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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 13

 settembre 2016

Saggi e rassegne

Luisa Bertolini

Pulcinella filosofo

I Pulcinella dei Tiepolo nella lettura di Agamben

Pulcinella è filosofo: su questo nessuno ha dubbi e ce lo conferma Giorgio Agamben in uno studio recente che trae spunto dai numerosi disegni e affreschi che Giambattista e Giandomenico Tiepolo hanno dedicato a questa figura (AGAMBEN 2015). L’intento del filosofo, professore a Venezia, è insieme profondo, in quanto compendio e approdo dell’intero suo percorso intellettuale, e leggero, «lieggio comme a ‘nu piatto ‘e maccarune primma ca tu t’ ‘o magne», come dice lo stesso Pulcinella nel dialogo che Agamben immagina essersi svolto tra la maschera napoletana e (Gian)Domenico.

Agamben traduce così la meditazione di Domenico Tiepolo sulla fine del suo mondo, sulla morte politica di Venezia e, insieme, sulla fine della sua vita, che emerge in due fondamentali lavori che costruiscono la prima biografia fantastica di Pulcinella: il ciclo degli affreschi di Zianigo, nella villa che Domenico aveva ereditato dal padre Giambattista e nella quale si era ritirato abbandonando Venezia (1793-1797), e l’album di 104 tavole, intitolato Divertimento per li regazzi (1797-1804, anno della morte), una sorta di «incunabolo del fumetto» – come scrive Adriano Mariuz (MARIUZ 2008, p. 105) – nel quale Pulcinella, attorniato da altri Pulcinelli, «sguaiati e leggeri, in una moltiplicazione quasi ossessiva dell’identico personaggio» (ivi, p. 225), si muove tra storie domestiche e voli fantastici del mito antico. Il disegno, tremulo e veloce, ne ha stilizzato la figura, in contrasto profondo con i Pulcinella del padre che – come nota ancora Agamben – sono definiti quasi sempre con tratti netti e ritratti nelle posizioni più volgari e grottesche, mentre mangiano, defecano o orinano (AGAMBEN 2015, p. 25), ma ai quali non manca certo la «bellezza della deformità» (MARIUZ 2008, p. 98).

Il ciclo pittorico del Camerino di Zianigo ritrae alcuni momenti, quasi tutti ludici, della biografia di Pulcinella: Pulcinella e i saltimbanchi, Pulcinella innamorato, Pulcinella sull’altalena e altre scene della vita di Pulcinella nei tondi e nelle scene angolari. Questi affreschi sono oggi visibili a Ca’ Rezzonico, mentre i 104 disegni – dopo l’unica mostra che presentava l’intera serie al Musée des Arts Décoratifs a Parigi nel 1921 – vennero venduti separatamente e mai più ricomposti (cfr. la scheda in GRECO 1990, pp. 306ss., MARIUZ 2008, pp. 225-226).

In queste storie dedicate ai ragazzi Pulcinella è ancora più misterioso: non è il Pulcinella del San Carlino di Napoli e nemmeno quello di strada che, giunto a Venezia, improvvisa nelle calli le scenette comiche e patetiche, sarcastiche e parodiche, tipiche della maschera, afflitta dalla fame atavica, dalla sete e dall’amore. Si tratta di un Pulcinella che si è ritirato nella campagna veneta, in una fattoria prospera e ben organizzata, in una famiglia ordinata e rispettosa delle tradizioni. Come scrive Romeo De Maio: è, per il momento, un pulcinella perbene, borghese e cattolico (DE MAIO 1989, p. 13). Ma le storie non si limitano a ritrarre i lavori dei campi, i giochi con il volano, le orchestrine con i cani danzanti, il matrimonio religioso, sono storie avvolte appunto nel mistero; iniziano con la scoperta da parte di Pulcinella della sua tomba, interrompono poi la vita arcadica con un ingiusto processo, la carcerazione e la fuga in Egitto, al ritorno della quale Pulcinella viene rapito da un centauro e ritorna dal mondo infero a cavalcioni di un’aquila (GEALT, VETROCQ 1979; ma vedi anche le immagini in BOSTOCK 2009, disponibile online).

