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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 13

 settembre 2016

Saggi e rassegne

Marco Adornetto

Gli strambi e i matti nel mondo narrativo comico e visionario di Ermanno Cavazzoni

«Io riesco a scrivere solo cose che mi fanno sorridere»

Ermanno Cavazzoni

Nel panorama della letteratura e della narrativa italiana una voce originale e fuori dagli schemi è rappresentata da Ermanno Cavazzoni, scrittore caratterizzato da una comicità leggera, una sottilissima ironia e una tendenza all’invenzione fantastica. Le sue opere presentano una svagatezza visionaria che meraviglia di continuo e fanno ricorso a una vena di follia che può assumere di volta in volta toni comici, lunari, surreali e grotteschi. Nel mondo narrativo di Cavazzoni, geniale inventore di personaggi mattoidi e irregolari e di situazioni assurde e paradossali, una componente fondamentale è quella della stramberia.

Il personaggio dello strambo presenta una libertà totale e un comportamento apparentemente insensato e fuori da ogni logica. Suo tratto identificativo è il vagabondare senza meta con uno strano e inconsueto percorso a zig zag; lo strambo, infatti, passa la giornata andando in giro per le strade e i vicoli più nascosti e segreti della città, fermandosi ogni tanto imbambolato a guardare i dettagli e i fenomeni che gli propone la natura, che solo lui nota e che lo portano a riflessioni e fantasticazioni che solo lui riguardano. Gli strambi e i matti nel mondo narrativo “fantasticomico” di Ermanno Cavazzoni sono sognatori sbandati con un’unica occupazione, quella di immaginare il mondo in una maniera fuori dal normale e straniante, scovando anche nella cosa più ordinaria e banale una sua straordinarietà. Lo strambo è una scheggia impazzita e imprevedibile che porta sempre con la propria presenza una sorta di alone di meraviglioso.

Nelle opere di Cavazzoni la galleria dei personaggi strambi è interminabile. Ne Il poema dei lunatici sfilano i vari personaggi stralunati, incontrati dall’altrettanto strampalato protagonista Savini che di mestiere fa il ricercatore di messaggi segreti, lasciati all’interno di bottiglie dentro ai pozzi, e di popolazioni invisibili e inesistenti. Tra i personaggi spiccano il fantomatico prefetto Gonnella, palesemente folle e convinto di avere dal ministero mirabolanti incarichi, e il matto Nestore che ha trascorso la sua infanzia felicemente passando il suo tempo di bambino sui tetti, un luogo privilegiato perché da quella posizione si può guardare giù verso terra, e su verso il cielo, e vedere tutte le cose bellissime e inspiegabili. Egli, diventato adulto, dopo aver avuto un’infelice relazione con una donna fin troppo focosa, comincia ad amare solo gli elettrodomestici, considerando i loro rumori come frasi d’amore rivolte a lui.

C’è abbondanza di personaggi strambi non solo ne Il poema dei lunatici, ma in tutti gli altri libri di Cavazzoni. Talvolta essi si riuniscono formando un gruppo, come in Cirenaica, dove troviamo la Polisportiva Rabarbaro, un’allegra società di sportivi fasulli e vecchi compagni di sbornia dalla dieta malsana e dalla bevuta facile. La comitiva arriva in posti dove c’è confusione per crearne ancora di più e, in mezzo alla baraonda generale, trasforma tutto in un carnevale, prendendo, per esempio, di sorpresa un individuo e sollevandolo festosamente per aria tra urrà corali irrefrenabili. Spesso però accade che, dopo aver lanciato in alto una certa persona, la Polisportiva, in preda all’ubriacatura più totale, si dimentichi di riprenderla, e questa cade malamente, riportando ammaccature e lesioni varie.

Anche i mestieri non fanno eccezione e presentano una forte dose di stramberia. Ecco, sempre in Cirenaica, un giornalaio improvvisato che confeziona notizie altisonanti di molto fascino e successo, attacca parti di giornali diversi e le mette in bella vista sul davanzale di una finestra bassa a cui si affaccia come fosse un’edicola. C’è poi un barbiere che, per fare la barba, utilizza lamette molto antiquate senza capacità di tagliare alcunché, e insapona il cliente con colla di pesce o albume d’uovo. E in caso di taglio, lo disinfetta con un po’ di saliva. In Vite brevi di idioti ci imbattiamo, invece, in un contadino, Sereno Bastuzzi, che vive gioiosamente dentro un pagliaio insieme alla sua famiglia, nutrendosi di sole verdure, frutta e uova, dormendo nel fieno e convivendo e accoppiandosi con gli animali.

