[ Le poetiche del riso. Ironia, comicità, umorismo e grottesco nella letteratura e drammaturgia italiana del primo Novecento, Convegno organizzato dal Dipartimento di Italianistica dell’Istituto di Studi Romanzi dell’Università Carlo IV di Praga in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Praga, 22-24 ottobre 2014, Cappella barocca e Sala conferenze dell’Istituto. ]
In attesa della pubblicazione degli atti, rendiamo brevemente conto di questo importante convegno al quale hanno partecipato studiosi provenienti da varie parti del mondo, dalle università e dalla rete degli Istituti di Cultura Italiana. L’indirizzo mail al quale dovevano essere spediti gli abstract conteneva già una lieve beffa: era intestato ad Aldo Giurlani, al quale molti di noi convegnisti si sono rivolti confidenzialmente e frettolosamente con un «caro Aldo», senza ricordare che era il vero nome di Palazzeschi.
La figura di Aldo Palazzeschi, nel quarantennale della morte, è stata poi al centro dell’interesse, nonostante si debba riconoscere – come ha ricordato Gino Tellini – che lo scrittore fiorentino avrebbe davvero irriso a un convegno su di lui. La sua poetica è stata affrontata da molti studiosi che hanno messo in rilievo la marca leopardiana della sua scrittura, la levità di uno spirito libero che riesce a trasfigurare il dolore nel riso (Gino Tellini, Il riso dolente del «saltimbanco dell’anima»), un riso che riesce gaio, distante da quello vitalistico e truculento del primo Papini (Antonio Saccone, “Morte ai morti” ovvero “Accidenti alla serietà”: Papini tra Marinetti e Palazzeschi), e che risulta vitale e più ludico se lo si mette a confronto con l’umorismo di Pirandello (Alice Flemrová, “Egli ha creato perché ciò lo divertiva”. Tragedie ridicole dei personaggi fuori chiave). Anche l’analisi stilistica di alcune opere – tra cui La Piramide e L’interrogatorio della Contessa Maria – ha confermato la leggerezza del Palazzeschi e la pluralità di significato del suo humour.
Altre sezioni del convegno hanno avuto come oggetto di analisi la teoria e la poetica di Luigi Pirandello, la filosofia dell’umorismo di Carlo Dossi, le forme del riso di Italo Svevo, la scrittura di Carlo Emilio Gadda, l’esperienza futurista, i lavori di Tommaso Landolfi e di Alberto Moravia. Numerosi interventi sono stati dedicati ad autori significativi per l’approccio umoristico, come Alberto Savinio, Achille Campanile, Cesare Zavattini, Pier Maria Rosso di San Secondo, Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano, Roberto Bracco, Massimo Bontempelli e Luigi Antonelli.
Abbiamo rivolto alcune domande ad Alice Flemrová, docente dell’Università di Praga, membro del comitato organizzatore e vera anima del convegno.
Partiamo dalle motivazioni che vi hanno indotto a organizzare un convegno sul tema del comico e dell’umorismo.
All’inizio volevamo ricordare gli anniversari di Aldo Palazzeschi, perché oltre i quarant’anni passati dalla sua morte, nel 2014, quest’anno celebriamo i 130 anni dalla sua nascita. Ma poi ho deciso di allargare o ampliare il campo tematico e centrare l’interesse del convegno non soltanto sulla figura di Palazzeschi bensì su varie “poetiche del riso” nate nel primo Novecento per poter studiare il fenomeno del riso nella letteratura e drammaturgia italiana nella vasta scala delle sue teorie ed espressioni artistiche.
La riflessione teorica sul comico, l’umorismo e il Witz dei primi anni del Novecento è stata davvero importante per la pubblicazione dei saggi di Bergson, Freud e Pirandello: vale lo stesso per la produzione letteraria e teatrale?
Ma certo, nel senso che la produzione letteraria e teatrale non si svolge isolata dalle influenze della riflessione teorica, il pensiero e la creatività si sono sempre sviluppati nel contatto reciproco. Ma le radici del “germogliare” delle poetiche del riso (sia individuali che collettive) spuntate all’inizio del Novecento vanno però cercate già nell’Ottocento, basta citare Nietzsche, Baudelaire, Dossi… ma abbiamo visto che la ricerca delle influenze ci porta fino a Leopardi, Jean Paul…
Un primo risultato degli interventi che ho potuto seguire (il convegno è stato organizzato in due sale e i lavori sono stati condotti in parallelo) è stata l’individuazione di almeno due modi del ridere: quello guerresco – del pugno, della lotta, del ribellismo – e quello che nasce dal pianto e trasfigura il dolore in levità. Si può concordare con questa impostazione che trasforma la definizione del comico nella ricerca della pluralità dei suoi significati?