Molto interessante è la lettura del carattere parodico di alcuni di questi lavori da parte di Adriano Mariuz che indica in quali disegni si ripropongono composizioni famose di Tintoretto, Tiziano, Veronese, Callot, del padre Giambattista e addirittura di se stesso (MARIUZ 2008, pp. 230-231). Dei suoi stessi lavori si vedano: il frontespizio dei 104 disegni che stravolge un’incisione giovanile della prima pagina della via Crucis sostituendo i simboli del Cristo con quelli di Pulcinella e Pulcinella pittore di ritratti che ricalca un’altra composizione giovanile: Apelle che ritrae Campaspe (tra parentesi Campaspe è l’amante di Alessandro, la stessa che conosciamo con il nome di Fillide).

Per l’interpretazione di queste immagini De Maio propone una chiave di lettura filosofica:

E allora le storie significano questo: la razionalità non è garanzia. Il mondo, progettato illuministicamente su di essa, si è difatti rovesciato. E neppure la religione garantisce un’umanità giusta. Occorre immaginazione e mistero per l’esistenza. (DE MAIO 1989, p. 13)

Il centauro, insieme di uomo e animale, di ragione e anima, rappresenterebbe questa commistione, che – tornando ad Agamben – sarebbe parallela a quella di riso e pianto, di commedia e tragedia, tema eminementemente filosofico a partire dal contrasto tra Democrito, il filosofo che ride, ed Eraclito, il filosofo che piange, attraverso il Socrate sileno del Simposio platonico che ribadisce l’unità di commedia e tragedia fino al riso dello Zaratustra di Nietzsche.

La maschera

Accostare riso e pianto rientra in effetti nei diversi generi del repertorio di Pulcinella, la cui maschera ha origini antropologiche lontane e misteriose, dibattute già tra i filologi del Settecento che la facevano risalire alle Atellane, oppure ristretta al teatro colto dell’età moderna, come nello scritto di Benedetto Croce (CROCE 1911). Per orientarsi nella sterminata bibliografia prendiamo avvio dall’importante ricostruzione di Anton Giulio Bragaglia che ci presenta la maschera nei diversi momenti della storia teatrale, nelle diverse forme della commedia, della farsa, della parodia, dell’Opera buffa, dell’opera lirica, del dramma. Il carattere fondamentale di Pulcinella consiste, secondo Bragaglia, nella sua capacità di duplicarsi, moltiplicarsi, di assumere infinite forme:

Pulcinella può essere maschio o femmina, ricco o povero, giovane o vecchio, aristocratico o popolano, ozioso o attivo, imbriglione o galantuomo, intelligente o cretino, finto intelligente, finto cretino, elegante o trasandato, cinico o sentimentale, brigante o guardiano di monache, soldato disertore o eroico aiutante di campo d’Orlando Paladino. Egli può indifferentemente appartenere alla Compagnia della morte o essere borbonico e codino o può fare il liberale secondo che la vita lo avvinghia. Per questo esclama: «fatto strummolo son del mio destino». […] In qualche farsa si potrebbe stabilire che l’amoroso, il padre nobile, il primo attore, il tiranno, la servetta, la ruffiana, la balia, il servo e tutti gli altri personaggi siano tutti caratteri diversi di altrettanti Pulcinelli. (BRAGAGLIA 1982, p. 100)

In tutte queste metamorfosi rimangono però dei tratti fondamentali, anche questi ossimorici: l’ingenuità, la sciocchezza e la balordaggine si mescolano alle battute argute e ai giochi di parole – cui si presta in modo particolare la duttilità della lingua napoletana – rivelando uno sguardo ironico e parodico che mette in risalto le insensatezze della vita.

Altri importanti studi sono stati raccolti nel catalogo Electa della mostra napoletana del 1990-1991, tenutasi a Villa Pignatelli e curata da Franco Carmelo Greco. Lo stesso Greco nel suo saggio interviene sul tema delle metamorfosi di Pulcinella: la maschera – scrive – è un «vuoto involucro»; non esiste un Pulcinella sovrastorico che si incarna nei vari attori, come non esiste una somma di caratteri ricavabili dalla storia della maschera; la mostra stessa aveva l’obiettivo di

ritrovare e riproporre nella sciocchezza e nell’insensatezza della maschera le forme della sua rimossa verità, e soprattutto i profondi motivi di ispirazione ch’essa ha offerto ad artisti d’ogni tempo. Anzi, il volume intende restituire la maschera anche alla sua più inquietante funzione di nascondimento del vuoto, che non è un significato o una verità, ma proprio l’inconoscibile, col quale, tramite suo, è parso sempre possibile dialogare. (Greco 1990, p. 14)

A dispetto di tale premessa Greco ricostruisce la storia iconografica di Pulcinella a partire – senza escludere lontane origini nel mondo latino – dai disegni delle fontane napoletane di Giovanni Antonio Nigrone, di fine del Cinquecento, dall’incisione della Taverna della Zoccola, da Caracci, Callot, Watteau fino a Picasso, Severini, Purificato e oltre. Ma ad un certo punto il critico indica proprio nella negazione di un’unità funzionale la possibilità del personaggio di accomunare forme artistiche molto diverse, dal teatro di strada alle arti visive (cfr. GRECO 1990, p. 26).

