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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 01

 settembre 2010

Scuola/Non scuola

Nefelomanzia ovvero Cosa dicono le nuvole

 

PRESENTATORE

Chi è Socrate? Un filosofo? Un affascinante e instancabile ricercatore della verità? Un inquieto maestro del dubbio? Una torpedine marina? Un sileno? Una levatrice? Platone, suo fedele discepolo, lo presenta quale uomo retto, coerente, appassionato e rispettoso. Per tutti noi è colui che ha il coraggio di accettare anche la somma ingiustizia in nome del rispetto per la legge. Non è uomo che persegua interessi meschini, o che si pieghi alle richieste di un potere che cerca connivenze e colpevoli complicità. Eppure ecco che un suo contemporaneo, chiamato Aristofane, un uomo forse altrettanto determinato nel fustigare le bassezze di chi al potere arriva e lì vuole restare ad ogni costo, fa di Socrate un sedicente intellettuale, amante in realtà solo dell’apparenza e della menzogna, un truffatore e un ladro. Perché? Socrate ascolterebbe – noi supponiamo – con attenzione le ragioni di entrambi. Così cercheremo di fare noi. Immaginiamoci, dunque, ad Atene, nell’agorà, nella piazza, in una calda giornata… Ecco lo vedo arrivare, insieme ad un noto retore, ad un esperto di comunicazione, diremmo noi oggi…

Socrate: Dunque, Gorgia, dici di essere esperto di retorica e di saperla insegnare, in modo tale che anche i tuoi discepoli ne diventino esperti?

Gorgia: Sì.

Socrate: Per Era, Gorgia! Ti ammiro: sai dare risposte proprio concise!

Gorgia: E ritengo, Socrate, di farlo a proposito.

Socrate: Già… forse potrai spiegarmi, allora, in che cosa consista il potere della retorica, che mi pare addirittura divino, quando ci penso…

Gorgia: Non esageri, Socrate! Davvero l’arte di persuadere contiene in sé tutti i poteri! Non sai quante volte, grazie ad essa, ho persuaso pazienti testardi a lasciarsi operare o a prendere un farmaco, mentre in nessun modo il medico era riuscito a convincerli. E se davanti a un’assemblea dovessi competere con un chirurgo di fama, saprei indurre i cittadini ad assumere me, e non lui, come medico. Perché il più bravo a persuadere sono io! Certo, come tutte le arti, anche la retorica potrebbe essere usata in modo improprio. Ma se uno, divenuto esperto nel pugilato, prendesse a pugni il padre o la madre, rimprovereremmo il suo allenatore? Allo stesso modo, se uno, una volta appresa l’arte della persuasione che si esercita nelle pubbliche assemblee e nei tribunali, dovesse servirsene per scopi, diciamo così, disonesti, non ne avrà certo colpa il suo maestro, ti pare?

Socrate: Mi pare, invece, Gorgia, che ci sia, in quel che dici, qualche contraddizione. Prima infatti hai affermato che la retorica si occupa della distinzione tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. Dunque, almeno in questo il retore dovrebbe essere sapiente: in tutto ciò che riguarda la giustizia. Ma prima di continuare, vorrei chiederti una cosa. Sei abituato ai dibattiti, e sai bene che spesso i partecipanti, se sono in disaccordo, non permettono all’interlocutore di chiarire il suo pensiero, ma tentano in tutti i modi di prevaricarlo. Io invece sono disposto a lasciarmi contestare non meno di quanto ami contestare: infatti non credo che per l’uomo esista un male più grande di una falsa opinione sulle cose di cui noi, ora, stiamo discutendo. Ti domando: sei anche tu come me?

Gorgia: Certo, anch’io sono fatto così, Socrate.

Socrate: … Allora ti prego, Gorgia, ascolta quello che mi ha sorpreso nelle tue parole. Forse tu ti sei spiegato bene e sono io che non ho capito proprio tutto correttamente. Tu affermi di essere in grado di educare all’arte della parola chi sia disposto a seguire i tuoi insegnamenti…

Gorgia: È una vita che non faccio altro!

Socrate: Cioè, riesci a rendere qualunque persona capace di parlare davanti a una folla in modo convincente…

Gorgia: [ironico] Vedo che hai capito.

Socrate: Ma dinanzi a una folla significa dinanzi agli ignoranti perché dinanzi ai competenti non si riesce a persuadere come si vorrebbe: davanti a chi è competente in medicina l’oratore non sarà adatto a persuadere più del medico.

Gorgia: E’ vero.

Socrate: Bene, allora stammi a sentire: è opportuno che l’oratore si trovi, davanti a quelli che non sanno, nella loro stessa condizione di non sapere ciò che riguarda il giusto e l’ingiusto, il bello e il brutto, il buono e il cattivo? O non è invece necessario che si rechi da te per apprendere ciò che non sa?