Sinceramente non sono molto d’accordo con delle classificazioni riguardanti le poetiche del riso. Sì, generalmente la distinzione fatta da te risulta quella più evidente: il riso provocatorio, beffardo contrapposto al modo di ridere “filosofico”, interiore, silenzioso, ma se poi andiamo a leggere i singoli testi, se paragoniamo i singoli autori, ci si rende conto che il riso e quindi anche la sua rappresentazione artistica è un’espressione estremamente individuale dell’uomo ed è molto variabile. La categoria del comico o dell’umoristico è difficilmente delimitabile, determinabile, semplificando un po’ le cose, potremmo dire che è molto più soggettiva di quella del tragico. Diciamo spesso che di uno scrittore ci piace o non ci piace lo humour, il senso dell’umorismo o del comico, ma di solito non giudichiamo in tale modo il “senso del tragico”. Quando Pirandello nel suo saggio L’umorismo si pone la domanda “Che cosa è l’umorismo?” non a caso dice che “tante definizioni si vengono infine ad avere dell’umorismo, quante sono le caratteristiche riscontrate, e tutte naturalmente hanno una parte di vero, e nessuna è la vera”. Ed anche se egli alla fine propone una definizione, quella del “sentimento del contrario”, sono del parere che questa vada applicata soprattutto alla sua poetica personale.
Possiamo parlare allora di “figure del comico”: il doppio, la maschera, il saltimbanco?
Perché no? Ma sono figure che possono benissimo fungere anche da “figure del tragico”.
I filosofi dell’umorismo – Jean Paul, Fritz Mauthner, ma anche Carlo Dossi – hanno individuato come caratteristica fondamentale dello humour la centralità dell’Io, ma al solo scopo di metterlo alla berlina, di frantumarlo, di azzerarlo, come ha detto anche Gino Tellini a proposito di Palazzeschi. È corretta questa interpretazione?
Io non mi sento arbitro che decide se le interpretazioni sono corrette o no… Posso soltanto essere d’accordo o no… Comunque ho già detto che considero il comico e l’umoristico estremamente soggettivi, la centralità dell’Io è quindi fondamentale; è per questo che, secondo me, non ha mai funzionato il riso come programma di un gruppo. Certo che esistono eccezioni, però sono rare. Non credo però che l’Io si possa azzerare in una rappresentazione comica o umoristica, per questo la richiesta futurista di “distruggere nella letteratura l’«io»” non combaciava con le poetiche del riso dei singoli autori.
Comico e umorismo prevedono spesso uno sguardo straniato, obliquo: si tratta di un modo di percepire diverso da quello quotidiano?
Non penso che debba essere la regola, forse dipende piuttosto dalla sensibilità del soggetto che guarda… Certo, se parliamo del grottesco, poi sì, lì lo sguardo è per forza deformante. Per esempio l’umorismo di Italo Svevo parte dalla visione dettagliata del piccolo mondo quotidiano, lo sguardo del suo narratore non ha niente di straniato né straniante.
Nel convegno sono emersi elementi nuovi nell’analisi della poetica degli scrittori presi in esame?
Nemmeno io ho potuto seguire le due sessioni parallele, e ancora non abbiamo raccolto tutti i contributi. Ma mi ha fatto piacere che si sia parlato anche degli scrittori un po’ trascurati, di Campanile, Zavattini, Flaiano, Brancati, Landolfi… Anche gli scrittori più frequentati dalla critica sono stati guardati da un’altra prospettiva, come per esempio Moravia, Buzzati… E poi è stato per me molto interessante sentire trattare autori come Svevo o Pirandello da prospettive “extraeuropee”, grazie ai colleghi venuti dal Brasile, dal Giappone…
Il convegno ha fatto vedere che con le “armi del comico”, detto con Pedullà, si è combattuto molto nella letteratura italiana del primo Novecento, che è stata definitivamente superata la divisione fra stili e generi alti e bassi, che il tragico e il comico si sono “ufficialmente” avvicinati per fondersi nell’arte così come sono fusi nella vita.