Sempre a questo proposito Giuseppe Galasso, nel catalogo, discute la tesi di Croce secondo cui Pulcinella non è passibile di definizione e «non designa un determinato personaggio artistico; ma una collezione di personaggi, legati tra loro soltanto da un nome, e, fino a un certo segno da una mezza maschera nera, da un camiciotto bianco, da un berettone a punta» (CROCE 1911, p. 197). Comune ai vari Pulcinella sarebbe solo il vestito, ma anche questo non è poco, riconosce Croce senza però tentare una più precisa determinazione, come gli chiede il Gentile. Galasso tenta di risolvere il problema dell’universalità/individualità distinguendo tra la figura della maschera che diventa mito nella pittura, nella musica e nella letteratura, e il personaggio della commedia italiana dell’arte e del teatro napoletano dell’età moderna. Sul piano del mito è quindi possibile, a suo parere, parlare di una filosofia di Pulcinella, intendere la maschera «come incarnazione paradossale e apparentemente comica, buffonesca e volgare, sbracata e incontinente, ma in realtà austera e fine di una profonda e amara esperienza di vita» (GALASSO 1990, p. 53), ma – conclude riprendendo la tesi di Croce – l’unico Pulcinella di cui sia dato parlare è il personaggio del teatro.

Il Pulcinella di Croce però non esiste più, è decaduto già a metà Ottocento, quando le classi colte hanno compreso che «ridere, dimenticando che gli oggetti del riso sono esseri umani (poveri, ignoranti, corrotti, ma esseri umani), sembra cosa poco degna della odierna civiltà» (CROCE 1911, p. 258). Il filosofo napoletano rivela così di aver dimenticato la definizione aristotelica della maschera comica come «qualche cosa di brutto e come di stravolto, ma senza dolore», ma ci lascia un’osservazione su cui riflettere: Pulcinella è l’attore che interpreta Pulcinella. Ma quando l’attore diventa davvero Pulcinella?

Agamben scrive che il gesto dell’attore moderno – come nel caso di Eduardo De Filippo – di togliersi la maschera alla fine della recita non può essere di Pulcinella: «Pulcinella non può togliersi la maschera, perché non vi è alcun volto dietro di essa» (AGAMBEN 2015, p. 61). Non mi sento di convidere questa tesi: dietro la maschera ci sono infiniti caratteri, ma la maschera stessa si rinnova nella personalità dei diversi attori che l’hanno interpretata. Questa maschera non è per essenza inespressiva e immobile, non assomiglia all’idea platonica, né alla volontà di Schopenhauer che preesiste e si incarna nel singolo individuo, suo strumento inconsapevole. Non è nemmeno l’idea di carattere, come scrive Agamben con un apparente rovesciamento del rapporto che Aristotele istituisce nella Poetica tra azioni e carattere (cfr. AGAMBEN 2015, p. 50s.). Il suo carattere pulcinellesco non corrisponde all’astrazione filosofica, consiste invece nell’adesione alla vita e la sua vitalità deve essere sempre di nuovo reinventata, attraverso l’improvvisazione delle parole e dei gesti, nel corpo dell’attore, come pure Agamben riconosce più avanti nel suo scritto. Torniamo a Bragaglia:

Il Pulcinella ha tutt’altro carattere che la fissità delle Maschere e non fu mai legato a un’epoca. Giocoliere e acrobata, buffone classico e prestigiatore, cantastorie e ciarlatano di piazza, clown musicale e cantante, virtuoso di singolari esercizi, di trovate speciali, di curiosità comiche particolari, Pulcinella vanta un insieme di peculiari bravure tecniche, che, in qualche artista famoso si riuniscono insieme alla eccezionale qualità dei suoi doni di natura, riassumenti le qualità del commediante dell’arte, quelle della maschera osca e del mimo giullaresco. […]

Alla sua maturità artistica fu un attore, non più una Maschera: un attore che si solleva la maschera in segno di saluto e di cessata finzione, come per un’allegoria. Pulcinella era maschera e non lo era, sfuggiva al carattere fisso perché essendo un attore, doveva esserne cento. (BRAGAGLIA 1982, p. 110)

