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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 17

 ottobre 2018

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Margherita Parrilli

Le Harmonices di Keplero e la genesis di un pannello espositivo

Nel campo delle arti visive, e per estensione in quello della grafica, le parole sono spesso superflue, perché, se un’immagine funziona, essa è capace di parlare da sola, è autorappresentativa.
Nell’ottobre 2017 mi è stato chiesto un contributo grafico e progettuale per l’allestimento della mostra dal titolo The harmonic law. Kepler’s third law / Das dritte Keplersche Gesetz / La terza legge di Keplero, tenutasi dal 15 al 30 maggio 2018 presso il Liceo “Giosuè Carducci” di Bolzano. Si trattava di organizzare un contenitore che avesse una valenza estetica e ragionata e che collegasse, secondo un filo di tipo visivo, i diversi ed eterogenei lavori di ricerca condotti da docenti e studenti. L’obiettivo non era solo la “messa in forma” di tali oggetti-concetti attraverso una loro coerente strutturazione, ma anche realizzare un sistema di relazioni ottico-spaziali capaci di confrontarsi in modo funzionale con lo spazio a disposizione e con i fruitori della mostra, di essere comunicative, e di introdurre all’immagine di Keplero e al suo Somnium.

Il progetto di allestimento è per natura in continua tensione tra i problemi sollevati dalla “pura forma” da dare ai contenuti e la «magia dell’aisthesis (la percezione, l’emozione, il gusto, la sensibilità, l’immagine, il sogno)» (VITTA 2014, p. 96). Sono questi ultimi elementi, appartenenti alla aisthesis, che guidano il fruitore nel percorso-forma che l’allestitore ha immaginato e che determinano il gradimento di quel percorso. Il concetto di allestimento espositivo, strumento fondamentale di conoscenza, «che non si dà […] se alla ragione non si accompagna un’emozione» (OTTOLINI, p. 9), è poi fortemente legato a quello di scenografia, sintesi tra «progetto e realizzazione del contesto spaziale effimero in cui si svolge e si riflette la vita umana ricreata dagli attori sulla scena» (MANFREDINI, in OTTOLINI 2017, p. 5), «per approdare felicemente a quello di opera […] dotata di espressività autonoma » (COLOMBO 2015), nel momento in cui le componenti di forma (estetica) e funzione (comunicativa) non rispondono semplicemente al noto slogan di Sullivan (1856-1924) e di tutto il Movimento Modernoform follows function , ma sono indirizzati al valore del conoscere.

Insieme alla consapevolezza dei valori intrinseci dell’allestimento quale spazio della conoscenza era contemporaneamente già nato in me quel tipico meccanismo mentale che caratterizza la fase della progettazione architettonica, ossia la volontà di dare concretezza fisica a uno spazio che è ancora solo un’idea, e l’accavallarsi e il materializzarsi sempre più vivo di quell’idea “intuita” nello spazio del pensiero. In architettura la possibilità di materialializzare l’idea passa per il disegno che, come vuole il Vasari, altro non è che «una apparente espressione di dichiarazione del concetto che si ha nell’animo, e di quello che altri si è nella mente immaginato e fabbricato nell’idea» (VASARI 1558, p. 111). Come l’architettura, attraverso il disegno, ordina la sequenza degli spazi, così l’architettura dell’allestimento ordina «il percorso conoscitivo ed emotivo del visitatore sul tema esposto» (OTTOLINI, p. 11), disegnando e modulando i ritmi di apprendimento e di visione dei diversi materiali.

