriti (cfr. NERI 1980, p. 7). Dopo aver frequentato le scuole primarie e secondarie, in cui già dimostrò una ottima attitudine al disegno, si iscrisse alla facoltà di matematica a Bologna. La vita nel capoluogo emiliano, benché gravata da problemi finanziari, fu enormemente proficua dal punto di vista intellettuale e ideologico, dato che a Bologna nella seconda metà dell’Ottocento era presente una borghesia intellettuale di ispirazione socialista e tra le masse proletarie vi erano orientamenti socialisti e anarchici. Galantara, che aveva coltivato fin da giovanissimo idee repubblicane e di sinistra, si immerse in quel fermento di idee progressiste. Probabilmente alle lezioni del Carducci conobbe Podrecca che si dedicava agli studi letterari. Anche questo giovane, lombardo, proveniente da una famiglia poco incline alla religione e nutrito fin dall’infanzia di idee repubblicane, condivideva la passione del coetaneo per la politica (cfr. NERI 1980, pp. 12-16). I due nuovi amici fondarono così nel 1888 la rivista “Bononia ridet”, stravolgendo parodisticamente l’antico motto dell’università bolognese: Bononia docet. All’interno della redazione Podrecca si sarebbe occupato degli articoli, mentre Galantara delle vignette.

In un primo momento i temi trattati sono spensierati e leggeri: si limitano a sbeffeggiare le attività accademiche, i docenti e danno resoconti di festeggiamenti e varie attività goliardiche. Si addentrano poi, piano piano, nell’ambito della politica cittadina lasciando sullo sfondo, per il momento, la politica nazionale e riscuotono tra la comunità studentesca notevole successo. Il giornale si caratterizza per le idee repubblicane e anticrispine, si ispira a un socialismo anarchico, orientamento questo che poi verrà smussato e si orienterà verso ideali vicini al socialismo riformista.

Il “Bononia ridet” abbandonò presto le posizioni moderate e un po’ goliardiche per iniziare a parlare di fatti e persone. Ne dà un esempio l’attacco a Giosue Carducci: nel 1891 infatti un piccolo gruppo di studenti insolentì pubblicamente il poeta e professore per le sue posizioni “senili” a favore della monarchia. Tutta la nazione fu colpita negativamente dall’aggressione a uno dei più eminenti letterati del tempo e il tutto si concluse in un processo in cui comparve, tra gli altri, anche il “Bononia ridet”. Il processo si risolse poi in un nulla di fatto.

Un mese e mezzo dopo vediamo ancora i due amici protagonisti delle vicende politiche bolognesi. Il primo maggio gli studenti socialisti, uniti ai membri della Società Operaia, diedero luogo a manifestazioni di massa e la polizia non esitò a intervenire per impedire gli esiti dell’anno precedente, quando, nella repressione, era stato impegnato perfino l’esercito. I due amici furono arrestati e poi prosciolti, ma non prima di aver passato qualche giorno nelle prigioni in attesa del processo.

I due, ormai politicamente compromessi, avevano abbandonato le aspirazioni di studio e di carriera, ma avevano in mente un nuovo tipo di professione per il futuro: il giornalismo politico. Nel 1892 Galantara e Podrecca si fecero quindi assumere da un giornale romano chiamato “Il Torneo” (cfr. NERI 1980, pp. 18-28), l’uno come disegnatore, l’altro come redattore. Alla fine, del giornale non se ne fece nulla e i due si dedicarono alla realizzazione di un settimanale tutto nuovo. Si trasferirono ad ogni modo nella capitale e trovarono in Luigi Mongini, ex mazziniano, un editore interessato. Il nuovo giornale fu chiamato “L’Asino” e cominciò ad uscire in bianco e nero il 27 novembre 1892 e a colori, con un procedimento nuovo per l’Italia, il 1° gennaio 1893. “L’Asino” ebbe fin dal principio un carattere politico e satirico, ma la satira politica, rappresentata dalle caricature, dalle vignette e da molti articoli, non occupò tutto il giornale, che pubblicò anche articoli di informazione e divulgazione storica e ideologica, come ad esempio le biografie di personaggi illustri del mondo socialista (Engels, Labriola e altri, cfr. CANDELORO, VALLINI 1970, p. VII.).

Il primo periodo antigiolittiano

Il primo periodo del nuovo giornale coincide con anni carichi di eventi significativi sia sul piano sociale che economico-politico. Soprattutto in Sicilia, ma in generale nel Meridione, sono anni di fatica e di fame. La reazione del governo Crispi alle proteste dei contadini e della popolazione fu del tutto degna dei peggiori regimi reazionari: furono schierati la polizia e l’esercito e le proteste furono represse nel sangue. Dall’altra parte il periodo si apre anche con una serie di scandali bancari tra i più importanti della storia d’Italia che contribuirono a mettere in cattiva luce la moralità e l’onestà dei deputati parlamentari, del Governo e persino del Re, mettendo in crisi l’intero sistema politico italiano.

La corruzione politica era cosa antica in Italia ed era largamente diffusa soprattutto in Meridione nel periodo precedente l’unità. Gli uomini politici avevano bisogno di denaro, poiché mancavano grandi partiti che potessero sostenerli finanziariamente; le banche e le aziende industriali mettevano pertanto la loro liquidità a disposizione degli uomini politici in cambio di particolari favori. Con l’unificazione nazionale questo fenomeno di corruzione non si arrestò, ma anzi si allargò anche al Settentrione (cfr. SMITH 1997, pp. 195-199). Particolarmente negativi per la credibilità dell’Italia furono gli scandali bancari tra il 1889 e il 1893 di cui “l’Asino” ci dà un resoconto.

Prima però di conoscere la reazione di Podrecca e Galantara agli avvenimenti è necessaria una breve ricostruzione storica.

Nel 1889 si era avuta una crisi finanziaria dovuta a una eccessiva speculazione edilizia soprattutto nella capitale (l’elezione di Roma a capitale aveva causato ingenti migrazioni da altre regioni): le banche dirottarono quindi tutta la loro liquidità nel settore edilizio che però presto subì una notevole battuta d’arresto. Per elevare la propria capacità d’investimento, le banche nazionali avevano aumentato la produzione di banconote e l’emissione di nuova valuta sul mercato causando ovviamente un serio fenomeno inflattivo. L’Italia, infatti, non possedeva ancora una banca centrale col compito di produrre ed emettere banconote, ma questo compito era affidato a sei istituti di credito privati, che al tempo stesso svolgevano le normali attività bancarie. Una di queste banche era la Banca Romana, di origine pontificia, alla cui guida si trovava Bernardo Tanlongo. Egli fece stampare in Inghilterra le banconote della Banca Romana, senza nessuna approvazione governativa; superò presto i sessanta milioni di lire che gli erano ufficialmente consentiti, oltre a quaranta milioni di banconote false che vennero prodotte con lo stesso numero di serie di quelle che dovevano essere ritirate perché usurate. I primi fallimenti bancari cominciarono a far trapelare alcune di queste irregolarità e si seppe pure che una parte della valuta eccedente era destinata a deputati e ministri. Il tutto venne inizialmente coperto probabilmente dal presidente del Consiglio Crispi. Ben presto però la crisi raggiunse il suo apice e non fu più possibile coprire le eccedenze di moneta. Si istituì pertanto una commissione parlamentare, presieduta dal senatore di sinistra Alvisi (noto per la sua rettitudine), che insieme ad alcuni funzionari individuò le gravi irregolarità e rese pubblico lo scandalo. Alvisi aveva presentato precedentemente la propria relazione sia a Crispi che a Giolitti (che era al tempo ministro del Tesoro) i quali però non vollero credergli e si rifiutarono di rendere pubblica la relazione. La relazione di Alvisi fu messa a tacere per alcuni anni finché non capitò tra le mani del repubblicano Colajanni che denunciò l’affare pubblicamente. Lo scandalo portò alla crisi del ministero Giolitti e diede a “L’Asino”, sempre pronto a denunciare l’immoralità e la corruzione della classe dominante, una notevole quantità di materiale.