Tra i mestieri cosiddetti “culturali” un ruolo importante è svolto ne Le tentazioni di Girolamo dal capo-bibliotecario Accetto e dai suoi assistenti Fischietti e Santoro che, per divertimento, sono liberi di escogitare nei confronti dei malcapitati lettori dormienti i metodi più dolorosi: chiudono i loro nasi con dei cerotti o delle mollette e, dovendo questi per forza respirare a bocca aperta, inseriscono dentro la cavità orale insetti volanti, soprattutto vespe e api; spremono della colla dentro le loro orecchie o attaccano una striscia di carta gommata sui loro occhi; li forano con un ago sul collo, o con una forchetta nelle mani; bruciano a questi barba, ciglia e sopracciglia con accendini o fiammiferi.

Ne Il limbo delle fantasticazioni appare anche uno strambo insegnante, il maestro Eschini. Egli si presenta in classe con un costante e potente raffreddore catarroso, e con il suo gran fazzoletto esegue delle soffiate di naso particolarmente sonore, impressionanti e dense. Poi, dopo aver esaminato attentamente il suo fazzoletto, ormai pieno di muco, lo porta ad asciugare sul termosifone. Infine, dopo un po’, riprende il fazzoletto, diventato secco e rigido e lo stropiccia per far cadere a terra i pezzi di moccio, diventati secchi e duri, davanti agli occhi dei piccoli alunni, molto interessati e vogliosi di imparare l’originale tecnica di pulitura. Così il fazzoletto, scrostato, è pronto finalmente per il riuso.

La stramberia imperversa anche nel campo dell’arte, come dimostra il pittore Cimetta che dipinge solo delle righe nere e dritte, molto elementari e di nessuna attrattiva e, durante tutta la sua fallimentare carriera di artista, non riesce mai a vendere un quadro a nessuno. I più matti in campo artistico sono però gli scrittori. Ne Gli scrittori inutili si possono trovare, infatti, scrittori vanitosi che in tutta la loro carriera hanno scritto una riga, pensano di aver fatto un capolavoro, tengono la riga in tasca e ogni tanto la fanno vedere a qualche editore per pavoneggiarsi; o scrittori falliti come Vincenzo Cusiani, che si convince di essere un romanziere realista e compie delle azioni banali, come guardare il soffitto, sedersi o mettersi le dita nel naso, con l’unico scopo di poterle subito trascrivere e farne un romanzo; o ancora quel tale de I sette cuori che, fingendosi Alessandro Manzoni, scrive un romanzo dal titolo superbo e pessimo, Le promesse spugne, che tratta di due ubriaconi a cui un prete, di nome don Abbondio, non vuole dare da bere. Questo prete, bevitore molto accanito anche lui, si era dato alla bottiglia da quando aveva ricevuto minacce da un etilista soprannominato il Griso, il quale a sua volta dipendeva da un tale mai nominato per nome e cognome, un anonimo delinquente che riforniva di alcool tutto lo Stato ed era lui stesso alcolizzato. Questo bislacco romanzo dello pseudo Alessandro Manzoni si conclude con un gran brindisi e con balli frenetici che alludono forse a un’epidemia di delirium tremens nel Milanese.

Ci sono poi i santi, dipinti da Cavazzoni in Le leggende dei santi come un’allegra brigata di eterni bambini che considerano il Paradiso una specie di gioiosa osteria e un luogo di divertimento, in cui poter raccontare, con il loro sorrisino leggero e ironico da beati stampato sul viso, le loro gesta terrene, fatte di martiri e tentazioni demoniche, facendole passare per imprese ardite un po’ folli e per bravate goliardiche. Gli stessi eremiti del deserto conducono una vita fatta di episodi buffi e stravaganti, come nel caso di Salamane che, consacrato alla vita silenziosa, decide di starsene chiuso per sempre in un casottino senza porte né finestre su una riva del fiume Eufrate. Una notte gli abitanti dell’altra parte del fiume, di cui è originario, passano il fiume, lo prendono, senza che lui si opponga o dica niente, lo trasportano in spalla di là e gli costruiscono attorno un casottino identico all’altro, dove il santo se ne sta tranquillo senza parlare. Ma poche notti dopo gli abitanti della riva opposta lo riportano di qua, senza che lui ancora una volta si opponga o si esprima a favore o contro. Durante questi continui traslochi che continueranno per tutta la sua esistenza, Salamane si comporterà sempre come se fosse un morto.