Come il progetto architettonico si misura tra limiti e potenzialità del sito su cui nascerà l’opera, così il progetto di allestimento si sarebbe misurato con i dati di partenza: cinque pannelli di dimensione già definita (120 x 210 cm) in cui organizzare i materiali grafici, iconografici e scritti prodotti da docenti e studenti; i titoli dei cinque pannelli; uno spazio da allestire corrispondente all’atrio del Liceo Carducci di Bolzano. In questo elenco manca un dato fondamentale, il tema di progetto: non una casa unifamiliare, non un edificio multipiano, né un teatro o una biblioteca. Il tema, quello da cui avrebbe preso le mosse tutto il ragionamento per arrivare ad una soluzione coerente, era l’astronomo tedesco Johannes Kepler (1571-1630) e, nello specifico, la terza legge di Keplero, quella sul moto dei pianeti, contenuta nell’ultima parte del trattato Harmonices Mundi (1619), in cui l’autore si proponeva di «rivelare quella che riteneva fosse la mirabile saggezza e razionalità di Dio nella natura», e nel quale Keplero discuteva le «connessioni esistenti tra le orbite, la velocità e le distanze dei pianeti dal Sole» (FERGUSON 2002, p. 317), nonché tra le congruenze nelle forme geometriche, specie quelle fondate sul rapporto armonico, con le armonie e le consonanze musicali.

Keplero ragionò che gli esseri umani, essendo plasmati a immagine del Creatore, hanno perciò una capacità innata di godere di rapporti consonanti, una capacità che non richiede alcuna conoscenza o consapevolezza della matematica o geometria in gioco. Tycho aveva ragionato in modo simile quando aveva progettato Uraniborg. Una casa costruita sui principi dell’armonia doveva condurre a pensieri elevati e a uno studio degno di essere perseguito anche da chi non si rendeva conto di vivere in una tale struttura. (FERGUSON 2002, p. 318)

E chi potrebbe negare, al di là del proprio credo religioso, che nel trovarsi davanti al Partenone, opera paradigma dell’armonia costruttiva ricercata dagli architetti greci, ci si senta visivamente ed emotivamente coinvolti in tale armonia, pur non avendo conoscenze di geometria o di matematica nel proprio bagaglio culturale?

E ancora:

[…] come il nostro cervello è strutturato per avvertire, tramite l’udito, consonanze e dissonanze nei suoni, così tende a riconoscere, tramite la vista, come armonica la divina proporzione. Studi sperimentali di psicologia cognitiva, eseguiti inizialmente dallo psicologo tedesco Gustav Fechner nel 1876 hanno ampiamente dimostrato che il rettangolo considerato più piacevole alla vista è quello i cui lati sono in rapporto secondo la divina proporzione. […] Questo fatto potrebbe spiegare come mai numerosi artisti, architetti, scultori, pittori e musicisti, a partire dall’antichità greca fino a tempi recentissimi si siano ispirati a questa proporzione come irraggiungibile aspirazione di bellezza e armonia. Irraggiungibile dal momento che qualunque sua materializzazione concreta ne rappresenta solo una rozza approssimazione, non per difetto di misura ma intrinsecamente, per il carattere irrazionale di questo rapporto. (Ghione, Mezzetti, Ughi 2011, p. 32)

Le convinzioni di Keplero sulle capacità percettive dei rapporti armonici, che hanno trovato spesso conferma nell’esperienza pratica di relazione tra osservatore e “oggetto armonico”, nonché nelle stesse leggi della percezione visiva, sono state il punto di avvio delle scelte compositive operate, a partire dalla rimodulazione proporzionale del pannello. Il rettangolo di base a disposizione aveva dei rapporti non riconducibili al concetto di armonia neoplatonica presente negli scritti di Keplero, né al numero irrazionale φ (circa pari a 1,618) tanto caro a Ictino e Callicrate. Di qui l’idea, che si è subito palesata come una necessità vera e propria, di trasformare, attraverso delle operazioni grafiche, il pannello dato in un rettangolo aureo. Partendo dal lato di dimensioni inferiori, quello di 120 cm, è stato costruito su questo lato il rettangolo di proporzioni auree nel quale organizzare i materiali (IMMAGINE1a). La parte eccedente del rettangolo aureo, a fondo nero, ha invece ospitato i loghi degli sponsor e le altre informazioni di carattere accessorio (IMMAGINE1b).