Gorgia: Se non dovesse sapere, queste cose le apprenderà da me.

Socrate: E comunque prima o poi dovrebbe imparare a conoscere ciò che è giusto e ciò che è ingiusto.

Gorgia: Senza dubbio.

Socrate: Ebbene, chi ha imparato l’architettura è architetto, no? E chi la musica, musicista? E chi la medicina, medico?

Gorgia: Pare di sì, caro Socrate. [comincia ad alzarsi]

Socrate: Così anche, per la stessa ragione, chi ha imparato che cos’è la giustizia sarà giusto?

Gorgia: Appunto.

Socrate: E chi è giusto opera secondo giustizia?

Gorgia: Esatto… [stufo]

Socrate: Necessariamente, quindi, chi è esperto di retorica sarà giusto e il giusto non vorrà che agire secondo giustizia.

Gorgia: Evidentemente…

Socrate: … e quindi ne consegue che l’oratore sarà necessariamente giusto.

Gorgia: Già. E ora, se abbiamo finito, Socrate, tornerei a occuparmi dei miei affari.

Socrate: E quindi chi possiede l’arte della persuasione, non vorrà mai commettere ingiustizia?

Gorgia: Pare di no.

Socrate: Gorgia, ma non te ne andare. Ho ancora molti dubbi…

Gorgia: Bisogna pensare anche al pubblico: si stancheranno di una discussione così impegnativa. Forse hanno voglia d’ altro, non credi?

PRESENTATORE

Infatti la gente, si sa, vive anche problemi quotidiani di tutt’altra natura, ad Atene come altrove, allora come oggi. C’è un tizio, un tale Strepsiade, un concittadino di Socrate, alle prese con altre questioni. Entriamo in casa sua, a curiosare un po’…

[Due personaggi, avvolti in coperte, dormono dinanzi alla casa di Strepsiade]

Strepsiade

Ahi, ahi! 0 Zeus sovrano, quanto è lunga questa notte; non finisce più. Non si farà mai giorno? Eppure, è un bel po’ che ho sentito il gallo. . . Ma i servi russano. Sia tu maledetta, guerra, per mille ragioni; non posso nemmeno punire i servi. [Indicando il personaggio che gli dorme accanto] E questo bel tomo di giovanotto non si sveglia la notte, ma scoreggia, ravvolto fra cinque coperte. Visto che le cose stanno così, ficchiamoci sotto, e mettiamoci a russare. [Si distende sotto le coperte; ma dopo un po’ si alza] Povero me, non riesco a dormire: mi rode il pensiero delle spese, del maneggio e dei debiti contratti per questo mio figlio. Lui porta i capelli lunghi, cavalca, guida carri da corsa, e sogna cavalli; e io mi sento morire, quando vedo che arriva la fine del mese, e maturanogli interessi. [Ad alta voce] Servo, accendi la lucerna e porta qua il registro: voglio fare un po’ di conti. [Un Servo porta il registro] Vediamo un po’ a quanto ammontano i debiti. [Legge] Dodici mine a Pasia. Perché dodici mine a Pasia? Per quale motivo le ho chieste in prestito? Ah, è stato quando ho comprato il cavallo col marchio. Povero me, sarebbe stato meglio che un sasso mi avesse marchiato un occhio!

Fidippide: [In sogno] Filone, tu imbrogli. Tieniti nella tua corsia.

Strepsiade: Ecco qual è la sciagura che mi ha rovinato; anche quando dorme sogna cavalli.

Fidippide: [In sogno] Quanti giri dovranno fare i carri?

Strepsiade: I giri – e molti – li fai fare a me, tuo padre! [Riprende ad esaminare ti registro] Ma «qual debito mi giunse» dopo Pasia? Tre mine ad Aminia per un carrettino e un paio di ruote.

Fidippide: [In sogno] Porta dentro il cavallo: ma prima fallo rotolare nella sabbia.

Strepsiade: A rotoli hai mandato i miei averi, carino: ne ho perse di cause! E c’è gente che vuole garanzie sugli interessi.

Fidippide: [Risvegliandosi] Che c’è, padre? Perché non te ne stai tranquillo e ti rivolti tutta la notte? Ma che diamine, lasciami dormire un po’.

Strepsiade: Certo, dormi. Sappi però che tutti questi debiti te li troverai sin sulla cima dei capelli. Ahimè! Fosse capitato un accidente alla mezzana che mi spinse a sposare tua madre. Che bella vita conducevo in campagna! Me ne stavo in mezzo alla muffa, sporco, stravaccato: c’era abbondanza di api, di pecore, di olio. Poi sposai la nipote di Megacle, il figlio di Megacle: io, un contadino; lei, una cittadina, una donna di classe, abituata al lusso, una discendente di Cesira. Il giorno del matrimonio, quando andammo a letto, io sapevo di mosto, di fichi secchi, di lana; lei invece era tutta profumi, zafferano, giochi di lingua. Certo, oziosa non era e io le dicevo: «Moglie, ti dai troppo… da fare».

