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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 17

 ottobre 2018

Saggi e rassegne

Marco Adornetto

Le bizzarre avventure editoriali del Manganelli bizzoso: schede e pareri di lettura di un funambolo della scrittura

Giorgio Manganelli è stato uno degli intellettuali più interessanti e originali del panorama letterario italiano del secondo Novecento. Oltre a essere un grande scrittore, durante la sua esistenza ha svolto varie attività culturali: ha tradotto diversi testi letterari inglesi e americani, ha lavorato per numerose testate giornalistiche e con i suoi fulminanti corsivi è stato un mirabile esempio di scrittura giornalistica di elevato livello letterario, e soprattutto è stato molto impegnato nel campo dell’editoria, collaborando come consulente con diverse case editrici.

Una breve storia di Manganelli consulente editoriale

Il primo a credere nelle sue capacità fu Pietro Citati, che volle che il Manga – così come veniva affettuosamente chiamato dagli amici – collaborasse con lui, in qualità di anglista, nella sede romana della Garzanti. L’esperienza garzantiana cominciò nel 1961 e si concluse nel marzo 1964: in quel periodo gli furono assegnati dalla casa editrice romanzi in lingua inglese da leggere per la compilazione di schede editoriali. Manganelli lavorò intensamente e scrisse numerose schede di lettura che, in caso di parere positivo, venivano poi rese disponibili per decidere se una determinata opera dovesse far parte di una delle due collane di narrativa della casa editrice: «Romanzi Moderni» e «Collezione di letteratura». Questa sua prima esperienza da consulente editoriale gli fu di grande aiuto per le successive collaborazioni con le altre case editrici. I suoi pareri di lettura erano così ben fatti e ben caratterizzati a livello stilistico e narrativo che, anni dopo, quando Manganelli aveva lasciato la Garzanti già da molto tempo, furono utilizzati in casa editrice per la stesura dei risvolti.

Nel 1964 Manganelli diventò consulente dell’Einaudi e cominciò a lavorare a tutto campo, mettendo al servizio del lavoro editoriale la qualità immaginifica e portentosa della sua scrittura.

Nel periodo della sua collaborazione con Einaudi, dal 1964 al 1975, il Manga partiva da Roma e partecipava, non sempre così volentieri, ai famosi «mercoledì Einaudi», e in estate agli incontri della casa editrice che si tenevano nella minuscola frazione di Rhêmes-Notre-Dame, in Val d’Aosta. Qui, sulla terrazza dell’Hotel Granta Parey, Giulio Einaudi era solito dare il benvenuto ai collaboratori della casa editrice convocati per fare il consuntivo del lavoro svolto nel corso dell’anno e per preparare il programma editoriale dell’anno successivo. Nel corso di uno di questi appuntamenti estivi Manganelli spedì una lettera a Ebe, la sua compagna, nella quale spiegava il suo stato d’animo e la sua insofferenza con la consueta, inconfondibile ironia:

Carissima Ebe, luogo bellissimo, lavoro pesante, cibo decoroso, Einaudi elusivo, compagni amichevoli, compagnia insopportabile, ti medito amorosamente, arrivo sabato 17 alle ore 19,30 (mi danno la cena in aereo, ma io non la prendo). Bacioni dal Giorgio. (MANGANELLI 2016, p. 39)

A queste riunioni di programmazione dell’Einaudi, quindi, erano presenti gli interni della redazione e venivano anche invitati i consulenti delle varie discipline, tra cui lo stesso Manganelli che, in tali occasioni, quando doveva comunicare un suo giudizio negativo su un qualche libro di un autore inglese o americano che aveva letto o a cui aveva lavorato, esclamava: «è un no disgustato»; o «sto leggendo con odio».

Giorgio Manganelli a Dogliani, in Piemonte, colto in flagrante con un panino in mano sulla soglia di una salumeria, durante la pausa di una riunione Einaudi.

