logo fillide

il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 13

 settembre 2016

Segnalazioni

Maurizio Pacchiani

Maurizio Pacchiani, Filatelier

Segnalato da Barbara Ricci

FILATELIER riQuadri a olio di Maurizio Pacchiani

1-12 aprile 2016, Bolzano – Piccola Galleria
Passaggio Antico Municipio, 8 – via Portici, 30

26 agosto – 4 settembre 2016
NON CORRISPONDENZE
Musei di Ronzone

LA POETICA DEL FRAMMENTO

Sono piccoli quadri a olio e raffigurano alcuni francobolli che provengono dalla collezione privata dell’autore, cominciata a sei anni e continuata fino a poco tempo fa. Era una passione che lo induceva a staccare i francobolli dalle vecchie buste delle lettere che conservavano i genitori, con attenzione estrema, per non rovinarli.

La scelta di quali francobolli riprodurre fra quelli della collezione dipende esclusivamente dal colore, dalla forma e dal soggetto, che in qualche caso incuriosisce. Si tratta di francobolli viaggiati, cioè hanno i segni postali del timbro e della data, quindi portano le tracce del loro uso pratico e del loro passaggio nel mondo. Cronologicamente coprono gran parte del Novecento, ma non c’è un’intenzione documentaria e non sono considerati da un punto di vista storico. Hanno esclusivamente una valenza artistica: da tempo del resto si ritiene che il francobollo possa venire considerato sotto il semplice profilo estetico, come un’incisione, un quadro o una stampa.

Collezionare vuol dire di solito mettere ordine in un piccolo mondo circoscritto, protetto e immobile, su cui si ha un controllo totale e per cui si auspica la conservazione nel tempo, evitando così di doversi separare dai ricordi e dal passato.

Qui l’operazione è svolta su più piani: il collezionista riproduce l’oggetto decontestualizzato e lo accosta ai suoi simili in maniera casuale, senza volontà di sistemazione.

La scelta di una riproduzione parziale e incompleta, che taglia a volte l’immagine in modo quasi fastidioso e rinuncia alle simmetrie, accentua il senso di straniamento e di lontananza dall’oggetto reale, come se si volesse ribadire ‘questo non è un francobollo’, alla Magritte. Ed è proprio questa distorsione dello sguardo che costringe a uno sforzo di attenzione, a mettere a fuoco il frammento proprio per le sue mancanze e i suoi vuoti apparenti.

E dato che l’ironia è la figura retorica della distanza, e il collezionista in questione ne fa un uso abbondante, sono anche presenti due non-francobolli in mezzo a tutti gli altri, uno che riproduce il ritratto dell’autore e l’altro una tazzina di caffè, con tanto di logo pubblicitario.

Far emergere i frammenti di realtà e renderli visibili è un metodo conoscitivo che consente di interrogare il mondo moltiplicando le prospettive, creando nuove interconnessioni, senza pretese totalizzanti e senza l’utilizzo di categorie rigide. Scoprire il dettaglio che non si conosceva, far uscire quello che è nascosto, privilegia il decentramento, la marginalità, l’effetto centrifugo rispetto alle grandi rappresentazioni astratte. Ed è un’attitudine particolare dell’autore, presente anche nella prima mostra, quella dedicata ai tombini. (cfr. “Fillide”, n.7, 2013)

Il francobollo è parte di una forma della comunicazione che sembra ormai desueta, quella della posta cartacea. La presenza delle due buche delle lettere ribadisce la funzione primaria dell’oggetto, diventa la cornice dentro cui ricondurre il discorso. Rispetto alla comunicazione veloce della posta elettronica, quella cartacea sembra decostruire, rallentare e frammentare a sua volta tutti i passaggi dell’atto comunicativo e le sue incertezze: la fisicità dell’invio e nello stesso tempo la perdita del medium nella profondità elusiva della buca delle lettere (arriverà?), la dilazione temporale (arriverà quando quello che ho inviato sarà già deprivato di senso?), il destinatario, figura dell’assenza, sempre oggetto di un atto di fiducia che innesca l’attesa (ci sarà una risposta adeguata?).

La corrispondenza in genere però, anche quella elettronica, ha mantenuto comunque la sua connotazione originaria, e cioè il dialogo con l’assente, con chi non è a portata di voce. E questo restituisce centralità alla parola scritta, costringe a un esercizio di interpretazione, aperto alla fantasia, all’equivoco, al sogno, al fraintendimento. Comunicare è un’utopia di avvicinamento, un’approssimazione per difetto, un segno aperto come questi francobolli che si vedono solo in parte, allusivi, incompleti, mancanti.