Paolo Bozzi (Gorizia 16 maggio 1930 – Bolzano 10 ottobre 2003), allievo di Gaetano Kanizsa, è stato un importate studioso di psicologia sperimentale e fenomenologia della percezione. La sua formazione filosofica e logica, la capacità di raccontare, l’amore per la poesia e per la musica si fondono nelle sue opere con l’osservazione minuta e la creatività dello sperimentatore: ne risulta una scrittura con un registro altissimo che si ispira alla grande tradizione della letteratura scientifica del mondo antico, di Galileo e di Ernst Mach. Ma Bozzi sa anche divertire con accenni satirici alle abitudini accademiche nella ricerca, con annotazioni sorprendenti, facendo uso talora di espressioni dialettali triestine e friulane.
Abbiamo rivolto alcune domande alla moglie, Margherita Braitenberg, per ricostruire il lato allegro e umoristico della personalità di Paolo Bozzi.
Accanto ai lavori scientifici Paolo ha scritto anche testi letterari – basti pensare al capitolo di Fisica ingenua “I violini”, un racconto sul nonno falegname che costruisce il primo violino-giocattolo di legno, l’inizio delle lezioni di Lipizer, la descrizione del violino esploso, paragonato a un grande giglio bianco e dorato con le corde arricciate come stami. Poi L’osteria, geniale applicazione del linguaggio gentiliano al mondo dell’osteria, del gioco a carte, del vino. Oppure Un’invenzione, il racconto delle bolle, che analizza con lo stile inappuntable dello scienziato sperimentale e del logico la fotocamera delle bolle delle bugie. La dedica di Fisica ingenua (1990) dice: A Margareta che quando mi vede scrivere chiede sempre «Scrivi ameno?». Intendevi tutto questo per “scrivere ameno”?
Sì, intendevo questo. Anche musica, magari. Era un grande raccontatore, la sua scrittura è piena di immagini. Sì, ad esempio le bolle, il racconto delle bolle, come lo chiami tu: il titolo è appunto Un’invenzione…
… l’invenzione della macchina fotografica che coglie le immagini delle bugie come bolle che si formano attorno alla bocca di chi le pronuncia e poi rimangono stabili in alcuni luoghi della casa, vicino al telefono per esempio, oppure nella camera da letto…
poi ce n’è un altro. Aspetta: ah sì: Astronomika. Paolo ha sempre scritto. Da ragazzo si appassionava e traduceva i lirici greci. Ha iniziato anche un romanzo: ricordo che era qualcosa sui pesci. Sapeva raccontare. Quando l’ho conosciuto aveva tanta voglia di raccontarmi la storia della sua infanzia, di prima, della sua famiglia. Talvolta condiva il racconto con dei disegni. Mi chiedi se era divertente. Ricordo una volta. Siamo andati da Merano in Val di Non, a Cles, credo. Faceva freddo. Ci siamo fermati in un bellissimo bar, caldo, con tanta luce. Paolo si è messo a raccontare: parlava della nonna – io dicevo: e com’era la nonna? la nonna era una grandissima raccontatrice, era una friulana, portava il fazzoletto. Allora si è messo al tavolino a disegnare la nonna paterna, il fratello, la mamma, come se fosse una vignetta, un fumetto. Già all’inizio era così… ci eravamo appena conosciuti; c’era anche molta voglia di conoscere tutto dell’uno e dell’altro. I suoi racconti, che condiva con disegni, ricostruivano il passato…
Questa capacità di cogliere con un segno l’espressione dei volti, ma anche di indagare le qualità delle cose faceva parte anche del suo lavoro… Credo che vivere con Paolo sia stato, oltre che interessante, anche molto divertente.
Era divertente, spiritoso, raccontava le barzellette, trasformava qualsiasi cosa in un evento festoso. Qualsiasi giornata con lui aveva un tornaconto festoso. Era solito dire – e mi riprendeva anche su questo: bisogna fare un cosa sola al giorno; saranno comunque cinquanta, cento gli impegni; non bisogna correre di qua e di là. Basta scrivere tre pagine, forse solo tre righe. poi mi premio: suono il violino, poi andiamo a pranzo oppure a cena assieme, usciamo. L’elemento gaio, allegro, festoso, conviviale, c’era sempre.
… allegro e colorato …
è per questo che ha avuto tanti amici. Dal tassista al collega. Parlava con tutti con piacere; era espansivo; con lui si stava bene. Qualche tassista, qualche negoziante se lo ricorda ancora e ricorda come riuscisse a spiegare argomenti difficili e complicati. Anche con me che ero da educare… Ci si divertiva. aveva una concezione epicurea della vita. Nel senso di una vita priva di dolore, poi se c’era qualcosa di più tanto meglio.
E questa allegria c’era anche nella musica?
[ Pausa ] no. Nella musica, direi di no. La sua allegria non era superficiale. Nella musica compariva la vena melanconica. Basta ascoltare le ultime tre composizioni: sono canti friulani (sono stati eseguiti a Udine qualche anno fa) e sono di una tristezza travolgente.