Ancora un altro elemento è stato basilare per la progettazione del pannello: l’opera pittorica Ritratto di Keplero (1967) di Lucio Saffaro (1929-1998) (IMMAGINE1d), che è poi diventata anche la base per le locandine della mostra. Il ritratto, scoperto durante le ricerche effettuate sulla figura di Keplero, ha rafforzato l’idea iniziale circa il layout del pannello espositivo e, insieme alle affermazioni di Keplero sul rapporto aureo e sui solidi platonici, ha guidato il resto del progetto. Ritratto di Keplero di Saffaro è un’opera in cui, come osserva Auregli, l’evidente perfezione geometrica di un solido platonico viene inserita in uno spazio di tipo metafisico (cfr. AUREGLI, in ACCAME 1986, p. 30), al fine di arrivare alla rappresentazione concettuale, allegorica, spirituale, metaforica e astratta di un uomo emblematico, Keplero, «Umanità calata dentro le forme, le parvenze del rigore matematico (RAIMONDI, in ACCAME 1986, p. 118)». Su questo ritratto così Sergio Marinelli:

Ritratto di Keplero (1967) sembra sottintendere la suggestione di teorie platoniche. L’astronomo è simbolizzato da un solido geometrico visto in un interno e rapportato ad un’immagine-idea di trasparente luminosità, collocata nello spazio, da cui deriva per una traiettoria luminosa la sua ombra e la sua stessa forma come proiezione. Il passaggio di collegamento è una finestra, che qui non può che evocare l’imbocco della mitica caverna, il confine tra il cielo delle idee e il mondo delle copie. La finestra è un elemento ritornante in Saffaro e certo segna un ideale collegamento con la civiltà figurativa rinascimentale, a cui egli fa spesso esplicitamente omaggio, e col suo grande sogno di comprendere e rappresentare razionalmente la realtà. Contrariamente però alla classica finestra albertiana essa è evidenziata come cornice, sospesa quasi sempre nel vuoto e quindi incapace di garantire la verosimiglianza delle forme incluse, le quali, tramite i consueti meccanismi dell’ambiguità prospettica, oscillano davanti e dietro ad essa, escludendo sempre una esatta collocazione nello spazio. (MARINELLI, in ACCAME 1986, p. 136)

L’evidente ambiguità prospettica può condurre anche ad una lettura rovesciata in cui il rapporto tra il solido interno e quello esterno è opposto. Il solido interno si proietta all’esterno in una dimensione aerea, è una finestra che si apre su Keplero e sul suo mondo geometrico e astronomico. Ma al di là dei significati iconografici e iconologici dell’opera, l’icosaedro utilizzato da Saffaro in due diverse dimensioni, dal punto di vista formale-strutturale e geometrico, è la rappresentazione tridimensionale di rapporti aurei. Nel 1509 Luca Pacioli (ca. 1445-1517) pubblica il De Divina Proportione, trattato illustrato dai disegni di Leonardo Da Vinci (1452-1519), in cui l’autore, interpretando e raccogliendo il pensiero rinascimentale, discute, in volgare, le origini divine della geometria. Il De Divina Proportione contiene anche la traduzione dal latino del Libellus de quinque corporibus regularibus (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 632) di Piero della Francesca (1406 o 1412 – 1492), trattato in cui il pittore di Borgo San Sepolcro analizza dal punto di vista matematico e geometrico i cinque solidi platonici, staccandosi dalla comune trattazione filosofica che vedeva i poliedri associati agli elementi della natura. Partendo dalla trattazione di Piero della Francesca, Pacioli arriva alla dimostrazione che l’icosaedro, nonostante la sua complessità geometrica, si può ottenere attraverso l’intersezione di tre rettangoli aurei congruenti e mutuamente ortogonali. Unendo i 12 vertici liberi dei tre rettangoli aurei con dei segmenti, si ottengono i 30 spigoli e i 20 triangoli congruenti di un icosaedro regolare.

