logo fillide

il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 01

 settembre 2010

altro

Marco Antonio Bazzocchi

I burattini filosofi (Protocolli del laboratorio di estetica, Bolzano 2008-2010)

[ 15 gennaio 2009, aula magna, liceo “Carducci” ]

Nel 1967 Pasolini gira Che cosa sono le nuvole?, il suo terzo cortometraggio. I titoli di testa appaiono su vecchi cartelloni cinematografici stinti, in un paese siciliano degli anni Cinquanta e riprendono alcuni capolavori di Velasquez. In particolare, alla famosissima tela Las Meninas corrisponde lo spettacolo del giorno, il film che è appena iniziato. Vanno in scena le sequenze essenziali dell’Otello di Shakespeare, interpretato dalle marionette: Ninetto Davoli è il pupo Otello, Totò è il pupo Jago, con la faccia dipinta di verde. Lo spettacolo va in scena in uno stanzone disadorno, davanti a un pubblico popolare.

Dice il burattinaio all’inizio della rappresentazione, parlando dall’alto della scena:“Questa non è solo la commedia che si vede e che si sente; ma anche la commedia che non si vede e non si sente. Questa non è solo la commedia di ciò che si sa, ma anche di ciò che non si sa. Questa non è soltanto la commedia delle bugie che si dicono, ma anche della verità che non si dice.”

Sembrerebbe quasi un invito a decifrare la complessa filigrana di rimandi, di citazioni; di ripensamenti critici che si accumulano dentro le sequenze. Fra i materiali che Pasolini conosce e approfondisce c’è probabilmente l’analisi che fa Foucault del quadro di Velasquez , in Les mots et les choses, uscito nel 1966 e tradotto in Italia l’anno dopo, proprio quando girava il cortometraggio. Ci sono le osservazioni di Auerbach su Shakespeare che ne sottolinea “la mescolanza in gradi sempre diversi del sublime e dell’umile, del solenne e del quotidiano, del tragico e del comico”.

Con pazienza e semplicità, Jago spiega a Otello le leggi della rappresentazione:“La nostra vita è come una polenta. Prende la forma della caldara dov’è rovesciata… Noi siamo la polenta e il giudizio degli altri è la caldara.” Tutto è finzione quindi, e questa finzione abita il teatro dei burattini.

Otello chiede a Jago qual è la verità e Jago risponde: Senti qualcosa dentro di te? Concentrati bene! Senti qualcosa? Eh? …Quella è la verità…Ma ssst, non bisogna nominarla, perché appena la nomini, non c’è più…” La verità dunque è fuori del linguaggio, fuori della rappresentazione, sembra dire Jago. Sembra pensare a pure cose senza logos, a un universo senza la manipolazione della sintassi interpretativa, senza burattinaio, a un irriducibile che si coglie solo in una sorta di abbandono contemplativo, quello che si rivelerà nel finale.

Quando Otello sta per uccidere Desdemona, il pubblico che assiste allo spettacolo sale urlando sul palco, Otello e Jago vengono massacrati. Si rompe così la convenzione teatrale, anche qui dentro a un gioco di inevitabili rimandi letterari: Pinocchio che salta sul palco per ritrovare i burattini fratelli, don Chisciotte che fa a pezzi il teatrino di Mastro Pietro, perché quello che accade sulla scena gli sembra vero.

Solo la rottura della finzione consente di riconquistare la realtà, e il funerale dei due burattini, gettati tra i rifiuti di una discarica, è la mimesi di una nascita. “Otello muore alla vita”, contemplando per la prima volta la bellezza delle nuvole, che gli era stata nascosta dal teatro/finzione.

Che cosa sono le nuvole? allude alla raccolta di scritti del più famoso critico cinematografico francese, André Bazin, intitolata appunto Che cos’è il cinema?.

È il cinema dunque che può mostrare la realtà in tutta la sua enigmatica bellezza, ma solo dopo aver attraversato, rivisitandola, la tradizione narrativa e figurativa.

schlehmil