Del suo impegno e della sua collaborazione per l’Einaudi scherzava in tono affettuoso con un altro consulente della casa editrice, uno dei suoi amici più fidati, Guido Davico Bonino, come emerge dalla corrispondenza tra i due:

Caro Davico, ho ancora qualche giorno agitato, ma dalla prossima settimana sarò sangue verginale versato sulle fondamenta della casa Einaudi. (MANGANELLI – DAVICO BONINO maggio 1965)

E ancora:

Caro Davico, nella mia stanza si aderge il mirabile totem einaudiano, tutto farcito di libri, la dolcissima, estiva Befana del Consulente: te ne sono molto grato, lo sventrerò, il totem, tra pochi giorni, e ne caverò viscere di dottrina e benevolenza, a propizio riparo alle canicole che già latrano. (MANGANELLI – DAVICO BONINO giugno 1965)

Del periodo einaudiano si ricorda anche la fatica che Manganelli faceva a trovare i testi inviatigli dalla casa editrice, perché, oltre a essere distratto e disordinato, faceva numerosi traslochi, spostandosi continuamente di casa in casa e cambiando indirizzo. Dunque poteva capitare che il Manga ricevesse la corrispondenza dell’Einaudi all’indirizzo sbagliato. E di questi equivoci e inconvenienti si stizziva perché in casa editrice, secondo lui, non si teneva conto di questo suo nomadismo e di questa abitudine a traslocare, come testimoniato da questa “bizzosissima” lettera, destinata a Paolo Fossati:

Ricevo promiscuamente lettere einaudiane, notiziari ed ora anche soldi e manoscritti al vecchio indirizzo di Via Germanico 96. Vorrei pregarti di persuaderli, gli einaudiani, che io sto tutto in un’unica casa, ed essa è questa donde ti scrivo, Via Monte del Gallo 26. La loro incredulità nei confronti dei miei traslochi mi offende. (MANGANELLI – FOSSATI giugno 1970)

I disguidi erano perciò frequenti e si verificava spesso che certi plichi arrivassero a Manganelli in abitazioni in cui lui non viveva ormai da tempo, come prova un biglietto manoscritto risalente al maggio del 1971, vergato dallo stesso autore di Hilarotragoedia e indirizzato a Giulio Einaudi:

Caro Einaudi, scusami se solo ora ti ringrazio, e di cuore, per il tuo gentilissimo regalo. Ma esso mi è arrivato in questi giorni, avendo soggiornato, bizzarramente, nel mio indirizzo di due anni fa. (MANGANELLI 2016, p. 130)

Manganelli non era soddisfatto del compenso ricevuto dall’Einaudi, ritenendolo misero. A tal proposito Guido Davico Bonino ammette che il lavoro fatto dal Manga per la casa editrice era «inadeguatamente pagato» (DAVICO BONINO 2013). A confermarlo è anche Ernesto Ferrero, che racconta pure un divertentissimo retroscena di cui fu protagonista Manganelli, che, per protestare in modo goliardico, mise in scena una burla:

In una dolce notte romana, probabilmente irritato dal fatto che l’Editore non gli ha aumentato il gettone di consulenza, improvvisa davanti a casa la rappresentazione fastosa della sua pubblica impiccagione a Campo dei Fiori. Recita la parte del boia e del condannato, dei confratelli della buona morte che lo assistono; mima lo sgomento di Natalia Ginzburg e il tremore di Calvino, lo scompiglio degli einaudiani tutti; legge il dispositivo della sentenza, si attarda sugli ultimi contorcimenti del condannato che sgambetta nel vuoto. Esce dalla rappresentazione stremato, ne spia l’effetto sul volto del piccolo pubblico che gli sta davanti, gongola di soddisfazione. La finzione lo ha placato. (FERRERO 2005, p. 101)

La collaborazione di Manganelli con Einaudi ebbe ufficialmente la sua fine, per motivi strettamente economici, nel 1975.