Il personaggio rappresentato è Bernardo Tanlongo, direttore della Banca Romana

– Dunque, Bernardino caro, mi paghi il conto della sarta? – Aspetta almeno, Fifinuccia, che sia pronta la “Banca unica”.

Vignetta di Galantara che rappresenta i personaggi più invischiati nello scandalo romano: al centro sono sicuramente riconoscibili Crispi e Tanlongo (1893)

Cito da un articolo che ha come titolo Panamidone: in questo modo “L’Asino” chiamava Giolitti che soleva portare un palamidone, un lungo cappotto, e il nome fu storpiato in Panamidone per l’allusione allo scandalo finanziario di Panama durante la Terza Repubblica francese. Goliardo ci fornisce dapprima un resoconto della vicenda, facendo un vero e proprio “bilancio” della situazione. Si scaglia poi contro i deputati corrotti, contro Tanlongo e soprattutto contro l’allora ministro del tesoro Giolitti, a cui rinfaccia ipocrisia e mendacio, e infine chiude con un’immagine al tempo stesso ironica ed efficace.

L’Italia, come altre nazioni, fra un panama francese ed un panama spagnuolo, sta facendo finalmente il bilancio della moralità politico-capitalistico-borghese. Eccone i primi risultati, che la stampa riferisce con molte riserve e circonlocuzioni, e che L’Asino riporta a titolo di cronaca:

ATTIVO

Arresto del Comm. Senatore Bernardo Tanlongo, direttore della Banca Romana.

Arresto del Comm. Cesare Lazzaroni, cassiere della Banca Romana.

Fuga del Comm. Cesare Cacciniello, direttore del Banco di Napoli, sede Roma.

Arresto del Cassiere Vincenzo d’Alessandro, del Banco di Napoli, sede Roma.

Arresto del Contabile Luigi d’Alessandro, contabile del Banco di Napoli, sede Roma (e il seguito verrà)

PASSIVO

60 milioni di biglietti della Banca Romana, eccedenti la circolazione legale.

40 milioni scontati a pezzi grossi della politica, che variano dai 5 milioni dati ad un deputato della Provincia Romana, fino alle meschine 30 mila lire ad un deputato… radicale.

? milioni intascati dagli amministratori della Banca Romana arrestati.

? milioni passati e volati per le mani di alti personaggi, ministri o parenti di ministri del presente e passati governi.

2 milioni e 500 mila lire, vuoto di cassa nel Banco di Napoli, sede Roma.

Ecco il bilancio che la forza degli avvenimenti ha messo nel pubblico dominio; bilancio che da un anno correva sulle bocche di tutti i bene informati; bilancio che nelle sue varie fasi cronologiche, tutti i governi conoscevano o avevano il dovere di conoscere – da Depretis a Giolitti. Si tratta di denaro di cui il governo ed i governi passati devono rispondere; […] Si tratta di governanti complici volontari per anni ed anni di una dilapidazione fatta da amministratori sia per conto proprio, sia per favorire o stipendiare che dir si voglia quei deputati che i governi sostenevano. Si tratta di un panamidone piú immorale, nell’essenza sua, del francese; perché, mentre in Francia dei piccoli speculatori volontariamente affidavano i denari ad una impresa ladra, in Italia i derubati sono i contribuenti inconsapevoli ed estranei all’affaraccio, costretti a pagare con nuove tasse i denari mangiati, e dal governo garantiti. E il popolo, dopo aver ingrassato per secoli il governo dei papi e cardinali, continua ad ingrassare il governo dei commendatori e dei cavalieri!

Poi viene il lato buffo: Panamidone, che fino a ieri stava a braccetto del Comm. Tanlongo, oggi lo caccia in galera con la stessa indifferenza con cui lo metteva in Senato. Il presidente dei ministri, per mostrarsi puro ed immacolato, afferma d’essere un cretino. Perché tale egli si dice quando proclama di non aver mai saputo ciò che intorno a lui facevano banchieri, deputati, affaristi. Altrimenti bisognerebbe stabilire la massima che il governo possa ignorare come funzionano gli istituti di cui egli garantisce l’emissione. Più chiaramente: può ignorare quanta carta esce, dalle fucine autorizzate, con valore legale. E poi il signor Panamidone ignorava tali fatti anche quando – ministro del Tesoro – metteva a dormire la relazione Alvisi che di tali fatti si occupava in gran parte?

No: Panamidone non può essere stupido a tal punto; dunque la nomina a Senatore del Tanlongo, veniva proprio a proposito per continuare in un sistema adottato dai precedenti governi: tacere per aver l’appoggio dei favoriti dalle banche.

L’episodio buffissimo: gli ispettori governativi. O che fossero ebeti anche quegli ispettori; o che dormissero il sonno del giusto mentre i torchi delle banche correvano fabbricando

carta moneta, patriarcalmente, al di là della legalità? Il che è quanto dire che assistevano silenziosamente alla fabbricazione di carta falsa. E come si spiega il mistero del silenzio di ministri ed ispettori? È facile: quella carta falsa, diventava buona entrando nelle tasche dei pezzi grossi che la pubblica cosa reggono ed amministrano. Una buona parte se la pigliavano, come correntisti, gli amministratori (a meno che non li abbiano arrestati per far loro una burletta di carnevale), con l’altra parte si scontavano cambiali a 120 uomini politici deputati o ex, ministri o ex, giornalisti o ex, (tutti i giornali di venerdì riportano la cifra) tanto disposti a restituire che la ufficiosa “Tribuna” [Giornale quotidiano fondato da Baccarini e Zanardelli, membri della Sinistra Storica, ndr.] dice che 40 milioni sono compromessi se non totalmente perduti. Ed ora infierisce la battaglia fra quelli che non vogliono lasciare il governo, e quelli che ci vogliono andare o tornare.