Servo: [Mostrando la lucerna spenta] Non c’è più olio nella lucerna.

Strepsiade: Ohimè! Perché hai acceso la lucerna che beve tanto? [Gli dà un ceffone]

Servo: Ma perché?

Strepsiade: Hai messo uno stoppino troppo grande! [Il Servo rientra in casa] In seguito, quando ci nacque questo figlio, io e quella nobildonna non facevamo che litigare per il nome: lei voleva che finisse in ippo (Santippo ovvero Carippo oppure Callippide); io invece volevo dargli il nome del nonno: Fidonide, lo Sparagnino . Alla fine, dopo tanti litigi, raggiungemmo un accordo e lo chiamammo Fidippide. E se lo teneva tra le braccia, questo nostro figlio, e lo vezzeggiava: «Quando sarai grande, guiderai il carro sull’Acropoli, come Megacle, con la tunica lunga… ». Ed io, di contro : «Ricondurrai le capre dalla pietraia, come tuo padre». Ma lui non ha dato ascolto alle mie parole, ha trasmesso la sua «ipperizia» ai miei beni. E ora, dopo aver pensato tutta la notte a una via d’uscita, ho trovato l’unica scappatoia possibile: davvero straordinaria! Se lo persuado a prenderla, sono salvo. Ma prima voglio svegliarlo. [Con voce suadente] Fidippide! Fidippiduccio!

Fidippide: Che c’è, padre?

Strepsiade: Qua la destra e un bacino a papà.

Fidippide: Ecco. Ma che c’è?

Strepsiade: Dimmi: mi vuoi bene?

Fidippide: Sì; te lo giuro su Posidone equestre.

Strepsiade: No, l’equestre assolutamente no, è lui la causa delle mie sventure. Ma se mi vuoi veramente bene, di tutto cuore, dammi retta, figlio mio.

Fidippide: Darti retta? E in che?

Strepsiade: Vieni qua, guarda. Vedi quella porticina e la casetta?

Fidippide: Sì, di che si tratta, padre?

Strepsiade: È il Pensatoio di spiriti sapienti. Là abitano uomini che, con undiscorso, ti persuadono che il cielo è un forno e che noi siamo carboni. Costoro ti insegnano, a pagamento, a vincere, con la chiacchiera, cause giuste ed ingiuste.

Fidippide: E chi sono?

Strepsiade: I nomi non li conosco con precisione: sono pensatori dal cervello fine, gente di prim’ordine,

Fidippide: Puah! Mentecatti! Li conosco: stai parlando di quei cialtroni con la faccia da morto, che se ne vanno in giro scalzi ; quello sciagurato di Socrate e Cherefonte.

Strepsiade: Ehi, stai zitto: non fare il bamboccione. Ma se ti sta un tantino a cuore il pane di tuo padre, unisciti a loro, lascia perdere l’ippica.

Fidippide: No, per Dioniso: nemmeno per tutto l’oro del mondo.

Strepsiade: Ti supplico: va’ a lezione da loro.

Fidippide: E cosa dovrei imparare, secondo te?

Strepsiade: Dicono che, presso di loro, si trovano i due discorsi, il Migliore e il Peggiore. Di questi due discorsi, il Peggiore – dicono – vince con le sue chiacchiere anche le cause ingiuste. E dunque, se impari il discorso ingiusto, di tutti i debiti fatti per causa tua, non dovrò restituire neppure un obolo.

Fidippide: Non posso darti retta: pallido come la morte, non potrei guardare in faccia i cavalieri.

Strepsiade: E allora, quant’è vera Demetra, non mangerai più a mie spese: né tu né il tuo puledro né il tuo purosangue. Ti caccerò di casa, va’ alla malora.

Fidippide: Lo zio Megacle non permetterà che io sia senza cavalli. Me ne vado: di te non m’importa. [Rientra in casa]

Strepsiade: Ah sì? E io, per parte mia, non mi metterò certo a piangere. Pregherò gli dèi, e con i miei piedi andrò al Pensatoio a istruirmi. [Si incammina verso il Pen­satoio; ma dopo un po’ si ferma] Ma come farò, vecchio e smemorato, a imparare discorsi sottili come segatura? Eppure debbo andare! [Riprende deciso la marcia e giunge dinanzi al Pensatoio] [Bussando]

PRESENTATORE

La situazione mi pare chiara, anche attuale, non vi sembra? Proviamo, dunque, a immaginare cosa accadrebbe se questa situazione si presentasse oggi – non so – in una città qualunque di questa nostra Italia…