Bragaglia stesso ha scritto un canovaccio di un’opera teatrale, che è poi diventata il soggetto, elaborato da Roberto Rossellini, di un film diretto da Maurizio Scaparro. In questo caso il Pulcinella Fracanzani è interpretato da Massimo Ranieri che balla, canta e suona assieme agli artisti neri della banlieu parigina. La Maschera di Pulcinella, allegoria del teatro e dell’azione scenica, diventa allora quell’attore che la sa rappresentare. Essa, a differenza delle altre maschere della Commedia dell’arte, proprio per il suo «ghigno indecifrabile» contratto tra il pianto e il riso (MARIUZ 2008, p. 105, 230, 388), può esprimere diverse passioni e diversissimi e opposti stati d’animo, come Eduardo De Filippo nell’intervista a Zeffirelli del 1973 non ha spiegato a parole, ma ha mostrato nel gesto.

La filosofia di Pulcinella

Romeo De Maio, in una ricostruzione forse eccessivamente coerente, riassume la filosofia di Pulcinella nell’intento di «liberare la coscienza nel riso» (DE MAIO 1989, p. 113): la sua filosofia – scrive – è il sensismo, lo scetticismo, filosofia critica del linguaggio e della società, simile alla filosofia dei sofisti che l’autore legge nell’interpretazione di Untersteiner, il quale dei sofisti greci – oggetto del disprezzo di Socrate e Platone – aveva colto la dicotomia tra spiegazione e comprensione insita nel linguaggio e l’essenza tragica della scelta morale (ivi, n. 5, p. 182). Pulcinella è padrone di tutta la retorica del comico: dal rovesciamento che «riduce l’eroico a piccolezza e innalza l’ovvio a trascendenza» (ivi, p. 51) agli altri meccanismi, analizzati da Bergson, della ripetizione e dell’interferenza delle serie (nei quiproquo e negli imbrogli, cfr. BRAGAGLIA 1982, pp. 150ss.). Agamben commenta con linguaggio wittgensteiniano: «mostrare, nel linguaggio, un’impossibilità di comunicare e che questo faccia ridere – ecco l’essenza della commedia» (AGAMBEN 2015, p. 23) e Pulcinella nasce appunto dalla testa di Talia, la musa della commedia (DE MAIO 1989, p. 1).

La ricostruzione di De Maio, che ha per titolo Pulcinella. Il filosofo che fu chiamato pazzo, è tratta dalla miriade di testi letterari e teatrali, dall’iconografia e dalle musiche che hanno come soggetto la figura di Pulcinella. La Maschera napoletana nasce, secondo De Maio, dalla strada, dai vicoli della città meridionale e, nel suo essere sempre di passaggio, senza fissa dimora, si presenta come l’opposto di ogni irrigidimento della cultura e dell’erudizione alle quali contrappone il richiamo alla natura che gli fa ottenere l’ammirazione di Bayle e di Rousseau: «per Pulcinella la natura è anche sensazione allo stato puro, non elaborata dall’intelletto e corretta dalla morale autoritaria» (ivi, p. 30).

Contro la morale ipocrita Pulcinella costruisce le sue storie rocambolesche che si intrecciano con le storie della letteratura e della filosofia, che lo vedono agire assieme agli eroi dei miti greci, alle figure bibliche e ai personaggi della letteratura moderna, come Faust e don Giovanni. A tutti questi egli si rivolge con consigli ironici, allegre parodie, ma anche con indignazione, collera e persino ira, che esprime a bastonate. Spesso lo accompagna l’asino, animale saggio e paziente, nella consapevolezza che il filosofo può essere asino, ma l’asino è sempre filosofo (ivi, p. 34).

La parodia dell’eroe, del filosofo, del sapiente, del notaio, del medico, del maestro e del sacerdote, espressa con la deformazione dei nomi, il paradosso, «l’allitterazione allo stato di fiumana» (ivi, p. 51), l’etimologia comica, il lapsus simulato (il quiproquo), l’invenzione di frasi latine ad orecchio, ha come effetto di smascherne l’ipocrisia. Come negli autori che lo amano – Tiepolo, Goya, Swift, Hogarth, Belli, gli autori della rivista “Punch”, per citarne solo alcuni – la satira si esprime nella critica: Hogarth – ci dice ancora De Maio – definiva Pulcinella l’essere che sveglia la coscienza. Ma tutto questo non ha l’obiettivo di elaborare una coerente critica sociale o la costruzione di un mondo nuovo: il mondo nuovo è quello dipinto da Tiepolo a Zianigo, nel quale una folla imbambolata assiste allo spettacolo della lanterna magica, del cosmorama, curiosa di un progresso che si risolve in un gioco.