Questi dicono: ai nostri tempi ciò non succedeva. E Panamidone, per mezzo del portavoce “Tribuna”, risponde eloquentemente; ed ecco la minaccia: «Se Rudiní limiterà la sua interrogazione ai fatti (che è quello che tornerebbe conto a Panamidone) niente di meglio; ma se risalendo un po’ indietro penserà di collegarli al passato, la discussione non potrà non estendersi alla ricerca di responsabilità le quali non possono restringersi a quella dell’attuale gabinetto.» [Il governo Di Rudinì fu in carica dal 6 febbraio 1891 al 15 maggio 1892. Dopo le dimissioni nacque il governo Giolitti, ndr.] Splendidi! Il governo presente che dice ai governi passati: Tacete sul conto mio, altrimenti proverò che voi non valeste meglio di me. Siamo d’accordo! Moderati o democratici, liberali o conservatori, tutti uguali di fronte al denaro… degli altri! Che dice l’Asino, il popolo italiano, di tutti questi oziosi caramellati che si mangiano prima, e poi si buttano in faccia, quelle ricchezze che lui solo ha accumulate e che a lui solo dovevano assicurare pane e tetto? Comincia ad accorgersi che governi e padroni, sieno francesi, italiani, o turchi, costituiscono una sola, immensa famiglia: quella dei vampiri che succhiano il sangue… dei somari! (“L’Asino, 22 gennaio 1893)

“Somari” è un disfemismo che indica il popolo. Il motto dell'”Asino” era infatti: «come il popolo così l’asino: utile, paziente e bastonato». Scrive lo storico Neri:

Goliardo e Rata Langa nutrono per Giolitti un’antipatia di tipo affatto particolare, quale non si manifesta neppure quando hanno a che fare con nemici politici più diretti e più aperti, con forcaioli come Crispi e Di Rudinì, con la comica e lugubre figura del “compagno Pelloux”. Nella loro politica apertamente reazionaria e antipopolare tutti costoro hanno il merito della franchezza. Giolitti no, Giolitti è un galantuomo, su questo non vuole che vi siano dubbi, e protesta sempre la sua rigida osservanza delle leggi. […] In realtà “L’Asino” sente fin troppo bene che nel modo di fare politica di Giolitti c’è qualcosa di diverso e anche qualcosa di superiore rispetto a Crispi. Ma è proprio questo qualcosa di diverso che lo lascia nell’imbarazzo e lo insospettisce. La figura di Crispi si presta bene a diventare una maschera popolare, la maschera del padrone autoritario e violento, che si lascia caratterizzare senz’altro dal cipiglio feroce e corrucciato. Giolitti invece è ambiguo e impenetrabile e non si sa mai cosa si nasconda dietro il suo “palamidone”. (NERI 1980, p. 43)

(25 maggio 1893)

Nella caricatura riprodotta qui sopra Giolitti viene trasformato in caprone: «L’onorevole Giolitti – scrive Goliardo -, esteticamente considerato, in tutte le vicende liete e tristi della sua vita politica, nella poltrona da impiegato o sulla seggiola imbottita di ministro, fra gli applausi della maggioranza e sotto la tempesta di palle nere, resta sempre, invariabilmente, un caprone.» (NERI 1980, p. 45).

È interessante notare come “L’Asino” avesse compreso fin da principio che, nonostante Giolitti indossasse una maschera d’onestà, la sua condotta politica non era del tutto scevra di irregolarità, come poi fu pubblicamente espresso da Salvemini con l’epiteto “ministro della mala vita”.

Alla fine delle vicende di corruzione politica il governo Giolitti I si dimise e al suo posto salì nuovamente al potere Francesco Crispi. Sono anni di reazione duri per un giornale satirico socialista come “L’Asino” che però non si piega ai successivi governi presieduti da Crispi, Rudinì, Pelloux, ma continua la denuncia contro la corruzione amministrativa, gli abusi degli organi di polizia, gli scandali giudiziari e contro la giustizia sommaria. Negli ultimi anni dell’Ottocento la situazione politica e sociale fu instabile e caratterizzata da violenze e proteste. Con la nascita dei Fasci dei Lavoratori e del Partito socialista dei Lavoratori nel 1898 l’Italia vede scoppiare in tutto il paese le cosiddette “sommosse della fame” che vedono confluire nelle strade migliaia di contadini, braccianti e operai. La reazione del governo Di Rudinì, che sostituì Crispi dopo la disfatta di Adua, fu aspra e condotta dalla polizia e dall’esercito in maniera brutale. Per il suo carattere polemico “l’Asino”, che non rinunciò a denunciare e oltraggiare il governo, divenne vittima di abusi, sequestri, blitz polizieschi e condanne. Podrecca, ricercato, nel ’98 fuggì a Lugano dove aprì una locanda per l’accoglienza di perseguitati politici socialisti, mentre Galantara finì a Regina Coeli con l’intera redazione dell'”Avanti!”. Galantara, ma così anche Podrecca, lavoravano infatti fin dai tempi della fondazione del giornale, nel 1896, con l’organo ufficiale del P.S.I.

Il periodo anticlericale 1901-1911

Dopo la sostituzione di Di Rudinì con Pelloux, nell’estate del 1998, Galantara viene finalmente rilasciato. “L’Asino”, grazie alle conoscenze acquisite durante gli anni della reazione, si è arricchito di nuovi collaboratori e ha persino cambiato sede. Anche la linea del giornale è cambiata. Messo da parte per ora il terreno della politica partitica, il giornale aderisce al nuovo spirito anticlericale diffusosi tra le fila del socialismo italiano. Il nuovo bersaglio è dunque il prete immorale, lussurioso, goloso e ipocrita che va contro i principi del celibato. Così Galantara, infervorato dal nuovo obiettivo, ci regala disegni grotteschi che raffigurano preti pasciuti, cardinali grassi e avidi di denaro, prelati superstiziosi e creduloni. Il nuovo indirizzo del settimanale piace molto ai lettori e proprio agli inizi del ‘900 il giornale raggiunge la tiratura di sessantamila copie (cfr. CHIESA 1990, p. 19).

Fu proprio grazie a giornali come “L’Asino” che mettevano in ridicolo le istituzioni ecclesiastiche e il clero che la battaglia anticlericale dei socialisti fu così efficace e contribuì all’affrancamento delle masse dall’influenza del clero. L’inasprirsi della lotta anticlericale avvenne però nel 1901 per differenti motivi. Innanzitutto il nuovo governo Zanardelli-Giolitti, insediatosi proprio quell’anno, diede un po’ di respiro al movimento socialista, che fino a quell’anno aveva dovuto preoccuparsi per la propria sopravvivenza, e permise al movimento di occuparsi di altre faccende di grande importanza, ma meno stringenti. La stessa politica del nuovo governo irritava in realtà i socialisti. La politica di Giolitti infatti mirava, come è noto, a ridurre i conflitti tra le fazioni politiche, e d’altra parte tra le sue fila militava un gran numero di deputati del Sud, i quali rappresentavano i latifondisti del Meridione, avversi al socialismo, e disponibili nei confronti del movimento clericale.

Parallelamente la Chiesa cattolica – sconvolta dalla nascita del movimento cattolico democratico-cristiano di Romolo Murri che trascurava il Non expedit e voleva confrontarsi con la politica moderna – risolse la crisi assumendo posizioni ancora più conservatrici e condannando il socialismo. In particolare il nuovo papa, Pio X, promosse politiche repressive nei confronti del modernismo e dell’ala democratico-cristiana, mentre al tempo stesso favorì un avvicinamento allo Stato italiano sostenendo liberali e conservatori alle elezioni del 1904 e del 1909 tramite due sospensioni del categorico divieto ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana. Anche la democrazia cristiana di Romolo Murri rappresentò un problema per il socialismo, in quanto essa si impegnò nell’organizzazione dei lavoratori, soprattutto agricoli, rappresentando per certi versi una concorrenza alle attività sindacali socialiste, che proprio in quel periodo si stavano facendo più fitte. La lotta ideologica si riduceva quindi a una più immediata e triviale lotta elettorale.