L’icosaedro nel quadro di Saffaro, simbolo della figura di Keplero, era la conferma che la progettazione dei pannelli per la mostra dovesse passare attraverso la sezione aurea. Sfruttando una proprietà dei rettangoli aurei indicata da Pacioli come il «quarto ineffabile effecto» (Ghione, Mezzetti, Ughi (2011), p. 38) , che consente, attraverso l’iterazione della prima costruzione, di arrivare alla spirale aurea logaritmica, è stata individuata la dimensione della seconda fascia fissa, quella verticale destra di colore nero (IMMAGINE1b), completata in alto e in basso rispettivamente da un Ritratto di Keplero risalente al 1610 e dal Ritratto di Keplero di Saffaro del 1967. All’interno della fascia la scritta giallo ocra in campo nero “Johannes Kepler” (IMMAGINE1c).

Il colore scelto, che è diventato il colore tema dei pannelli, nasce dalla ri-campionatura, avvenuta per via digitale, del colore di uno dei triangoli che compongono l’icosaedro dipinto da Saffaro. Il colore di Saffaro, come osservato da Argan, è «un colore che nasce come luce e non dalla luce ed è, avrebbe detto Ficino, spazialità senza dimensione, qualità senza quantità» (ARGAN, in ACCAME 1986, p. 9), rappresentazione dell’infinito incommensurabile. Il colore utilizzato, che rimanda al colore del sole e alle componenti calde della luce bianca, nonché alle ricerche sugli astri compiute da Keplero, entra in forte contrasto con il nero della fascia in cui viene inserito, secondo una scelta che tiene conto delle regole della grafica sulla differenza e la leggibilità e delle leggi della Gestalt (DABNER D. 2003, p. 58). La fascia vuole essere contemporaneamente banda laterale di appoggio, di apertura e di chiusura dell’intera composizione grafica.

Il colore di Saffaro si illumina graduando diversamente le sfaccettature. Per Saffaro la luce è modalità descrittiva del colore. Quindi il rapporto tra luce e ombra diventa fondamentale per descrivere la tridimensionalità degli oggetti disegnati dall’autore. Da qui è derivata la scelta di ripresentare in scala di grigi – quindi agendo in assenza di colore, ma in presenza del chiaroscuro – l’intera opera e utilizzarla come fascia orizzontale basamentale di altezza corrispondente al lato verticale di Ritratto di Keplero collocato in basso a destra (IMMAGINE1c).

L’operazione fatta sul quadro è stata la seguente: ridisegno dell’opera con un programma di disegno vettoriale (AutoCAD); trasporto in scala di grigi dell’immagine originale tramite de-saturazione digitale; ri-campionatura digitale dei grigi in RGB color; colorazione in scala di grigi dell’immagine ridisegnata attraverso l’inserimento di retini solidi nei toni di grigio corrispondenti alle varie parti del disegno (IMMAGINE1d, e, f). Ogni pannello presenta un dettaglio diverso del dipinto (IMMAGINE1f). Il visitatore della mostra è stato così accompagnato in un processo percettivo di scomposizione e ricomposizione dell’immagine unitaria del quadro: durante il percorso l’utente è stato indirizzato a mettere a fuoco le diverse geometrie presenti nell’opera di Saffaro e a ricollegarle ai contenuti del pannello.

Su questa base comune sono stati organizzati i singoli pannelli, molto diversi tra di loro per contenuto e per elementi che andavano inseriti. Per ognuno di essi si è cercata la giusta ponderatio dei pesi visivi delle singole parti grafiche, scritte e iconografiche, stabilendo l’importanza relativa dei diversi componenti, e valutando di volta in volta in che modo risolvere il rapporto delle parti tra di loro e con il tutto. L’unità del messaggio e del tema del pannello si materializzava così non solo nel titolo, di proporzioni maggiori, ma anche nella scelta distributiva e cromatica degli oggetti all’interno dell’unitario fondo bianco, operata secondo criteri di armonia e proporzione.