Paolo era scettico e pessimista. Tutto quello che aveva vissuto sul lavoro lo aveva reso pessimista. Sì certo l’amore la letteratura e la musica… ma nella musica emergeva il fondo triste, il cuore, la commozione. Un impegno essenziale per lui. Al violino ha sempre dedicato tre ore al giorno – quando non era in treno. Per il violino aveva rinunciato all’operazione che forse gli avrebbe salvato la vita, perché pensava di non riuscire più ad appoggiare il violino al torace.
Ma torniamo al racconto: Paolo aveva una memoria eccezionale. Anche per questo era divertente stare con lui. Viaggiare con lui, con lui e Vicario ad esempio, era sempre una sorpresa. Erano tutti così, in quel gruppo di ricercatori: andavano per strada; qualcuno di loro si fermava all’improvviso: vedi quell’ombra, vedi quel colore!
Quando ho pensato, come medico, alla persona che non c’era più, quella notte, ho ricordato proprio questo: alla sua memoria fotografica, alla capacità di cogliere e ricordare tutte le connotazioni delle cose, primarie, secondarie e terziarie. Tutto questo mondo di colpo non c’era più.
Margherita si alza e va a prendere un raccoglitore rosso. Contiene appunti, foglietti, disegni, copie dei saggi di Paolo, tutti in ordine cronologico. La raccolta inizia con un articolo di Claudio Magris del febbraio 1981. Riporta la storia della poesia Ein gleiches di Goethe, una poesia scritta su una rupe e ricercata dal poeta dopo cinquant’anni.
Magris però l’avevo scoperto da sola, prima di conoscere Paolo. Ah! Ecco i disegni della sua famiglia. il papà era socialdemocratico e antifascista, il nonno amatissimo – Paolo lo ripeteva sempre – il nonno aveva un laboratorio a Sagrado…
Il falegname?
Sì, aveva due lavoranti, uno era comunista e rosso di capelli e ogni volta che si svolgeva un’adunata fascista, era tutto organizzato, la polizia lo andava a prendere, e lui si rassegnava a passare una notte al fresco, poi il giorno dopo tornava al lavoro. Poi c’è il racconto sull’amico botanico che è morto giovane e il cui lutto Paolo non ha mai superato.
Ne parla in Fisica ingenua.
Sì. Leo, il giovane sloveno arruolato dai nazisti come traduttore, che divenne professore giovanissimo, a Montpellier. Ma il racconto continua e riguarda la prima delusione d’amore di Paolo. La fidanzatina voleva un marito avvocato o ingegnere e Paolo decise di partire per la Francia e arruolarsi nella Legione stranera. Domani, diceva l’amico: ci pensiamo domani. Poi lo coinvolse in un viaggio di studi in Algeria, dove andarono per un anno nel deserto a studiare una pianta che riusciva ad accumulare acqua, l’albero di Giuda, credo. Ma i francesi vi scoprirono il petrolio e rinunciarono alla ricerca sulla pianta.
È vero che prima di scrivere un nuovo articolo o un libro Paolo leggeva – come mi disse una volta – qualche classico della scienza o della letteratura per trovare il registro giusto della scrittura?
Sicuramente vero. Leggeva anche in greco. Lo diceva anche mio padre (Valentino Braitenberg) che la lettura era necessaria alla scrittura scientifica. Del resto non riesco a distinguere nettamente tra scrittura letteraria e scientifica.
L’amicizia con Valentino Braitenberg fu precedente o successiva al vostro incontro?
Si conoscevano. Mio padre mi condusse con sé in un viaggio in Jugoslavia. Avevo 15 anni e facemmo tappa a Trieste per incontrare il suo amico violinista. Quella volta però non lo vidi. Fu più tardi, a casa di Benedetto Scimemi, a Padova. Paolo insegnava a Padova e tra i suoi allievi migliori, oltre a Paolo Legrenzi e la sua futura moglie, Maria Sonnino, c’era Luisa di San Bonifacio, diretta discendente di Dante, ma soprattutto fidanzata del matematico Scimemi, pianista. Mio padre, che suonava il violino e la viola, l’aveva conosciuto a Tübingen, attraverso il libriccino che contiene l’elenco dei musicisti da camera amatoriali. La musica fu il collante. Io vidi Paolo Bozzi proprio a casa di Scimemi. Aveva una camicia rossa a scacchi, da far west. Suonava il violino.
Bozzi, P. (1980), Astronomika, “Giornale Italiano di Psicologia”, VII, 3
Bozzi, P. (1983), L’osteria, P. Deganutti ed., Trieste (trad. in tedesco: Das Gasthaus, in Valentino Braitenberg (a cura di), Das Unterdach des Abendlands, Arunda, Bozen 1988)
Bozzi, P. (1990), Fisica ingenua. Studi di psicologia della percezione, Garzanti, Milano
Bozzi, P. (2007), Un’invenzione, in Il mondo sotto osservazione. Scritti sul realismo, Mimesis, Milano
I primi due testi sono reperibili nel sito, dedicato a Paolo Bozzi, dell’Università di Verona: http://www.ephplab.eu/page.php?13