L’ultimo motivo, forse più immediato, dell’astio nei confronti del cattolicesimo riguarda la legge sul divorzio in cui si poté osservare con chiarezza l’influenza che la Chiesa cattolica aveva ancora sulla vita politica italiana. Nei primi anni del ‘900 ci furono due proposte di legge che miravano ad introdurre il divorzio nella legislazione del regno: la prima, nata tra le file socialiste, si interruppe quasi subito, mentre la seconda, promossa dallo stesso presidente del consiglio Zanardelli ebbe grande eco tra l’opinione pubblica, ma se da una parte non fu appoggiata con decisione dai socialisti, dall’altra fu ostacolata fortemente, tramite un’enorme campagna, dai movimenti cattolici e dal Vaticano stesso (cfr. SMITH 1997, p. 256 e CANDELORO, VALLINI 1970, p. XII).

“L’Asino” anticlericale

Il nuovo interventismo politico cattolico che rischiava di sottrarre al movimento operaio il proprio elettorato e minava il successo politico del movimento preoccupava non poco i primi socialisti italiani, come d’altronde anche gli altri partiti laici, e obbligava l’estrema sinistra a ingegnarsi per far fronte a questa nuova minaccia. Scrive Candeloro:

Per fare questo si presentavano due possibili linee d’azione: la prima era quella, già in corso da diversi anni, della paziente educazione degli operai e dei contadini, intesa come un aspetto della lotta per la loro emancipazione, condotta cioè in stretta collaborazione con l’attività di organizzazione politica ed economica e con lo sviluppo della lotta di classe, ma in modo da evitare lo scontro diretto col clero e coi cattolici sul terreno di principi morali e religiosi. La seconda consisteva nello sferrare un’offensiva violenta contro i preti proprio nel campo in cui questi erano, o sembravano essere più forti, quello del costume, della vita morale e del sentimento religioso. (CANDELORO, VALLINI 1970, p. XII)

La prima linea d’azione era stata intrapresa da Filippo Turati ed era per certi versi quella ufficiale, mentre la seconda era stata assunta da “L’Asino” dal 1901 e fu forse la più efficace e virulenta. La campagna anticlericale sviluppata da Galantara e Podrecca contribuì ad sminuire l’influenza che il clero aveva sulla vita privata e familiare delle classi meno abbienti, demolendo, tramite vignette e articoli, talvolta volgari e superficiali, ma dotati di una forza divulgativa enorme, l’immagine di moralità esemplare che il clero si sforzava ancora di mantenere. Il settimanale non risparmiò nessuno, né gli esponenti più eminenti del clero, Papa compreso, né i rappresentanti più umili dell’istituzione ecclesiastica, quelli più vicini al volgo a cui “L’Asino” sperava di «aprire gli occhi».

I sacerdoti erano presentati spesso come vittime degli istinti più bassi, proprio quelli che loro stessi combattevano (devianze sessuali, pedofilia, violazione del celibato, promiscuità tra frati e monache), e tali immagini, spesso esagerate, contribuirono certamente a creare una certa diffidenza da parte della popolazione nei confronti del clero minore.

Secondariamente nel mirino del giornale finirono tutte quelle usanze religiose che facevano parte della tradizione popolare come la venerazione delle reliquie, la celebrazione dei santi, e i pellegrinaggi. Furono utilizzati excursus storici per rammentare le nefandezze del clero nella storia passata: le crudeltà dell’Inquisizione, l’empietà dei papi, le indulgenze e tutte le nefandezze della storia della Chiesa. Infatti bisogna sottolineare che la preoccupazione di cogliere ogni occasione per attaccare la Chiesa spinse più volte i due fondatori a «mettere da parte lo spirito critico, a non fare alcuna distinzione tra gli avversari e a presentare talvolta un ritratto talmente negativo da oltrepassare i limiti dell’assurdo» (CANDELORO, VALLINI 1970, p. XIV). Questo atteggiamento attirò loro l’ostilità di molti opinionisti e giornalisti, sia di quelli schierati dalla parte opposta che degli stessi socialisti che, come Turati, condannavano la volgarità del giornale e lo accusavano di essere nocivo alla causa socialista. (CANDELORO, VALLINI 1970, pp. XIII-XV)

Per avere un’idea del modo di procedere del settimanale basti citare l’articolo di Podrecca che riporta un comunicato del vicario Respinghi nel quale il cardinale esprime il dissenso del Papa nei confronti dell’attività democratico-cristiana di Don Romolo Murri. “L’Asino” grida già al complotto, poiché secondo la redazione la Chiesa si dichiarerebbe contro il movimento sociale cattolico per non infastidire i potenti, mentre dall’altra il movimento sarebbe al servizio della Chiesa per procurarle i consensi tra il proletariato. In realtà Don Murri aveva reali divergenze con il Vaticano che non approvava la sua intraprendenza politica, ma il commento del giornale è radicale:

Ora tutto ciò non è che commedia. Il Papa finge di essere irritato contro Don Murri, tanto per tranquillizzare i ricchi dei quali ha bisogno per l’obolo di Pietro. Don Murri fingerà di sottomettersi al Papa, e continuerà a fare il democratico cristiano per accaparrare al Papato anche i lavoratori. Cosí il Vaticano si piglia – come al solito – i ricchi e i poveri, ingrassando alla barba di tutti.» (“L’Asino”, 5 ottobre 1902).

(1902)

Nel 1903 “L’Asino” inaugura una rubrica periodica con il titolo Il Covo. Il covo è San Pietro, il centro della cristianità, da cui secondo il giornale satirico partono tutte le malefatte della Santa Chiesa. Dal lusso dei Barberini alle amanti di Pio IX, dalla simonia sino ai più famosi scandali della storia della Chiesa: tutto sarà vagliato da “L’Asino”. L’indagine riguarderà molte delle istituzioni vaticane, dalle Congregazioni («cespiti di guadagno») al Sant’Uffizio. Alcuni articoli, come quello sulle amanti di Pio IX, furono sequestrati e in generale la rubrica fu condannata da molti quotidiani cattolici e non (anche dall'”Avanti”). La rubrica non viene pubblicata con regolarità, ma a seconda delle occasioni e viene suddivisa in “caso antico” e “caso moderno”. Qui sotto è riportano un articolo del 1903.

Il prelato è probabilmente Merry del Val, Segretario di Stato di Pio X, uomo dalle idee conservatrici e antimoderniste. (4 gennaio 1903)

IL COVO

è Roma papale. Tutto ciò che di Roma ignorano i piú – l’organizzazione del potere teocratico, i retroscena clericali, le curiosità della storia e dei monumenti romani, il sistema della bottega, le rivalità sacerdotali, le tenebrose speculazioni sull’obolo, e gl’infiniti misteri del papato sarà lumeggiato dalla fiaccola dell’Asino, che comincia oggi mettendo in piena luce la maggior gloria cattolica: San Pietro. L’Asino invita tutta Roma a San Pietro. L’autopsia della Roma papale morta, e la vivisezione della Roma clericale viva, non possono cominciare che da San Pietro, il centro del cattolicesimo, il fulcro che regge tutto il grande edificio clericale gravante sul mondo come una cappa di piombo.L’Asino non è novellatore: l’Asino è documentario! Da ciò il suo crescente successo fra i popoli moderni, che tutti amano indagare, studiare, documentare. Orbene: anche questa volta, l’Asino documenterà; e a prender visione dei suoi documenti, invita tutta Roma, quella che crede e quella che non crede, in San Pietro, nel centro di San Pietro, intorno a quell’altare dove non può dir messa che il Papa. L’immenso pubblico, se può rimaner indifferente alle nostre parole, non potrà frenare un grido di stupore e di indignazione, di fronte all’opera d’arte che immortala nei secoli, con lo scalpello di uno dei massimi artisti d’Italia, la morale del papato. Questa volta, i documenti dell’Asino sono scolpiti nel marmo; e nessuna gazzetta cattolica potrà cancellarli a furia di bava e di inchiostro. Tutti a San Pietro! – ecco il nostro invito.