Intanto, già dal 1970 Manganelli si era rivolto a Vittorio Sereni per aprire, parallelamente a quella con Einaudi, un’altra consulenza editoriale con la Mondadori; tuttavia il Manga non si trovò per niente a suo agio nella nuova realtà e la collaborazione con la casa editrice milanese durò solo due anni, trascinandosi stancamente fino al 1972. Fu dunque una breve parentesi, che non giovò né a Manganelli, né alla Mondadori, la cui unica preoccupazione era tenere lontano il Manga dalle altre case editrici, in particolare dall’Einaudi.

Manganelli, a partire dalla metà degli anni settanta, dopo aver stretto la mano a Sereni ed essersi congedato anche dall’Einaudi, si prese una lunga pausa da consulente editoriale. Nonostante ciò, mantenne buoni rapporti con le case editrici che l’avevano avuto nella propria scuderia come scrittore, come consulente editoriale, o nella doppia veste. In tanti lo contattarono per lodare i suoi libri e i suoi articoli, e fecero anche dei tentativi per accaparrarsi qualche suo servizio editoriale.

L’unica casa editrice che riuscì però a convincere il Manga a tornare a collaborare fu l’Adelphi. Nel 1980, infatti, Luciano Foà e Roberto Calasso si rivolsero a lui con molta determinazione per averlo nella propria casa editrice. Ci riuscirono, tardi ma ci riuscirono, e così nel 1988 Manganelli tornò a fare il consulente, dopo una lunga pausa.

Il Manga morirà due anni dopo, nel 1990, lasciando un grande vuoto nella letteratura e nella cultura italiana.

Le schede di lettura di Manganelli: un’ironia e uno humour impareggiabili

Le schede e i pareri di lettura di Manganelli sono eccentrici e brillanti, caratterizzati da un’ironia impareggiabile e da uno humour che, in base al libro in questione, può virare dal giocoso, al paradossale, al corrosivo. Sono scritti di rara bellezza ed efficacia, con commenti magistrali e con le parti finali, in cui si registra il giudizio perentorio del Manga, che strappano sempre un sorriso. Spesso realizzati di getto, registrano sul momento le impressioni di Manganelli riguardo alla lettura appena conclusa. Egli, infatti, in relazione al libro oggetto d’analisi, può essere impaziente, seccato, sentenzioso, divertito, infuriato o appassionato; e con il suo commento, sempre efficace, riesce, a distanza di anni, a contagiare, emozionare e a farci rivivere le sensazioni e le impressioni che ha provato lui, leggendo quel determinato libro. Si propone qui una carrellata di schede di lettura, con giudizi favorevoli, negativi o dubbiosi.

I pareri positivi: «Lo trovo repellente. Pubblichiamolo».

Cominciamo la nostra carrellata, partendo dai giudizi positivi e da un romanzo bizzarro, Il terzo poliziotto di O’Brien, opera poi pubblicata da Einaudi nel 1971. Manganelli scrisse nella sua scheda di lettura che «The Third Policeman è un libro amabile, leggibile, inconsueto e ragionevolmente demente». (MUNARI 2015, pp. 238-239)

Entusiasta è il giudizio sulle lettere di Dylan Thomas, per cui, data la «prosa esplosiva e meteorica», Manganelli consiglia un traduttore di classe, facendo i nomi di Rodolfo Wilcock e Bruno Oddera, che sarà il prescelto dall’Einaudi per il volume, pubblicato nel 1970 con il titolo Ritratto del poeta attraverso le lettere:

Caro Fossati, sììììì! Non perdete un momento: per quel che mi riguarda, le lettere di Thomas, che ho letto in buona parte, sono una cosa splendida, tra gli esempi più straordinari della prosa di un grande scrittore. La deliziosa confusione, quella libertà tra losca e infantile, il torpore alcolizzato, trovano una perfetta collocazione nella misura approssimativa, ineguale, infondata, della lettera. Dylan parla di quel che scrive, poi si distrae a discorrere di dio e del diavolo, poi di quel che legge, del tempo che fa, dei suoi desideri, con una deliziosa, irrisolvibile smania, una inquietudine delicata e carezzevole. Non si tratta di documenti per la storia di un poeta, ma di letteratura, attiva e funzionante letteratura: e qui è l’unico punto da tener presente: occorre un traduttore di classe, che sappia correr dietro a questa prosa esplosiva, meteorica, piena di ottoni, di scattose batterie. È più ricca di idee di quanto non ci facciano supporre per lo più i Poeti. Forse un buon traduttore sarebbe Wilcock, anche Oddera: ma qui vorrei proprio uno scrittore. Credo che di questo libro si possa fare una cosa importante. (MUNARI 2015, pp. 263-264)

Quando un romanzo è comico e lo fa ridere e divertire, ci sono buonissime probabilità che Manganelli dia un parere positivo alla pubblicazione, anche se non si tratta di testi eccelsi a livello letterario, così come si deduce da questi suoi due giudizi:

The Converts di Rex Warner tratta della Roma del quarto secolo, vizio e neoplatonismo, intellettuali d’opposizione che vanno a spasso dalla mattina alla sera, hanno l’anima bella, vogliono l’estasi e hanno le dita affusolate: pare di essere a Barcellona. Roba da scompisciarsi.

The Stories di Frank O’Connor si possono fare. Sono spesso assai divertenti – specie le prime storie d’infanzia – elegantemente tagliate, con uno spicchio di tragedia, uno spruzzo di pessimismo ottimistico, un ottimo dialogo: cose leggibilissime, talora di buon livello, anche di ottimo; non oserei dirlo un grandissimo scrittore, ma uno scrittore serio, interessante, divertente, buon impastatore di malizie letterarie e estri mentitamente popolari, questo sì. (MANGANELLI – FOSSATI febbraio 1967)

E lo stesso avviene quando un romanzo tocca corde e argomenti a lui familiari, come quello della follia. È il caso, per esempio, di The Dalkey Archive, ancora una volta di Flann O’Brien:

È una assai curiosa amabile grulleria che serve a corroborare quanti hanno una qualche indulgenza per le invenzioni di una dilettosa follia. […] Non dirò che sia tutta follia da Re Lear, ma ha una qualità plebea e svagata, una sciatteria casalinga (non è l’astratta demenza dell’umorismo britannico), un disordine da affettuoso ubriacone, che non mi dispiace. Il racconto non sta molto in piedi, come si addice ad una camminata di persona ebra ma senza furore; ma anche questo suo barcollare da una idea a una trovata, come se fossero fraterni lampioni, ha una sua indecorosa grazia. Confesso una certa parzialità per libri cosiffatti. (MANGANELLI 2016, pp. 132-135)

O di Enderby di Anthony Burgess, di cui Manganelli nella scheda di lettura ricostruisce magistralmente la trama:

Caro Fossati, eccomi fresco della lettura del lungo ma dilettoso, talora sommamente dilettoso, Enderby di Anthony Burgess; autore del quale, a vero dire, avevo modesta opinione, ed anche ora perplessa e riluttante stima. Ma Enderby è un libro assai notevole. È la storia di un poeta, del tutto mediocre […]. Un poeta la cui vita «interiore» è tale nel senso letterale, essendo costituita essenzialmente dei borborigmi, gli spasimi, i rutti e le flatulenze di una elaboratissima digestione. Pertanto, Enderby fa della latrina il suo studiolo, e accoccolato sul «wooden O» meditamente alterna ricercate rime e frastuoni gastrici. Enderby vive in un selvatico e risibile squallore, mangiando orribili materie, che incrementano insieme la sua musa e la sua dispepsia. Egli è anche sudicio, e nella sua mente gli oggetti repulsivi tengono la maggioranza. C’è uno splendido ritratto della matrigna, una donna che si pulisce i denti con i biglietti dell’autobus e rutta «come una nave nella nebbia». […] Donne, nemici poeti, in mezzo a tutto Enderby si muove inetto, ignaro, ignobile; i suoi odii sono in effettuali – il suo nemico che egli vuole veramente uccidere gli muore dolcemente tra le braccia –, i suoi amori pigri e riluttanti. […] Circola in tutto il libro una sconcezza, una coprolalia affascinante: un modo di iperbole, una invenzione retorica disgustosamente eccitante. Insomma, il libro è senz’altro notevolissimo, e lo consiglierei caldamente. Certo non è facile tradurlo: è fitto di bellissimi giochi, di allusioni, di pasticci linguistici. Ma val la pena di farlo. (MANGANELLI – FOSSATI novembre 1968)

Naturalmente dopo un giudizio del genere il libro si fece, fu tradotto da Floriana Bossi e pubblicato da Einaudi nei «Supercoralli», con il titolo La dolce bestia. Burgess è un autore che incontra con frequenza il parere favorevole del Manga, come si deduce anche da questo giudizio ampiamente positivo su una delle sue opere più note, MF:

MF è uno dei migliori libri di Burgess, e dei più originali. Si tratta di una storia insieme picaresca ed esoterica di una serie inaudita di incesti, per altro affatto asessuati, ma addobbati, in modo volutamente chiassoso, da simbolici, allegorici e metafisici. […] La favola incestuosa (include anche un glimpse di nipotino che ingravida una donna) si svolge in un’isola sudamericana dove si parla una lingua incestuosa – italo-napoletano-spagnolo –, si professa una religione incestuosa, cattolico-musulmana: il prototipo deve essere Malta, intensamente allegorizzata; il tutto si chiama ironicamente Castiza. L’invenzione è assai gustosa ed eccitante, anche se forse si desidera, come spesso in Burgess, una maggiore continuità di stile; ma anche da questo lato è dei libri migliori, ricco di belle fantasie linguistiche. (MANGANELLI – FOSSATI ottobre 1971)

Chiudiamo la rassegna di giudizi positivi con un parere favorevole alla pubblicazione di un libro ritenuto però da Manganelli «repellente», West of Suez di John Osborne: «West of Suez di Osborne è cosa di rara bruttezza, di una goffa opacità moralistica; lo trovo repellente. Pubblichiamolo» (MANGANELLI – FOSSATI gennaio 1972).

Pareri così così: «Da trattare con calma, senza sussulti»

Continuiamo la nostra sequenza con i giudizi dubbiosi del Manga, a metà strada tra un sì e un no, cominciando da un romanzo di Stefan Themerson, Cardinal Pölätüo, che era stato proposto all’Einaudi da Italo Calvino, il quale voleva fosse inserito nella «Ricerca letteraria» o nei «Coralli». Nonostante la sua insistenza nel presentarlo, quasi tutti gli altri consulenti, tra cui Roscioni, Davico Bonino, e anche lo stesso Einaudi, non lo ritennero valido. Tra coloro che non caldeggiarono l’opera di Themerson vi fu anche Manganelli, che ebbe qualche perplessità, inclinando più verso il no che verso il sì, come si deduce dal seguente parere:

Caro Davico, mi dice Calvino che vi serve la scheda sul Cardinal Pölätüo di Themerson. Te la invio herewith enclosed. È un libretto con cose spassose ed altre stranamente noiose. Mah. Themerson è sempre così. Funziona bene per qualche chilometro, con agilità da macchina sprint, poi si trasforma in autocarro con rimorchio in salita a curve. (MANGANELLI – DAVICO BONINO maggio 1966)