Di fronte alle situazioni complesse e difficili, alle situazioni crudeli, Pulcinella semplicemente svicola, scappa, fugge, secondo il detto che attribuisce a Nerone: ubi fracassorium, ibi fuggitorium. Agamben indica l’essenza della Maschera in questa sua capacità di trovare sempre una via di uscita, questa «pura parabasi: uscita dalla scena, dalla storia, dalla fatua, inconsistente vicenda in cui si vorrebbe implicarlo»; si chiede verso dove, verso l’origine che – scrive – si dà solo come interruzione (AGAMBEN 2015, p. 45).

La menzogna è naturalmente il primo mezzo per sfuggire al garbuglio dell’intreccio. Agamben lo spiega con la definizione del mentitore, ricavata dalla problematica distinzione kantiana tra carattere empirico e carattere intelleggibile e dalla sua interpretazione da parte di Schopenhauer. In questa lettura del tema della responsabilità in ambito morale, la libertà viene assegnata al piano dell’intelleggibile, identificato con la volontà; con le parole esplicative di Agamben: tu hai voluto essere un mentitore, sei responsabile non per quello che fai, ma per quello che sei; e tu sei il tuo corpo. Ma Pulcinella – afferma subito dopo Agamben – non è responsabile della sua fisionomia:

L’insegnamento di Pulcinella: io non sono responsabile delle fattezze del mio corpo, del mio naso, della mia pancia, della mia gobba. Di tutto questo io sono innocente. L’etica comincia subito dopo, ma non altrove: dato questo corpo – il mio? – etico è il modo in cui vivo l’affezione che ricevo dall’essere in rapporto con esso, come disdico o faccio mio questo naso, questa pancia, questa gobba. In una parola: come ne sorrido. (AGAMBEN 2015, p. 122)

Lo spazio della libertà, consiste quindi nel sorridere; noi possiamo dire: nel ridere. Siamo qui vicini all’essenza del comico, che però non consiste – a mio parere – nella semplice immediatezza, nel voler vivere la vita come Pulcinella, senza interrogarsi sul suo senso, come sembra concludere Agamben, ma proprio nella possibilità dello scarto che pure il filosofo veneziano ha individuato come essenza dei Pulcinella di Domenico.

Pulcinella e la magia

Nell’incisione del padre, Giambattista Tiepolo, Pulcinella, due maghi e un efebo (acquaforte, Udine, Musei civici) Pulcinella ascolta con interesse – o forse con scetticismo – la lezione dei maghi. Nell’interpretazione umanistica e progressista di De Maio l’angoscia del mago sta nel fatto che Pulcinella non voglia accettare una spiegazione mistica o magica del mondo, rivolta a pochi eletti, basata sulla credenza in esseri invisibili. Il che sarebbe provato dal rapporto di Pulcinella con Ruggero Bacone – creduto mago in accordo col diavolo -, con Faust e con Don Giovanni, anch’essi in stretta relazione con il mondo del male. Scrive De Maio, riferendosi al Convitato di pietra, opera buffa di Giambattista Lorenzi (1791), e al Pulcinella musicato da Stravinskij (1919) e ballato anche da Balanchine (1972):

nei suoi rapporti con Faust e Don Giovanni Pulcinella esprime pensieri proprii sulla magia e sul diavolo. Rifiuta la magia nera come fonte di infingardaggine, ma dialoga con i maghi che indicano nuove possibilità dell’uomo nella scoperta della natura. E addomestica il diavolo e l’Inferno, ossia annuncia che non corrispondono alle definizioni correnti. (DE MAIO 1989, nota alla Tav. XLVII)

Che la posizione di Pulcinella sulla magia sia così netta ci lascia qualche dubbio; la lettura di un testo ermetico della fine del Seicento, Il Pulcinella filosofo chimico del commediografo Severino Scipione, che espone i pensieri di Pulcinella sulla magia, sull’alchimia e sull’astrologia, non sembra risolvere la questione. Lo scritto, non particolarmente brillante, è condotto in forma di dialogo tra il mago, dottor Graziano di Bologna, e Pulcinella, allievo alchimista, e si colloca – come spiega il curatore, Massimo Marra – nella tradizione della magia napoletana del Seicento, erede della magia naturale di Della Porta e di Bruno, ma anche mescolata con le credenze della religione popolare e anticipatrice delle ricerche alchemiche dei De Sangro (MARRA 2000).