L’altare di San Pietro

Lo immaginò il Barberini: Papa Urbano VIII (del quale tesseremo al prossimo numero la biografia), famoso per nepotismo, per vanità, per spirito vendicativo, per delitti d’ogni genere, pel processo a Galileo anche di questo tratteremo esaurientemente — e per l’epigramma celebre di Pasquino, che di lui, depredatore del Pantheon e del Colosseo, esclamava il celebre: Quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini.

Desideroso, Urbano VIII, nella sua smisurata vanità, di immortalarsi, commise al grande architetto Gian Lorenzo Bernini, l’incarico di erigere nel centro di San Pietro – sotto la grande cupola – un colossale baldacchino di bronzo, che proteggesse e decorasse quell’altare al quale solo il Papa può accedere per dire messa. L’opera fu compiuta nel 1633. Quattro gigantesche colonne di bronzo dorato sorreggono il tetto a cupola, ornato agli angoli di quattro angeli, e sormontato dalla croce.

In questo lavoro si adoperarono 48 mila chilogrammi di bronzo, sfrondando il Pantheon dei suoi più vaghi ornamenti – indi l’invettiva di Pasquino. Fra le quattro colonne, sorge l’altare dei papi. I basamenti delle quattro colonne sono in marmo bianco, ed ornati – per volere di Urbano – dello stemma dei Barberini, opera insigne del Bernini. Ed è precisamente in questo capolavoro – che tutti possono osservare ben da vicino perché ad altezza d’uomo – che il Bernini bollò magistralmente e indelebilmente la morale papale, che è ancor oggi quella… degli antidivorzisti. (“L’Asino”, 4 gennaio 1903)

L’articolo riporta poi una voce secondo la quale un nipote del Papa, il cardinal Taddeo Barberini, mise incinta la sorella di un allievo del Bernini, il quale chiese al pontefice la riparazione dell’offesa tramite il matrimonio. Il Papa rifiutò e così il Bernini, per vendetta, scolpì all’interno dello stemma dei Barberini l’immagine della fanciulla con il bambino.

Fra moglie e marito / non mettere il dito / Ed egli bel caso / sa metterci il naso (1904)

L’Italia è fatta… ed è in buone mani l’educazione dei figli!

In questa vignetta si fondono due temi: l’uno è il privilegio ancora concesso ai prelati di insegnare nelle scuole pubbliche, l’altro riguarda le accuse di pedofilia (8 gennaio 1905)

Nel 1907 alcuni religiosi furono arrestati per aver commesso violenza su alcuni minori trasmettendo loro anche delle malattie veneree. “L’Asino” diede particolare risonanza al fatto, il quale fu reso esemplare, con l’epiteto “pallanzesco”, poiché il fatto avvenne in un istituto di Pallanza.

(15 settembre 1907)

Vedi, figlia mia, tutto questo gran disastro l’ha voluto Iddio, colpendo tutti: giusti ed ingiusti, peccatori e non peccatori… – Ma se fosse così, signor curato, questo vostro Iddio sarebbe un gran delinquente! (1° ottobre 1905) La satira si riferisce al terremoto che aveva colpito la Calabria.

Il successo de “L’Asino”

Quando si parla dell’importanza del settimanale di Rata Langa e Goliardo bisogna parlare anche di numeri, per rendersi conto della portata della diffusione del settimanale tra il popolo del primo Novecento. Nel 1893 la redazione annunciava con un certo orgoglio di aver raggiunto la tiratura di trentamila copie. Con la repressione dei governi conservatori essa calò a undicimiladuecento nel 1898. In corrispondenza del periodo anticlericale la crescita divenne esponenziale, tanto che nel 1903 la redazione avverte che ben sessantamila “asini” stanno imperversando per tutta la Penisola (NERI 1980, p. 89). Nel primo decennio del Novecento “L’Asino” aveva avviato in effetti una vera e propria campagna promozionale per tutta Italia: a Frascati metteva in palio un asino vero, distribuiva medaglie tra gli abbonati nelle campagne, alcune delle quali raffiguranti il “Bepi” di Ratalanga, pubblicava annunci di “Nascite socialiste” o celebrava “matrimoni anticlericali” (NERI 1980, p. 109).

Altri numeri interessanti sono quelli d’oltreoceano. Nel 1903 il giornale aveva dovuto provvedere alla stampa di un’edizione apposita per l’estero, da imbarcare al porto di Genova e far spedire in America. Nel 1915, quando la tiratura aveva raggiunto le centoventimila copie, “L’Asino” arrivava in Giappone, scorrazzava in Australia con diecimila copie e finiva in America con circa quarantamila copie, divise equamente tra il Nord e il Sud del continente (NERI 1980, p. 113). Il motivo di tanto successo fuori dall’Italia sembra risieda nel fatto che il nostro settimanale satirico era uno dei pochi giornali che raggiungesse gli emigrati all’estero ed essi finirono con l’affezionarcisi. D’altronde “L’Asino” era una lettura facile e immediata, ma densa di spunti di riflessione e dibattiti e riusciva a tenere informati gli emigrati, i quali, inoltre, condividevano certamente l’astio nei confronti di quella stessa classe di governanti, infamata dal giornale, che per la loro incapacità li aveva costretti ad emigrare.

In generale però il grande successo dell'”Asino” è dovuto a vari fattori: innanzitutto l’originalità di un giornale che coniugava l’aspra critica sociale e politica con la satira, e le moltissime vignette che accompagnavano gli articoli rendevano il foglio indubbiamente più accattivante e leggero. Non è assolutamente da sottovalutare inoltre l’uso del colore nelle vignette satiriche, un’innovazione in Italia. Le caricature di Galantara inoltre, non sono meramente ironiche, ma spesso decisamente grottesche.

Le abilità artistiche e le vignette mordaci di Rata Langa (Galantara) vengono apprezzate anche in Europa. Dopo numerosi viaggi compiuti in Europa (nel 1900 a Parigi in occasione dell’Esposizione Universale, nel 1902 a Berna, in Germania nel 1903, infine a Vienna nel 1904) Galantara iniziò a collaborare con il giornale parigino “Assiette au Buerre”, che gli valse una certa notorietà anche all’estero e che gli garantì finalmente una certa stabilità economica, mai avuta nel corso della vita (CHIESA 1990, p. 22). Sempre nei primi del ‘900 Galantara lavora per “Der Wahrer Jacob”, giornale socialista tedesco molto in auge in Germania (parliamo di una tiratura di duecentocinquantamila copie), che fu certo modello per “L’Asino” ai tempi della sua nascita, ma il cui sodalizio cesserà con l’avvento del primo conflitto mondiale (cfr. NERI 1980, p. 136-139).

“L’Asino” e la guerra. 1911-1922

Un altro filone interessante della storia del settimanale riguarda la posizione nei confronti della guerra che, se in teoria veniva condannata dai socialisti fedeli all’internazionalismo, riuscì in seguito a mettere in crisi i partiti socialisti di tutta Europa, creando differenti correnti a favore o sfavore dei conflitti armati. Anche nell'”Asino” la guerra porterà nuove discordie all’interno della redazione.