Nel fantastico mondo narrativo di Cavazzoni s’incontrano poi, in Storie naturali dei giganti, proprio i giganti, questi esseri enormi che all’apparenza mettono paura ma che sono innocui, spontanei e giocherelloni come i bambini. I giganti sono esseri impacciati e ignoranti riguardo le pratiche di riproduzione. Rapiscono belle ragazze, le guardano con cupidigia davanti e di dietro meravigliati, ma poi rimangono timidi e imbambolati senza sapere cosa farsene. E anche con le stesse gigantesse, femmine barbute dall’aspetto orripilante, fanno fatica a tirar fuori il loro organo riproduttivo che si nasconde nelle pieghe della pancia o in mezzo al pelame ricciuto. I giganti, infatti, si perlustrano la zona inguinale e riescono a trovare il loro piccolissimo membro solo dopo moltissimo tempo e dopo aver proferito numerose bestemmie e maledizioni. E alla fine anche il rapporto sessuale con le gigantesse è abbastanza deludente, consistendo nello sfioramento degli organi di riproduzione e nell’emissione di un’impercettibile goccia. I giganti, comunque, credono molto nel valore dell’amicizia: si abbracciano e, come gesto d’affetto e di gioia, sono soliti sollevarsi l’un l’altro, ma cercano di farlo contemporaneamente, e la cosa genera gravi danni in caso di caduta a terra collettiva o in mucchio. Nell’allegria strappano gli alberi e li buttano in alto creando non pochi danni al momento della ricaduta sugli esseri umani, o tirano per aria dei sassi enormi e li guardano meravigliati mentre scendono a parabola sul malcapitato. Per divertirsi sono soliti anche sputare un cammello, di difficile digestione per la sua forma ingarbugliata, in bocca a un altro gigante, o ruttano provocando rumori fortissimi.

La scrittura ironica e stravagante e l’estro inventivo di Cavazzoni descrive anche gli animali come esseri buffi e strambi, catapultati quasi per caso nel pianeta terra. Tra gli animali comuni c’è la mucca, essere ruminante e meditativo che per ringraziare la natura rilascia larghe e molli cacche, usate dal prato circostante come ottimo godimento alimentare. Si contrappongono poi due diversi stati d’animo nell’affrontare la vita: l’inguaribile ottimismo della cicala, il cui canto è una specie di sì ripetuto, e il catastrofismo dei grilli con il loro cri cri, che significa che c’è crisi. L’oca, appena nata, apre gli occhi e chiama mamma la prima cosa che vede. Le scimmie sono simili a donne vanitose: si pitturano la faccia, si mettono il rossetto e provano ad arricciarsi i capelli in testa anche se non li hanno, nel tentativo, quasi sempre fallimentare, di sedurre gli uomini. I serpenti sono invece amanti del vino, bevono con enorme regolarità ed esagerazione, e, una volta ubriachi, è facile catturarli perché si dimenticano di essere velenosi e se ne stanno distesi e languidi con in faccia uno stanco e innocuo sorriso post sbronza. C’è infine il bruttissimo struzzo, uccello mal riuscito e gallinaceo troppo cresciuto. Si immagina che egli sia nato come frutto del mostruoso accoppiamento tra un passero e una cammella; mentre la cammella partorisce, il padre passero fugge subito, consapevole dello schifoso connubio. Lo struzzo, oltre a essere brutto, è anche uno degli animali più stupidi che ci sia perché pensa di non essere visto se nasconde la testa in un buco, e perché inghiotte di tutto, anche sabbia e sassi, con conseguenti problemi intestinali.

Tra gli animali fantastici, si distinguono invece l’onocentauro, metà asino e metà uomo, asociale e menefreghista, ateo e con la brutta abitudine di dire sempre di no; l’ircocervo, un cavallo con l’aspetto di cervo, con la barba e il pelo folto, famoso solo per la sua stupidità; e il leontofono, piccolo animale la cui orina annienta il leone. Basta uno spruzzo e il leone prima si affloscia e dopo muore. C’è infine un’altra categoria di animali fantastici, elementi non propriamente appartenenti al regno animalesco, ma che vengono accostati in qualche modo a esso. Tra questi degni di nota sono le particelle grammaticali come i laonde e i costà, equiparati a insetti insidiosi e infidi, nemici della vena creativa di poeti e scrittori, ai quali provocano sofferenze, pruriti e sensi di colpa intralciando il pensiero, formando ragnatele senza alcun senso, inserendosi clandestinamente nelle frasi e generando una bava che rallenta il discorso.

Da dove vengono tutti questi matti e questi strambi che abitano il nostro mondo? Ce lo dice sempre Cavazzoni che, grazie alla sua grande comicità e alla sua inesauribile fantasia, ha una spiegazione per tutto. Da un errore universale e da un’esplosione di quindici miliardi di anni fa. Un Dio strambo, imbambolato e assopito, solo in tutto l’universo, si addormentò con la sigaretta in bocca e con la bombola del gas aperta. Nel sonno gli cadde la sigaretta di bocca e si verificò l’esplosione che diede vita ufficialmente al nostro mondo. Un mondo di matti e strambi.

BIBLIOGRAFIA

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CAVAZZONI E. (2011), Guida agli animali fantastici, Ugo Guanda Editore, Parma

CAVAZZONI E. (2015), Il pensatore solitario, Ugo Guanda Editore, Parma

CAVAZZONI E. (2016), Gli eremiti del deserto, Quodlibet, Macerata