L’intero progetto – che ha preso poi vita nell’atrio del liceo Carducci, sposandosi con altri mezzi di comunicazione, come le proiezioni video, e oggetti fisici quali la ricostruzione tridimensionale del disegno Orbium planetarum dimensiones, et distantias per quinque regularia corpora geometrica exhibens pubblicato da Keplero nel Mysterium Cosmographicum de stella nova (1596), e alcune pagine degli altri scritti dell’astronomo – aveva la presunzione di arrivare ad un “terzo ritratto” di Keplero attraverso un racconto grafico, basato su un layout geometrico di base armonica, la cui forma non doveva ostacolare la comprensione quanto piuttosto veicolare il messaggio e potenziarlo.

E la forma materiale dell’allestimento è esattamente la manifestazione animata e relativamente autonoma (per materiali, colori, luce naturale o artificiale, proiezioni ecc.) di un punto di vista sul senso di ciò che si viene portati a incontrare e a conoscere, sempre collocata in una giusta posizione di complementarità e subordinazione rispetto alle opere esposte, se non si vuole che l’esibizionismo del contenitore penalizzi, invece di esaltare, il valore del contenuto. (OTTOLINI 2015, p. 10)

Bruno Munari ha sottolineato la necessità che «l’illustrazione si leghi alla natura intima dell’oggetto da illustrare e parli una lingua (un codice) immediatamente percepibile» (RAUCH 2009, p. 172). Il problema della “messa in forma” dell’oggetto da illustrare, Keplero e le leggi dell’armonia, da cui il progetto era partito, si è chiuso nella forma della “sezione aurea”, base ermeneutica di comprensione del disegno e del progetto.

Diceva Le Corbusier (1887-1965): «Preferisco il disegno alle parole. Il disegno è più veloce, e lascia meno spazio per le bugie». Questa celebre frase di uno dei grandi maestri dell’architettura del Novecento, che nelle sue opere puriste ha fatto largo e magistrale impiego della sezione aurea e dei rapporti armonici scoperti sull’acropoli di Atene, è stata la guida per la scelta di parole che fossero corrispondenti alla verità del disegno e che potessero semplicemente spiegarne la genesi, senza la pretesa di rivendicare alcuna autorità o attribuire valore agli oggetti disegnati che vada oltre la loro autorappresentatività.

Genesi grafico-geometrica del pannello espositivo

IMMAGINE 1

a. Costruzione geometrica del rettangolo aureo a partire dal lato di 120 cm.

b. Iterazione della costruzione precedente secondo il “quarto ineffabile effecto” di Luca Pacioli.

c. Il pannello con le fasce orizzontali e verticali nere derivanti dalle precedenti costruzioni.

d. Lucio Saffaro, Ritratto di Keplero, (opus VCVIII), 1967, olio su tela, 90×75 cm, Coll. privata, Bologna, in ACCAME G.M. (a cura di), Saffaro, Le forme del pensiero, Edizioni Aspasia, Bologna 2004, p. 65, tav. 11, con la sovrapposizione del ridisegno vettoriale delle geometrie presenti nell’opera.

e. Ridisegno vettoriale del quadro di Saffaro.

f. Riduzione in scala di grigi.

g. Scomposizione del ridisegno del quadro nei cinque dettagli utilizzati per i cinque pannelli. La rappresentazione riproduce anche, in modo schematico, il progetto di disposizione in pianta dei pannelli nello spazio dell’atrio del Liceo Carducci di Bolzano.

I pannelli della mostra

Per l’allestimento della mostra si ringrazia la classe 4B del Liceo Carducci di Bolzano dell’a.s. 2017/2018 e in particolare Luca Passera.

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