La guerra di Tripoli. 1911-12

Per dichiarazione di Podrecca sappiamo che lui e il suo compagno Galantara avevano punti di vista differenti per quanto concerne le diverse correnti socialiste e, ad onor del vero, condividevano soltanto l’accanito anticlericalismo. La data della rottura tra i due risale al settembre 1911 quando il governo dichiara guerra all’impero Ottomano dando avvio alla guerra di Libia.

All’interno della diatriba che divide il Partito socialista si inserisce anche il dissidio tra Galantara, rimasto fedele all’antimilitarismo e all’internazionalismo socialista, e Podrecca che si schierò con i minoritari. Ciò che avvenne e che rende “l’Asino” particolarmente interessante fu che il giornale accettò la divergenza di opinioni e scelse di pubblicarle entrambe. Galantara e la maggior parte dei redattori erano contrari alla guerra, mossi prevalentemente da un sano pacifismo socialista, ma anche dal sospetto nei confronti del Banco di Roma, istituzione vaticana che aveva investito nelle miniere libiche. Podrecca si ritrova quindi ad essere l’unico interventista all’interno del giornale e forse per questa ragione diviene più conciliante. Scrive infatti:

Il sottoscritto ha già pubblicato a questo stesso posto una sua dichiarazione con la quale – pur riservando ogni suo giudizio e azione parlamentare in merito alla questione tripolina – lasciava liberi i redattori dell’Asino di esprimere, nelle vignette e negli articoli, 1’opinione loro. […] Non è la prima volta che l’Asino rispecchia le diverse tendenze urtantisi nel seno stesso del nostro partito.

Si può anzi dire che io e Galantara – in venticinque anni di vita in comune- non siamo mai stati d’accordo se non in un punto: la lotta contro il clericalismo e per il socialismo.

Fin dai primi tempi del socialismo (Congresso di Genova) Galantara si trovò schierato con gli astensionisti; Podrecca coi parlamentaristi; più tardi Podrecca fu con Turati, Galantara con Ferri; ancora: Podrecca coi riformisti, Galantara coi rivoluzionari: oggi Podrecca poggia verso Bissolati, Galantara verso Turati, l’un dall’altro divisi nella questione di Tripoli.

[…]

Intendiamoci dunque: l’Asino non decamperà mai dal suo antico principio: libertà per tutti i suoi redattori – e dalla sua antica caratteristica: rispecchiare ogni tendenza, purché converga contro il nemico comune, il prete, divenuto simbolo del capitalismo più reazionario. (“L’Asino”, 29 ottobre 1911)

Come si evince dalla citazione, Podrecca cerca di banalizzare una situazione tesa e sottolinea che spesso i due amici si sono confrontati sulle varie correnti del socialismo. Ed è sicuramente vero che i dissidi ideologici furono fino a quel momento superati, ma a Podrecca sfugge – o forse egli lo omette – che le circostanze sono cambiate. “L’Asino” del secolo passato e del primo decennio del Novecento era stato un giornale ribelle, l’avanguardia della contestazione socialista, pungente, sarcastica e veritiera, ma sempre distruttiva. In questi nuovi tempi, non si trattava più soltanto di stigmatizzare un discorso o un decreto del “Bepi” o di prendere una posizione in seno al partito socialista, ma bisognava decidere se aderire o no ai progetti di un Governo liberale e quindi se introdursi nei dibattiti nazionali con un atteggiamento propositivo.

Cosa spinga Guido Podrecca, socialista ed internazionalista, a diventare tripolino suscita senza dubbio interesse. Egli sostiene che l’Italia sarà portatrice di civiltà e giustizia in Africa e che il proletariato africano si avvarrà della conquista e della modernità portata dagli italiani per liberarsi degli oppressori e dei capitalisti indigeni. Crede poi che i contadini italiani potranno usufruire delle nuove terre a buon mercato, «dal momento che i proprietari italiani ne hanno elevato così strozzinescamente i prezzi» (“L’Asino”, 22 ottobre 1911). Egli aveva persino intrapreso un viaggio nella regione per confermare le proprie convinzioni: «Constatai, visitandola – scrive in un telegramma -, essere all’Africa riservato grande avvenire. Sono favorevole in massima all’occupazione europea per ragioni di progresso, di civiltà, di umanità e nello stesso interesse del proletariato europeo e indigeno» (NERI 1980, p. 146).

Nonostante l’apparente buona fede, le sue opinioni lo resero inviso, non solo ai propri compagni di giornale, ma anche a numerosi membri del P.S.I., che successivamente riuscirono a espellerlo.

Dal canto suo, Gabriele Galantara aveva invece intuito gli interessi economici celati dietro alla facciata nazionalista: l’arricchimento degli industriali che avevano fornito il materiale bellico, dei borghesi che avrebbero comprato le terre conquistate col sangue del proletariato italiano, e del Banco di Roma che non avrebbe perso i suoi investimenti. Cercava così attraverso le vignette a colori, sempre provocatorie e grottesche di sensibilizzare il proletariato italiano dimostrandogli che non avrebbe ricavato nulla da un territorio quasi interamente desertico e che il suo sangue sarebbe stato versato per altri. In tal senso sono esemplari le figure seguenti.

Come mi mette appetito… quest’osso (1911)

(1911)

Alla fine della guerra “L’Asino” annuncia così il cessate il fuoco:

I turchi, che avevano resistito alle cannonate, hanno deciso di non resistere più alla costanza fatale e terribili delle canzoni belligere di Gabriele D’Annunzio, a getto continuo. Per scongiurare l’ulteriore moltiplicazione di terzine, cessano, fortunatamente, le ostilità.

Galantara aveva dunque avuto un’esatta intuizione: la Tripolitania sarebbe stata per il soldato soltanto ossa e deserto.

La lieta notizia del termine del conflitto non poté comunque raggiustare i rapporti ormai incrinati tra i due fondatori: Galantara coltivava il desiderio di rompere i legami ormai difficili con l’amico. Podrecca si era probabilmente allontanato troppo dagli ideali che avevano permesso uno stretto rapporto di fratellanza e collaborazione ed era ormai legato a interessi politici differenti. La collaborazione continuò comunque, poiché i due fondatori trovarono un accordo politico in vista della Grande Guerra che vede entrambi schierati sul fronte interventista.

Rata Langa interventista

Quando L’Arciduca Ferdinando viene assassinato a Sarajevo, la redazione del nostro giornale non si duole troppo per la morte dell’erede al trono asburgico. Per la verità “L’Asino” era irritato dall’antica alleanza tra l’impero asburgico e la Chiesa Cattolica e vedeva di malocchio anche il Reich tedesco, considerato colonna portante del mondo borghese e dell’Europa più reazionaria. La penna di Galantara si mette, questa volta, al servizio dell’Interventismo e crea una serie di vignette sprezzanti nei confronti dei giganti tedeschi. Conviene chiedersi perché il vignettista segua le orme del vecchio compagno che precedentemente avevano destato in lui una ripulsa. Il cattolicesimo asburgico, la contrapposizione tra la Francia, liberale e aperta, e la Germania bellicosa e classista, e infine il tradimento dei socialisti tedeschi facevano degli Imperi un nemico comune della causa di Galantara e Podrecca. “L’Asino”, dunque, che negli anni dieci aveva ancora un’ottima diffusione, contribuì alla causa interventista e coniò tra le più mordaci vignette della sua esistenza, tanto che la redazione fu denunciata nel 1914 dall’ambasciata tedesca per aver offeso la persona dell’imperatore di Germania.