Capitava talvolta che certi libri avessero molto successo in Inghilterra, Francia e Germania, e l’Einaudi richiedesse al Manga, fidandosi delle sue eccezionali competenze, un giudizio rapido per, eventualmente, accaparrarsi l’opera prima delle altre case editrici italiane, come nel caso di Down All the Days di Christy Brown. Il giudizio del Manga arrivò ma non fu del tutto favorevole:

Ho letto quanto ho potuto del libro di Christy Brown, che ha qualche carattere amabile e curioso, ma non mi pare cosa da pagare qualunque somma. Lingua svelta, situazioni patetiche inconsuete, elementi autobiografici ma abbastanza peculiari; molto molto irlandese. Da trattare con calma, senza sussulti. Intellettualmente, non è un libro molto einaudiano, neanche nel senso emendato del termine. (MANGANELLI – FOSSATI marzo 1970)

Perplesso Manganelli rimase anche su Friday’s Footprint di Nadine Gordimer, pur decidendo a favore della sua pubblicazione. Non amava molto lo stile di questa scrittrice, come si evince dal seguente parere:

La Gordimer non è una grande scrittrice, a mio avviso, né una intelligenza o un occhio di singolare originalità: ma una narratrice decorosa e leggibile, non volgare, non fintamente complessa, misurata e non di rado sottile, anche dove il residuo di dolce che ci lascia in bocca ci mette sull’avviso. Pubblicabile senza disdoro, ma senza entusiasmi. (MANGANELLI 2016, p.124)

I pareri negativi: «La prossima volta lo aspetteranno i cani»

Iniziamo questa nostra ultima carrellata sui giudizi, ahimè, negativi con un romanzo di Gil Orlovitz, definito dal «nostro» consulente monotono e noioso:

Caro Fossati, le invio il Milkbottle H di Orlovitz: libro intelligente, e linguisticamente interessante, ma di materia e invenzione alquanto monotone, per cui ho l’impressione che risulti noioso; né bastano a ravvivarlo le frequenti e ingegnosamente dinamiche scene sessuali. Non senza rammarico, poiché così di rado vengono dall’Inghilterra libri non di serie, inclinerei al «no». (MANGANELLI – FOSSATI novembre 1966)

Continuiamo la nostra strada verso le infime bolge del rifiuto editoriale con i racconti dello scrittore statunitense Artur Asher Miller, paragonati a dei banali temini:

Caro Fossati, ho esaminato i raccontini del Miller, e se non sapessi che sono di Miller li giudicherei modesti; sapendolo, mi sembrano decorosi temini da scuola privata umanistico-vegetariana. (MANGANELLI – FOSSATI aprile 1967)

Non mancano i giudizi concisi, con un parere secco di rifiuto: « Lovers di Brian Friel è un pasticcio sentimentale alla Thornton Wilder: no, no» (MANGANELLI – FOSSATI marzo 1970). O ancora, a proposito di un romanzo di Bernard Kops, By the Waters of Whitechapel: «Lettura ferroviaria, da treni accelerati, novembrini. No» (MANGANELLI 2016, p. 130). Ecco invece, il giudizio relativo a The True Heart di Sylvia Townsend Warner: «Romanzo lesbico-trotskista, molto educativo e nobilmente progressista. Al diavolo» (MANGANELLI 2016, p.149).

Il Manga gioca anche con il significato delle parole, come per «tetralogia», per dare un giudizio netto, sicuramente negativo, su The Near and the Far, di Myers:

Nella nota introduttiva si dice che il presente libro è una «tetralogia»; nella fattispecie, non v’ha dubbio che codesta parola non ha alcun rapporto col tradizionale etimo greco, ma col latino taetrum, a significare la tetraggine, il tedio, lo sfinimento, l’avvilimento che non può non produrre nel lettore. (MANGANELLI 2016, p. 132)

Durissimi sono i giudizi su Doris Lessing, futuro premio Nobel, definita «logorroica e sciattina», con i suoi periodi che «vanno in giro con le calze ciondoloni» e la sua pagina che «sa di virtuosa varichina»:

Doris Lessing: l’aspra sudafricana (The Four-Gated City) arriva con settecento pagine, un aneddoto progressista e psicologico da giustapporre ad altri cinque volumi. La Lessing è una discendente degli amori ancillari di Victor Hugo, ma ha preso chiaramente dalla proava. La sua pagina sa di virtuosa varichina, i suoi periodi vanno in giro con le calze ciondoloni; e poi questa donna ha qualcosa da dire, e in meno di tremila pagine avrebbe l’impressione di essere rimasta un po’ sulle generali. Nel nostro mondo editoriale si sente la mancanza di Baldini & Castoldi, o del vecchio Corbaccio in tunica gialla. (MANGANELLI – DAVICO BONINO gennaio 1970)

E ancora:

Doris Lessing, Briefing for a Descent into Hell: scrittrice ambiziosa, tra universale e cosmica, logorroica e sciattina, col tocco ben riconoscibile della grafomane, la signora Lessing ha scoperto i matti. Il suo bla bla affettuoso ed energetico si immerge in ardimentosi filosofemi. Dopo sessanta pagine mi sono arreso, simulando una assoluta normalità. (MANGANELLI – FOSSATI novembre 1971)

Molto pesante anche il giudizio su Colin MacInnes, autore di Westward to Laughter:

Caro Davico, eccomi ubbidiente alla rentrée scolaire; dalla mia cartella di pegamoide estraggo Colin MacInnes ( Westward to laughter): è un sotto, molto sotto Stevenson […]. Ha dato una tal qual urbanità al romanzo storico. Letterariamente non esiste, ma nemmeno si dà delle arie metafisiche. Direi di no, ma con urbanità. Direi anche che non è il caso si faccia più vedere in casa editrice, non compriamo tappeti di contrabbando, né whisky fatti a Catania. (MANGANELLI – DAVICO BONINO settembre 1970)

E poi ecco The Rock Pool di Cyril Connolly, paragonato, tra le altre cose, a un «preservativo usato a metà»:

Connolly, The Rock Pool: detto che si tratta di un libro di qualità, devo aggiungere che è il tipo di qualità che non mi interessa, e che mi pare un libro che forse un giorno sarà antico, ma per ora è un prezioso lacerto, forse una medusa, un osso di seppia, o una scarpa di donna senza tacco, o magari un preservativo usato a metà. (MANGANELLI – DAVICO BONINO febbraio 1973)

Molto annoiato rimase, invece, Manganelli da A True Story di Stephen Hudson:

Mi pare un libro singolarmente, nobilmente noioso. Non posso dire che sia infimo trash: ha una sua grazia crepuscolare, una minuta, pedante dolcezza da miope; e pertanto la noia che emana è piena di decoro, di dimessa onestà. […] l’onestà non è solo nell’occhio dello scrittore, è una qualità leggermente deteriore che circola in tutti gli eventi, un che di dolcemente stantio, un’ombreggiatura, una mentita aureola da fotografia di defunti. Offrire seicento pagine rilegate di veridica favola al lettore fiducioso non mi pare giusto: anche gli utenti della noia possono aspirare a cose più mordenti. (MANGANELLI 2016, p. 125)

Infine, chiudiamo in bellezza con l’autore più odiato dal nostro Manga, John Wain, su cui Manganelli intervenne varie volte. All’inizio lo considerò un autore di tutto rispetto, dotato di una rara capacità di scrittura, ma poi a poco poco cambiò idea, traendone infine un giudizio totalmente negativo. Questo brusco cambiamento è testimoniato, oltre che dalle schede di lettura manganelliane, anche da un verbale di una riunione einaudiana dell’ottobre 1968: «Il primo libro di Wain era molto bello; dopo scritto il secondo non ha fatto granché. Il terzo libro so che è brutto» (MANGANELLI 2016, p. 260).