Nel dialogo Pulcinella si rivela preparato in materia di alchimia, risponde a proposito, cita maghi famosi. La sua presenza nell’operetta non è solo un pretesto, essa è legata alle credenze che lo fanno risalire al Mercurio dell’alchimia che si rigenera, e al mondo antico, come guida del corteo delle maschere, come psicopompo, come essere gallinaceo, ecc. – tutti elementi che, anche se non confermati dalle ricerche filologiche che abbiamo citato, potevano certo essere suggestioni presenti nella cultura di Severino Scipione che con orgoglio si dichiara discendente di Boetio Romano.

Ma Pulcinella non è solo un attento studente: alcune domande rivelano i suoi dubbi scettici: improvvisamente, nel mezzo di una discettazione cosmologica, chiede: «chi fu prima, la gallina o l’ovo?». Più avanti, a proposito del Lapis filosofico, che sarebbe la sostanza della materia secondo tale tradizione alchemica, e del tema della generazione, Pulcinella traduce con il buon senso le parole del maestro:

Pulcinella – Al senso mio, mi pare che conforme, magnandosi la farina di castagne in minestra, si produce il seme per produrre li figli, qual seme si converte in Homo nell’utero della Donna. Così per fare il Lapis la natura fa il seme, e l’arte si ne serve. Parlo dell’Ignis ferreo.

(MARRA 2000, p. 71)

Gratiano risponde ironico: «Viva Pulcinella filosofante!» e torna al tema della Pietra filosofale. Pulcinella lo interrompe di nuovo con il consueto richiamo al cibo: «che coccagna sarebbe se dalli broccoli Napolitani detto seme fusse produttibile» (ivi, p. 72).

Pulcinella dissolve così, in alcuni momenti, con una battuta, con una smorfia, l’ermetica lezione del maestro. Eppure la figura del mago non gli è estranea: nell’acquaforte di Giambattista Tiepolo che abbiamo citato sopra potrebbero essere i due maghi a interrogare il Pulcinella viandante. In un’altra incisione del pittore, altrettanto misteriosa, il mago fa parte del gruppo di persone che scopre la tomba di Pulcinella: e tutti guardano attoniti la sua figura di pietra (Scoperta della tomba di Pulcinella, acquaforte, Udine, Musei civici). Anche in alcuni disegni di Domenico è presente il mago: in uno in particolare sta al centro della rappresentazione e osserva assorto e con atteggiamento distante e accigliato un Pulcinella ubriaco (Domenico Tiepolo, Alcuni Pulcinella accanto al muretto di una villa, 1797-1804, penna e inchiostro, coll. privata).

La vicenda di Pulcinella, suggerita dalle iniziali suggestioni di Agamben sui dipinti dei Tiepolo, si rivela piena di intrighi per il filosofo che tenta di scoprirne il segreto, ma certo conferma la prossimità della maschera alla riflessione filosofica che, fin dall’antichità, continua a interrogarsi sul significato della commedia, sul rapporto tra il carattere del personaggio e il gesto e la parola che l’attore che lo interpreta sa far vivere sempre di nuovo.

BIBLIOGRAFIA

AGAMBEN Giorgio (2015), Pulcinella ovvero Divertimento per li regazzi in quattro scene, nottetempo, Roma

BRAGAGLIA Anton Giulio (1982), Pulcinella, Sansoni, Firenze

DE MAIO Romeo (1989), Pulcinella. Il filosofo che fu chiamato pazzo, Sansoni, Firenze

GEALT Adelheid M., VETROCQ Marcia E. (1979) (ed.), Domenico Tiepolo’s Punchinello Drawings, Bloomington (catalogo della mostra)

GRECO Franco Carmelo (1990) (a cura di), Pulcinella maschera del mondo, Electa, Napoli (catalogo della mostra)

MARIUZ Adriano (2008), Tiepolo, a cura di Giuseppe Pavanello, CIERRE edizioni

MARRA Massimo (2009), Il Pulcinella filosofo chimico di Severino Scipione (1681), Mimesis

SCAPARRO Maurizio (regia), L’ultimo Pulcinella, 2008 (film)

L’intervista di Zeffirelli a Eduardo De Filippo è reperibile in Youtube