Nel 1915 giunge dunque la guerra anche per gli italiani. Così l’annuncio della redazione:

È la guerra anche per l’Italia! Essa costituisce un vanto ed una ragione di gloria pei nazionalisti, costituisce una fatalità dolorosa pei socialisti. Fatalità per l’Italia che ha alle porte i due imperi criminali che da oltre quarant’anni preparavano, pazientemente e formidabilmente, il colpo di mano che avrebbe dovuto condurre ai piedi dell’imperialismo militarista della Germania e a quello clerico-reazionario dell’Austria, tutta l’Europa. Guglielmo II scatenò la guerra che doveva germanizzare il mondo già avvinto alla Germania colla rete fittissima degli affari, coi tentacoli della Deutsche Bank, […] con un lento e pertinace lavorio diplomatico e coi… mariti delle mogli tedesche.

Per questo sogno criminoso, che doveva conseguire l’ineluttabile sua realizzazione nel bisogno di maggiore espansionismo commerciale e politico, la Germania si lanciò con furia felina contro la civiltà del mondo […] dilaniando il Belgio, ghignando sulle rovine delle prime linee francesi, sui massacri degli innocenti, sulle città incendiate. […] L’Italia, scossa da un fremito immenso di dolore, ebbe subito il grido di esecrazione contro i barbari aggressori! L’Asino per primo lanciò il suo grido di esecrazione, con plauso unanime dei suoi amici lettori duplicatisi in un solo mese, e asserragliatisi per far argine all’ira del macellaio e al boicottaggio dei tedeschi di dentro e di fuori d’Italia. (“L’Asino”, 30 maggio 1915)

Durante il periodo bellico Goliardo e Rata Langa manifesteranno particolare attenzione nei confronti della situazione nei Balcani, i cui stati sono il simbolo della fiera resistenza «all’imperialismo pangermanico», anche se nel 1916, la redazione sosterrà che l’invasione dei Balcani ha un ruolo solo propagandistico, funge da casus belli per un conflitto già programmato dagli imperi centrali dal 1913. Altro paese le cui vicende furono seguite con vivace interesse è chiaramente la Russia e “L’Asino” si ritrova a condannare Lenin e i bolscevichi giudicandoli dei «venduti alla Germania» (CANDELORO, VALLINI 1970, XVII).

Col proseguire della guerra, che al tempo stesso aveva finito per distanziare Gabriele Galantara dal P.S.I pacifista, l’idea della guerra «giusta» e rivoluzionaria, atta a contrastare i regimi reazionari sembrò, man mano, paradossale di fronte alla morte, alla povertà e alla fame causate dal conflitto. La reazione interventista dell'”Asino” apparì quasi un disconoscimento di quei principi socialisti di antimilitarismo, pacifismo ed internazionalismo che furono così importanti sia per la diffusione ed il successo del settimanale che a livello personale soprattutto per Galantara. La poca vivacità dei temi, l’insistenza sull’aggressività della Germania, la reazione, l’imperialismo di Guglielmo rendono “L’Asino” di questi anni monotono e poco stimolante. Verso la fine della guerra le difficoltà nel procurarsi la carta per la stampa obbligarono il giornale ad abbassare la tiratura e infine lo costrinsero a chiudere.

Il Podrecca, che aveva collaborato sempre meno alla redazione, si ritrovava ormai lontano dalle idee del movimento operaio e la sua involuzione nazionalista era ormai compiuta. Egli non rinnegava infatti le posizioni assunte di fronte all’imminenza della guerra, mentre il collega riconobbe nell’ideologia interventista il proprio traviamento ideologico e si considerò a tutti gli effetti un apostata. Il Podrecca quindi collaborò sempre più spesso al “Il Popolo d’Italia” di Mussolini ed infine si candidò alle elezioni del 1919 nella lista fascista (CANDELORO, VALLINI 1970, p. XVIII)

Guglielmo in quattro atti (11 ottobre 1914)

(2 gennaio 1916)

La fine… (21 maggio 1916)

“L’Asino” e il Fascismo. 1922-1925

Podrecca, convertitosi pertanto al Fascismo, si recò a New York nel 1922 col fine di ottenere fondi per malati tisici, e morì negli Stati Uniti nell’aprile dell’anno seguente. Rata Langa riuscì invece a riconciliarsi con i socialisti. Così egli ritorna finalmente, nel 1921, a pubblicare la rivista, ed è solo al comando della testata (CANDELORO, VALLINI 1970, p. 371). Sul primo numero pubblica un meraviglioso articolo di autocritica nei confronti della propria adesione alla causa interventista, ma anche dei momenti di aspra lotta ai danni del clero, momenti che a posteriori vengono considerati anni di degenerazione e di corruzione. Così “L’Asino” dice di sé, parlando in prima persona: «fui letto dai giovinetti erotici, dai vecchi viziosi. Servii di eccitamento masturbatore. Non fui più strumento di difesa e di offesa di un diritto, di un interesse, di un’aspirazione» . Parole forti dunque, non comuni tra chi si rende conto di aver sbagliato e chiede umilmente scusa ai propri seguaci. Il giornale voleva tornare pertanto agli antichi splendori, all’antica lotta politica, quella dei tempi della reazione, della repressione di Crispi, Pelloux e Di Rudinì; e i tempi, senza alcun dubbio, si facevano appropriati, dato che le squadracce fasciste già dilagavano per il Paese compiendo violenze d’ogni tipo, in special modo ai danni dei simpatizzanti del socialismo. Questo l’articolo, quasi per intero:

RITORNO

Ho ragliato per la prima volta alla luce del sole trentadue anni fa, a Roma. Chi mi preparò la mangiatoia non era, no, un signore. Voleva attaccarmi al suo magro carretto, – al quale aggiunse più tardi una più nobile testa da tiro – perché lo aiutassi a sormontare la dura salita. Io dovevo tirare, allora, morsi e calci contro quanti erano nemici del poveraccio che mi aveva legato alla sua sorte. Io dovevo levare all’aria i più potenti ragli contro tutte le cose turpi che affliggono il mondo e rendono miserrima la vita alle genti del lavoro.

Al Partito dei poveri che mi si era messo attorno, all'”Avanti!” che m’era più tardi divenuto fratello, io diedi tanta bella opera mia. Molti di coloro, che mi avranno per le mani oggi – i giovani – non ricordano certo quel lontano passato e non sanno i calci sferrati, i morsi distribuiti, i ragli levati al cielo. Molti, forse, non ricordano nemmeno più il mio nome. Altri non l’hanno neppure mai inteso.

Eppure da Povero Asino, per il popolo «utile, paziente e bastonato» ho fatto parecchio ed ho portato sul basto, quasi da solo, il peso di una lotta attiva, forte, coraggiosa contro tutte le ingiustizie e tutti gli ingiusti, contro tutte le mistificazioni e i mistificatori.

Ruffian, baratti e simile lordura sotto i miei calci potenti e replicati hanno visto spesso mandati all’aria i loro intrighi, svelate le loro brutture, sciorinata al sole la loro tristizia. Ho mostrato in chiara luce le meschinità, la prepotenza, le vergogne di tutti i governi […]. Poi, mi prese un giorno vaghezza di correre la cavallina, non era corsa da me, l’Asino doveva restare Asino. Io volli invece fare lo stallone, entrai in casa dei preti, a bella prima per mostrare anche le loro miserie, per denunciare la loro connivenza coi padroni del pane, per tirare calci e morsi al loro crumiraggio […] destinato a salvare il privilegio dei signori e, con quello dei signori, anche quello della Chiesa. Ma in sacristia e in canonica mi corruppi. Non vidi altro che impudicizie e stupri, violenze carnali e peccati di desiderio, tormenti di amore e delitti di concupiscenza e di libidine. L’ambiente e la compagnia mi avevano guastato. Abbandonai il fatto sociale. Fui letto dai giovinetti erotici, dai vecchi viziosi. Servii di eccitamento masturbatore. Non fui più strumento di difesa e di offesa di un diritto, di un interesse, di un’aspirazione […] Quanto è brutto perdersi, per via dei pessimi compagni e ascoltare seduzione dei perduti!