Mambretti

Quanto durano queste notti! Non finiscono mai! Questa qui, è già durata fin quasi a mezzogiorno. Ma com’è che non è ancora pronta la colazione? Consuelo! Consuelo! … Ah, già, l’ho licenziata. Ieri. Me ne ero dimenticato. Voleva essere messa in regola, a spese mie naturalmente. Queste colf! Arrivano qua da chissà dove, senz’arte né parte, e dopo qualche settimana sono già piene di pretese. Credono che noi qua i danè li raccattiamo su da terra… E questo bravo ragazzo non dà segni di vita. Beh, qualche segno forse… Sentilo come scoreggia tra due guanciali! Tanto vale che anch’io me ne vada a ronfare un po’. Tutta la notte in bianco, sono distrutto… Ma con queste scadenze, i debiti, le tasse… Come fa uno a dormire? Colpa di Roma ladrona… e di questo qui! Gli piacciono le moto, le automobili, mica quelle da quattro soldi però… Prima la serie degli scooter, poi la moto BMW, l’anno scorso ha fatto la patente e ha rotto le balle al punto che per il compleanno ho dovuto comprargli la Ferrari, a credito! Dorme sodo, sì, lo credo. Se ne va in giro tutta notte a scorrazzare: gare illegali, feste, ragazze, locali, bevute…e altro che non dico. Movida, la chiamano… Te la do io una movida, razza di….E tra poco ho il rendiconto; gli attacchi di panico, mi vengono, quando ci penso. [Cerca il cellulare con nervosismo, finalmente lo trova, chiama]: “Ue’ Giuditta, sono io. Portami un po’ su i registri, che voglio dare una controllatina. Come, quando? Adesso, sì, adesso. Come sarebbe che li ho già guardati ieri? E a te che te ne frega, scusa? Muoviti, dai.” [Suona il campanello. Mambretti va al citofono] Sììì?

Postino: Mambretti? C’è posta per Lei.

Mambretti: E va bene, salga. [Ridacchiando]: Cos’è, il postino della De Filippi? [Mambretti firma la ricevuta, il fattorino se ne va. M. apre la busta con frenesia]: Una multa! Per eccesso di velocità! Ancora! Ma io lo strozzo questo qui, lo faccio secco…

Michael/Fidippide [nel sonno]: Ok. Ferrari contro Porsche… Sì, bella sfida, bella sfida…

Mambretti: Ci risiamo. Che cosa sogna, il fanatico? Le corse in macchina, le gare.

Michael: … Quanti giri?

Mambretti: Giri? Sapessi come girano a me!

Michael: Raga, sentite come carbura!

Mambretti: Non sai come carburano le mie…

Michael: [Nel dormiveglia] Papi, ma che hai da rompere a quest’ora?

Mambretti: In effetti, ho una certa tentazione di romperti il …

Michael: Dai, lasciami dormire per piacere…

Mambretti: Dormi, dormi; che un giorno tutto questo sarà tuo: più grane che grana. Le fosse venuto un colpo a quella ruffiana della Susi, la volta che mi ha presentato tua madre… Tua madre… Si difendeva bene, eh, niente da dire. Bel davanzale, vita snella, quella voce sensuale con l’erre moscia… Io che mi facevo il culo quadro tutta la settimana, in ditta; e lei, la sciurina della Milano bene, firmata dalla testa ai piedi, piena di moine… Credevo di fare un affare, a sposarla. Sì, bell’affare. Corna gratis, e in abbondanza!

[Suonano alla porta. Entra Giuditta coi libri contabili.]

Giuditta: Commendatore…

Mambretti: Da’ qua.

Giuditta: Commendatore… E’ passato il Brambilla, il perito. Dice che se non ci mettiamo a norma con la sicurezza, ci sciolgono il contratto.

Mambretti: La sicurezza? Ma lo sa lui quanto mi costa mettermi in regola? Crede che me lo possa permettere, adesso? Va’, va’, lasciami in pace, che sto pensando… Insomma, le rogne sono cominciate da subito. Non era ancora nato questo bel tomo, che già litigavamo per il nome. Lei voleva un nome elegante, altolocato: Edoardo, Lapo, Gianfilippo… oppure un nome esotico, ma non volgare. Io l’avrei chiamato Michele, come mio padre. Alla fine, compromesso: Michael, come Schumacher. Proposta di mio cognato. E lei, che stravede per quel pirla, al bambino diceva: “Ciccetto, tesoro mio, quando sarai grande, sarai tutto tuo zio, rampante, audace, bello come un bronzo di Versace, capace di giocare in borsa e di scopare in corsa… un vero vincente, mica come tuo padre.” Io invece gli dicevo: “Quando sarai grande, ti farai il mazzo proprio come me.” Solo che a me non ha mai dato retta. Eh, ma adesso la musica cambia. Ne ho abbastanza. Ho un bel programmino per lui. Michael, Michael!

Michael: Che c’è, papi?