Ecco quindi una prima scheda negativa su Wain: « Death of the Hind Legs di Wain mi lascia tra freddo e moderatamente ostile. No, ma con calma» (MANGANELLI – FOSSATI dicembre 1966).

Se già così era stato negativo, a distanza di anni fulminò Wain, facendolo a pezzi, con un giudizio pesantissimo che, riletto oggi, testimonia l’inconfondibile ironia, l’humour corrosivo, la potentissima comicità e il funambolismo linguistico di Giorgio Manganelli:

John Wain, l’autore di A Winter in the Hills, aspro romanzo contadino sulla decadenza di una comunità gallese accerchiata dal torvo e mortificante industrialismo, va puramente e semplicemente picchiato, affidato a facchini iracondi e sarcastici. Egli è difatti un tedioso, virtuoso, verboso, banale, sentenzioso, morale, con un tocco del metodista per dargli allegria; il suo archetipo è l’alcolizzato depresso, ma senza la sua generosità, giacché nel fondo dei suoi occhi balena una furba luce di romanzista di professione. Il tedio che emana dalle sue pagine può ricordare la cucina inglese del periodo Attlee. Il signore, raccolto il cappello dalla polvere, giri alla larga da Via Biancamano. La prossima volta lo aspetteranno i cani. (MANGANELLI – DAVICO BONINO settembre 1970)

Bibliografia

ARCHIVIO EINAUDI (12 maggio 1965), Lettera di Giorgio Manganelli a Guido Davico Bonino

ARCHIVIO EINAUDI (13 giugno 1965), Lettera di Giorgio Manganelli a Guido Davico Bonino

ARCHIVIO EINAUDI (17 maggio 1966), Lettera di Giorgio Manganelli a Guido Davico Bonino

ARCHIVIO EINAUDI (25 gennaio 1970), Lettera di Giorgio Manganelli a Guido Davico Bonino

ARCHIVIO EINAUDI (29 settembre 1970), Lettera di Giorgio Manganelli a Guido Davico Bonino

ARCHIVIO EINAUDI (13 febbraio 1973), Lettera di Giorgio Manganelli a Guido Davico Bonino

ARCHIVIO EINAUDI (29 novembre 1966), Lettera di Giorgio Manganelli a Paolo Fossati

ARCHIVIO EINAUDI (15 dicembre 1966), Lettera di Giorgio Manganelli a Paolo Fossati

ARCHIVIO EINAUDI (27 febbraio 1967), Lettera di Giorgio Manganelli a Paolo Fossati

ARCHIVIO EINAUDI (3 aprile 1967), Lettera di Giorgio Manganelli a Paolo Fossati

ARCHIVIO EINAUDI (10 novembre 1968), Lettera di Giorgio Manganelli a Paolo Fossati

ARCHIVIO EINAUDI (marzo 1970), Lettera di Giorgio Manganelli a Paolo Fossati

ARCHIVIO EINAUDI (8 giugno 1970), Lettera di Giorgio Manganelli a Paolo Fossati

ARCHIVIO EINAUDI (18 ottobre 1971), Lettera di Giorgio Manganelli a Paolo Fossati

ARCHIVIO EINAUDI (30 novembre 1971), Lettera di Giorgio Manganelli a Paolo Fossati

ARCHIVIO EINAUDI (24 gennaio 1972), Lettera di Giorgio Manganelli a Paolo Fossati

CITATI P. (2008), La malattia dell’infinito. La letteratura del Novecento, Mondadori, Milano

DAVICO BONINO G. (2013), Incontri con uomini di qualità, Il Saggiatore, Milano

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MANGANELLI G. (1964), Hilarotragoedia, Feltrinelli, Milano

MANGANELLI G. (2016), a cura di NIGRO S. S., Estrosità rigorose di un consulente editoriale, Adelphi, Milano

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