Così – quando gli intrighi di corte, che avevo prima spesso svelati, le speculazioni di borsa,

che avevo denunciate, gli appetiti mercantileschi, che avevo denudati, condussero i poveri all’immane macello – io mi ritrovai talmente smidollato e guasto che non sapei vedere quello che di ingannevole e di falso vi era sotto le bandiere della Patria, della Giustizia, della Libertà, della Democrazia. E partì per una guerra infranciosato fino alle midolla […].

Quale tristissima lezione! Almeno essa mi ha giovato. Addio inganni democratici, addio bugie patriottiche, addio pornografia anticlericale. L’Asino torna quello che era ai suoi bei tempi. […] Nato ribelle, ritorno ribelle. Levo in alto il raglio contro tutto il mondo birbone dei ricchi, dei potenti. Sferro calci contro tutte le iniquità. Agguanto col mio morso sano e forte l’ingiustizia e la cuticagna e la sbrano e ne scopro le viscere carognose. Vedetela, come è brutta!

Socialisti d’Italia, io son tornato a voi. Voi, tornate all’Asino! (“L’Asino”, 25/31 dicembre 1921 )

Questo articolo, che comparve sul primo numero dell'”Asino” risorto, fu scritto e stampato nella nuova sede del giornale, presso gli uffici dell’”Avanti!” con cui si era stretto un buon sodalizio. Galantara aderì infatti alla corrente maggioritaria del Partito Socialista, l’ala massimalista guidata da Serrati, il quale era anche dal 1914 direttore dell’organo di stampa ufficiale del partito.

La satira colpisce per primo Bonomi per la sua inettitudine a governare nelle difficili circostanze del dopoguerra. Di lui “L’Asino” dice:

Dopo aver fatto parte della combriccola che aiutò e incoraggio D’Annunzio a fare la spedizione di Ronchi […] stipulava il trattato di Rapallo con la Jugoslavia. Si guadagnò subito il titolo di “traditore”, ma non ci fece caso. Preparò, anzi, l’impresa natalizia di Fiume ed entrò così definitivamente nelle grazie di Giolitti. Quando cadde anche Giolitti, e non si trovò nessuno disposto ad accettare l’incarico di comporre il nuovo Gabinetto, dopo avere offerta la presidenza a tutti, si pensò che restava Bonomi […]. Attualmente sta studiando tutti i problemi più ponderosi della vita italiana: Saseno, Porto Baros, la durata del Gabinetto, la pesca nel lago di Garda, il pareggio del disavanzo, l’addomesticamento dei popolari, l’adescamento dei socialisti, la presa dei fascisti, ecc . (“L’Asino”, 25/31 dicembre 1931)

Il grande elettore cardinale… Bonomi (1922)

Uno degli episodi più eclatanti di questo periodo fu l’attacco dei fascisti alla sede dell'”Avanti!” nella quale, ricordiamo, erano situati anche gli uffici dell'”Asino”, come risulta dalla figura 17.

Violenze inutili

Distrutto? – Ma se è più… vivo di prima? (3/9 settembre 1922)

La marcia su Roma (22/28 ottobre 1922)

Il nuovo anno vide le dimissioni di Bonomi e la nomina di Facta a capo dell’esecutivo. Il giornale denuncia l’inettitudine di Facta, o forse la sua ingenuità («io nutro fiducia» disse riferendosi al Duce, poco prima dell’inizio della Marcia). Così “L’Asino” quando deve nominare Facta usa il titolo “l’on. Nutro fiducia”.

“L’Asino” continuò la sua lotta contro il fascismo anche dopo la Marcia su Roma, benché il linguaggio della satira muti lievemente. Se prima aveva inneggiato alla rivolta e alla resistenza contro il movimento fascista, il nuovo “Asino” se ne sta sulla difensiva, sbeffeggiando più che accusando, e si fissa in particolar modo sulla figura di Mussolini, che prima di quel momento era stato leggermente trascurato dalla redazione, la quale aveva preso di mira fino gli esponenti più bassamente violenti del movimento come Roberto Farinacci e Michele Bianchi.

Il Duce è rappresentato da Galantara in modo molto diverso rispetto ai personaggi politici avversi delle epoche precedenti: la sua figura è «tragica e ossessiva, la personificazione della violenza collerica» (NERI 1980, p. 172). I tratti somatici sono rozzi, la mascella è messa particolarmente in evidenza, è spesso raffigurato con la barba incolta; tutto ciò ci dà l’immagine di un uomo brutale, barbaro, di un primitivo.

(22 settembre 1923)

Nel raffigurare Mussolini “L’Asino” insistette molto sul passato socialista del Duce ed in effetti questo rimane uno dei tratti più particolari della biografia dell’uomo e probabilmente anche uno dei più scomodi per il Mussolini fascista. Certo “L’Asino” non teme di rendere noto quel volto celato e di accusarlo non tanto di essere un traditore della causa socialista quanto un ipocrita e un opportunista che, pur di ottenere il potere, volta le spalle ai propri ideali. Qui di seguito una meravigliosa vignetta a riguardo:

Benito I: – Chi siete? – Sono… Benito del ’14 – Mi meraviglio che siate ancora a piede libero

(1923)

La fine

Dopo l’omicidio di Matteotti “L’Asino” si schiera con gli aventiniani credendo che ciò avrebbe comportato finalmente la caduta del regime: la copertina dell'”L’Asino” è in effetti un urlo liberatore. Ma gli eventi andarono in un’altra direzione. Il giornale subì alcuni sequestri e nel 1925 esce l’ultimo numero con la seguente dichiarazione: «”L’Asino” sospende con questo numero le pubblicazioni. Ma risorgerà a breve in forma migliore. Per ora diciamo ai lettori: grazie e arrivederci». Sebbene la dichiarazione sembri quanto mai spontanea, la chiusura fu in realtà coatta e “L’Asino” non risorse mai più. Con la progressiva abolizione della libertà di stampa molti colleghi del giornale partirono per l’estero, mentre Galantara, che si trovava a Milano, volle raggiungere la famiglia a Roma. Venne arrestato, condannato all’esilio e condotto a Regina Coeli come misura preventiva. La condanna si tramutò in libertà vigilata e quindi Gabriele fu libero, ma la sua carriera giornalistica si può dire conclusa.

Commento all’omicidio di Matteotti (1924)

Lui (1925)

BIBLIOGRAFIA

CANDELORO G., VALLINI E. (1970), Lʹ Asino di Podrecca e Galantara, Feltrinelli, Milano

CHIESA C. (1990), La satira politica in Italia, Laterza, Bari 1990

NERI G. D. (1980), Galantara. Il morso dellʹ Asino, Feltrinelli, Milano

SMITH D. M (1997), Storia d’Italia. Dal 1861 al 1997, trad. it. a cura di G. degli Uberti e M. Sampaolo, Laterza, Bari