Mambretti: Batti un cinque, qua la mano! Vuoi bene a papà?

Michael: Certo! Come alla mia Ferrari!

Mambretti: Non nominarmela neanche, porta sfiga! Ma mi vuoi bene davvero? Davvero davvero?

Michael: [Irrigidendosi] Si può sapere che cosa vuoi?

Mambretti: Vieni qua, qua, alla finestra. Lo vedi quel palazzo laggiù? Quella vetrata là in fondo?

Michael: Embè?

Mambretti: Ci hanno fatto una scuola. Una scuola speciale, privata. Mica per tutti, eh. L’iscrizione è un vero salasso. Ma forse, vale la pena investire un po’ nella formazione…

Michael: Non capisco.

Mambretti: Insomma, Michael, hanno messo insieme i meglio cervelloni, esperti di marketing, pubblicitari, avvocati, direttori di giornali, eccetera… e questi qua insegnano, a pagamento si capisce, a intortare la gente, a vincere le cause e a farla franca. Hai capito?

Michael: No. E chi sarebbero, ‘sti cervelloni?

Mambretti: Eh, i nomi precisi non me li ricordo; gente con gli attributi, comunque.

Michael: Ah, adesso che mi ci fai pensare… Ma sì! Me ne ha parlato la Camilla!

Mambretti: La Camilla? E chi è ‘sta Camilla?

Michael: Ma dai, la figlia del chirurgo estetico di mamma. A tempo perso studia diritto. Ce l’hanno iscritta anche lei, a quella scuola. Eco-star, si chiama. Ce l’ho accompagnata, una volta.

Mambretti: Ah, Eco-star… Beh, se t’importa qualcosa che tuo padre non faccia fallimento, lascia la Ferrari in garage e vatti a iscrivere di corsa. Paga papà!

Michael: Nemmeno se mi raddoppi il mensile.

Mambretti: A quanto ne so, insegnano due strategie, la lunga e la breve. E dicono che la breve faccia vincere le cause …quelle un po’… le porcate, insomma. Ci arrivi adesso? Se tu la impari, di tutti i debiti che ho fatto per causa tua non dovrò restituire un euro!

Michael: Scordatelo. Ma li hai visti? Se divento brutto come quelli là, non mi si fila più nessuna.

Mambretti: E allora, porca bestia, smettila di mangiare a spese mie! E di bere, tu e quella sanguisuga di macchina! Ti caccio di casa, hai capito?! E la Ferrari resta qua!

Michael: Vabbè, andrò a stare per un po’ da zio. Lui a piedi non mi ci lascia di sicuro. Vado a fare la valigia. Ciao ciao papi!

Mambretti: Eh sì, sono con il culo per terra, ma non ci resto! Andrò ad accendere un cero, come faceva sempre la mia mamma, buonanima, e poi a iscrivermi al corso ci vado io. Certo, la mia è una cultura a strisce di leopardo. Con le robe scolastiche non è che me la sia mai cavata bene, anche se poi i danè li ho fatti, io, mentre il primo della classe fa l’insegnante nella scuola pubblica, lo sfigato. Io sono uno di poche parole, e la mia memoria è un colabrodo. Ma cosa posso fare? Vado!

PRESENTATORE

Torniamo nell’Atene dell’anno 423: stessa situazione, stessi problemi, Strepsiade al Pensatoio…

Discepolo: Maledizione! Chi bussa?

Strepsiade: Strepsiade, il figlio di Fidone, del demo di Cicinna .

Discepolo: Per Zeus, sei proprio un ignorante: prendere a calci la porta in questa maniera! Mi hai fatto abortire il pensamento che avevo concepito.

Strepsiade: Scusami: vengo da lontano, dalla campagna. Ma dimmi: che diamine ho fatto abortire?

Discepolo: Non è lecito dirlo, se non ai discepoli.

Strepsiade: Coraggio, dimmelo: io, eccomi qua, sono venuto al Pensatoio proprio come discepolo.

Discepolo: Te lo dirò, ma tieni presente che queste sono cose da iniziati. Poco fa Socrate ha chiesto a Cherefonte una pulce quanti piedi (dei suoi) sia in grado di saltare: dopo aver punto il sopracciglio di Cherefonte, era saltata sulla testa di Socrate.

Strepsiade: E come ha fatto a prendere le misure?

Discepolo: Un lampo di genio: ha sciolto un po’ di cera; poi ha preso la pulce e ne ha immerso i piedi nella cera; e quando si fu raffreddata, si erano formate delle babbucce: gliele ha sfilate e ha misurato lo spazio.

Strepsiade: O Zeus sovrano, che cervello fine! Presto, apri il Pensatoio e fammi vedere Socrate: ho una gran voglia di imparare. Su, apri la porta. [Appaiono altri discepoli] Per Eracle, che razza di bestie sono queste?

Discepolo: Perché ti meravigli? Secondo te, a chi somigliano?

Strepsiade: Sono più magri degli Spartani che abbiamo fatto prigionieri [Indicando un gruppo di discepoli] Ma perché guardano a terra?

Discepolo: Cercano le cose di sotterra.

Strepsiade: Capisco: cercano cipolle. Ma non vi date pensiero : ve ne procuro io di prima qualità [Indicando un altre gruppo di discepoli] E questi, tutti curvi, che fanno?

Discepolo: Scrutano l’Èrebo, fino al Tartaro.

Strepsiade: E il loro culo, perché guarda in cielo?

Discepolo: Impara l’astronomia per conto suo.

Strepsiade: Ma che pensata geniale! Per gli dèi, e questa che roba è? Dimmi.

Discepolo: La geometria.

Strepsiade: E a che serve?

Discepolo: A misurare la terra.

Strepsiade: La terra da dare ai cittadini?

Discepolo: Tutta la terra.

Strepsiade: Splendido! Tutta la terra ai cittadini! Una trovata davvero democratica.

Discepolo: Ed eccoti la mappa di tutta la terra. Vedi? Questa è Atene.

Strepsiade: Ma che dici? Non ci credo: non vedogiudici in seduta.

Discepolo: E questa è Sparta.

Strepsiade: Com’è vicina! Perché non la spostate più lontano?

Discepolo: Non si può.

Strepsiade: E questo scudo? Di chi è?

Discepolo: E’ uno scudo speciale. Si chiama scudo tributario. Serve a difendere chi non paga i tributi.

Strepsiade: Che invenzione meravigliosa! Non vedo l’ora di provarlo. Ma… chi è quell’uomo sospeso per aria?

Discepolo: Lui.

Strepsiade: Lui chi?

Discepolo: Socrate.

Strepsiade: Toh, Socrate. Su, ti prego, chiamamelo: grida forte.

Discepolo: Chiamatelo tu: io non ho tempo. [Rientra nel Pensatoio]

Strepsiade: Socrate! Socratuccio!

Socrate: Perché mi chiami, creatura effimera?

Strepsiade: Prima di tutto, dimmi che fai, ti prego.

Socrate: Aerostatizzo e dall’alto guardo il sole.

Strepsiade: Perciò gli dèi li guardi dall’alto e non da terra: vero?

Socrate: Proprio così! Non avrei mai esattamente scoperto i fenomeni celesti, se non avessi sospeso la mente e mischiato il sottile pensiero con l’aere ad esso consimile.

Strepsiade: Dai, Socratuccio, scendi, vieni qua: insegnami ciò per cui sono venuto.

Socrate: [Scendendo dalla cesta atterrata sulla piattaforma scenica] E perchè sei venuto?

Strepsiade: Voglio imparare a tener discorsi : debiti e creditori intrattabili mi sbattono di qua e di là.

Socrate: Come mai non ti sei accorto che eri sommerso dai debiti?

Strepsiade: Mi ha consunto la malattia equina di mio figlio: è terribile, divora tutto. Ma dei tuoi due discorsi insegnami quello che non fa restituire un soldo. Qualunque sia l’onorario che esigi, lo pagherò: lo giuro sugli dèi.

Socrate: Sugli dèi? Sappi, in primo luogo, che gli dèi non sono moneta corrente tra noi.

Strepsiade: E allora, per giurare, di che vi servite?

Socrate: Vuoi conoscere chiaramente la vera natura delle cose divine?

Strepsiade: Sì, per Zeus, se è possibile.

Socrate: E conversare con le Nuvole, nostre divinità?

Strepsiade: Certamente!

Socrate: Allora su, siediti sulla sacra branda.

[Strepsiade si siede]

Socrate: Ora prendi questa corona.

Strepsiade: Perché la corona? Ohimè, Socrate, non mi vorrete sacrificare?

Socrate: Ma no: tutto questo fa parte del rituale per gli iniziati.

Strepsiade: E io che ci guadagno?

Socrate: Diventerai un oratore consumato, avveduto, smaliziato. Bisogna che il vecchio faccia devoto silenzio e ascolti la preghiera. O possente signore, incommensurabile Aere che in alto reggi la terra; e tu, fulgido Etere, e voi, venerande Nuvole che portate tuoni e fulmini, levatevi, Signore, mostratevi al pensatore, in cielo.

Strepsiade: No, ancora un momento: mi copro con questo [Si tira sulla testa il mantello]; così non prendo acqua.

Socrate: Nuvole molto venerate, venite, mostratevi a costui. Datemi ascolto: accettate il sacrificio; vi sia gradito il rito.

[Da fuori si sente il coro delle nuvole con voci profonde e preannunciate da un sottofondo musicale: l’avvio delle Nuvole di De André] [Entrano le Nuvole]

Nuvole: Alziamoci, nuvole eterne, splendenti di rugiada, togliamo la nebbia dal nostro volto immortale e guardiamo la terra! [Brontolio, con lievi rulli di tamburo]

Socrate: Oh! Nuvole! Allora avete ascoltato la mia preghiera! E tu [Rivolto a Strepsiade] hai udito il brontolio del loro tuono?

Strepsiade: Sì… Vi adoro, venerande nuvole, ma ho paura di voi, me la faccio addosso dalla paura!!! [Si sentono le nuvole eseguire una danza ritmata, tipo danza tribale; dei tamburi emettono un suono cupo e incalzante] Ma che cos’è quello che sento? Non sono forse anime defunte!?

Socrate: Ma no, sono le nuvole del cielo, e sono le più grandi divinità, che ci possono dare intelletto e arte [Le nuvole entrano, strette tra loro e continuando a danzare] Le vedi, finalmente? Sappi che esse nutrono la mente di tutti i sapienti, ossia di quei fannulloni, e però ricchi sfondati che popolano le nostre città: indovini, sedicenti terapeuti, sfaccendati con anelli e capelli lunghi, contorti musicisti, aerei imbroglioni, cartomanti e intellettuali nullafacenti che le celebrano nelle loro composizioni

Strepsiade: Saranno anche delle dee, ma a me sembrano piuttosto donne mortali, cioè, ecco, hanno delle forme che assomigliano a figure umane, col naso, la bocca e tutto il resto…

Socrate: E ti meravigli?! Non hai mai visto in cielo delle nuvole che hanno le forme di animali? E’ perché esse prendono l’aspetto che vogliono, a seconda di chi vogliono punire o prendere in giro. [Intanto si sentono le parole della canzone di De André che riguardano la somiglianza delle nuvole con gli animali]

Strepsiade: [Intimidito, ma quasi convinto, si rivolge alle Nuvole] Salute, o dee! Manifestate anche a me la vostra voce celeste!

Nuvole: Salute a te, o vecchio, e [rivolte a Socrate] e anche a te, per la fierezza con cui ti presenti!

Socrate: [Rivolto a Strepsiade e con aria da maestro] Loro sono le uniche divinità!

Strepsiade: Ma come?! E Zeus? E tutti gli altri dei non esistono più?! Per esempio … non è Zeus che fa piovere?

Socrate: Ma va’ là, ma va’ là… hai mai visto piovere senza nuvole?

Strepsiade: Giusto! Ma … e i tuoni? Anche qui Zeus non c’entra nulla?

Socrate: Certo che no. I tuoni non sono altro che il frastuono prodotto dalle nuvole, quando, spostandosi, si urtano tra loro! [Musica con tamburi]

Strepsiade: Toh! Proprio come capita al mio stomaco quando brontola, e poi scoreggio!

Nuvole: [Rivolte a Strepsiade] Ehi tu che desideri acquistare la sapienza, devi imparare a non stancarti né di star fermo, né di camminare; devi astenerti da tutto ciò che ti impedisce di usare bene la lingua e di parlare in modo convincente.

Strepsiade: Sono pronto!

Nuvole: E allora dicci: che cosa davvero ti serve?

Strepsiade: Voglio imparare l’arte che oggi pare la più redditizia: quella di saper cambiare le carte in tavola a mio vantaggio, e così, per esempio, mettere in fuga i creditori, che mi assediano! Sì, voglio diventare sfacciato e audace, scaltro, viscido e leccaculo e soprattutto capace di inventare balle. Perciò mi metto nelle vostre mani.

Nuvole: Abbi fiducia in noi: avrai ciò che desideri, diventerai famoso e te la caverai sempre. E poi tutti ti cercheranno per imparare da te a cavarsi d’impiccio negli affari e nelle cause. E grazie a queste consulenze potrai guadagnare un sacco di soldi!

[Le Nuvole si fanno pian piano da parte]

Socrate: [Avvicinandosi a Strepsiade] Allora, cominciamo! Hai capacità oratorie?

Strepsiade: Oratorie no, ma frodatorie sì!

Socrate: Ah, sì? E se, per esempio, qualcuno ti fa causa, tu che fai?

Strepsiade: Gli faccio causa a mia volta!

Socrate: Bravo! Su, ora togliti il mantello.

Strepsiade: Perché? Ho fatto qualcosa di male?

Socrate: No, ma la regola è che si entra senza.

Nuvole: [Rifacendosi un po’ avanti] Va’ ed abbi fiducia [poi una delle Nuvole si rivolge agli spettatori]: E voi fate attenzione: quando è accaduto che avete eletto qualche imbecille o qualche buffone a importanti cariche pubbliche, noi divinità ci siamo ribellate e ci siamo fatte sentire provocando crisi e disagi. Ma in realtà dipende da voi porre fine alla corruzione e agli scandali: condannate chi si è reso responsabile di furti e menzogne e infine tutto volgerà al meglio!

PRESENTATORE

Ma lasciamo il nostro Strepsiade al Pensatoio e seguiamo il suo sosia moderno, Mambretti, alle prese con i cervelloni dell’Ecostar, “The School of Modern Rhetoric” …

E(milio) Crosta: Vede, signor Mambretti, per ottimizzare le sue risorse personali e trovare nuovi appigli formativi, lei mi capisce, dobbiamo sottoporla a un test psico-attitudinale.

Mambretti: Psico-che? Un altro test? Ma ne ho appena fatto uno!

E. Crosta: Sì, ma quello era il test d’ingresso, un test di cultura generale. Che è andato malino, mi consenta.

Mambretti: Eh, sa, sono trent’anni che non vado a scuola…

E. Crosta: … e la sua memoria non è delle migliori, evidentemente.

Mambretti: Dipende: se qualcuno mi deve qualcosa, stia sicuro che me lo ricordo. E’ quando sono io a dover pagare che, povero me, soffro di amnesie…

E. Crosta: Vede, Mambretti, il problema è che qui non ci sono le basi. Se lei vuole raggiungere i suoi scopi, bisogna lavorare sull’immagine, sulle capacità oratorie…

Mambretti: Senta, io voglio soltanto imparare a difendermi dai debiti e dagli altri guai! E al diavolo la cultura generale!

E. Crosta: [Con sorrisetto tra ironico e complice] Le concedo che in molti casi la cultura può essere irritante; ma per neutralizzarla bisogna conoscerla, almeno quel tanto che basta! E lei … di grammatica non ricorda nulla. Quanto alla geometria… guardi un po’ qui!

Mambretti: Perché, che ho scritto?

E. Crosta: Qui, qui… le relazioni tra retta e circonferenza. Le si chiedeva in quale caso la retta può dirsi tangente e in che caso secante… Ma legga, legga!

Mambretti: Dunque; risposta: La retta l’ho pagata, e salata per giunta! E, di tanto in tanto, nella vita, anche qualche tangente, il che alle volte è stato un po’ seccante…

E. Crosta: [Sospirando] Lasciamo perdere, va’… cambiamo ambito… Per cominciare, che mi dice della nostra Costituzione?

Mambretti: Sana e robusta.

E. Crosta: Come, scusi?

Mambretti: Quanto a me, camperò fino a centovent’anni se le mattane di mio figlio non mi stroncheranno prima. Lei, invece, mi consenta, è un po’ sciupato sa? Ha le guance scavate…

E. Crosta: Guardi che io sto benissimo! Ma poi che c’entra, scusi? Le ho chiesto che cosa sa della Costituzione italiana! Mi citi alcuni articoli, quelli che ricorda.

Mambretti: mmh… articoli, dunque: il, la, lo, gli, le…

E. Crosta: Intendevo gli articoli della Costituzione!

Mambretti: Ah, ecco! No, perché prima mi ha detto che di grammatica non sono preparato e così…

E. Crosta: Lasci stare e mi dica quali diritti garantisce la Costituzione Italiana.

Mambretti: Tutto quello che spero è che mi garantisca il diritto di evadere il fisco, di scampare ai creditori … e di salvare la faccia. E anche il didietro. E’ per questo che sono qui!

E. Crosta: [Alzando gli occhi al cielo] Aspetti un momento. Jessica? Mi passi il dottor Tresca, per favore. Oscar? Potresti venire un attimo? [Dopo qualche secondo Tresca entra in anticamera. Crosta gli va incontro e confabulano]

O(scar) Tresca: Commendatore! Che piacere! Allora: dov’è il problema?

Mambretti: Il dottor Crosta qui dice che il test mi è andato male, ma vede, il fatto è che a me di tutte queste robe, geometria, grammatica eccetera non me ne frega niente!

O. Tresca: E cos’è che le interessa?

Mambretti: Imparare la strategia per non pagare i debiti!

O. Tresca: Eh, ma prima bisogna fare un po’ di training! Dunque, di che cosa stavate parlando?

E. Crosta: Della Costituzione!

O. Tresca: Bene, bene. Allora, vediamo… qualche piccolo esercizio di problem solving, tanto per scaldare i muscoli… Ha presente i diritti di associazione e di libera manifestazione, sanciti dalla costituzione? Si rilassi…Respiri a fondo… Immagini di essere un ministro degli interni. Si trova a dover gestire una manifestazione studentesca … scomoda. Come si comporta?

Mambretti: Gli mando la polizia che li prenda a legnate.

O. Tresca: Ma Mambretti, andiamo! E come la mette con la pubblica opinione! E con i principi costituzionali! Prima di procedere al pestaggio, deve assicurarsi il consenso popolare con delle tattiche adeguate! Eh, è qui che la voglio! Ma vedo che lei manca completamente di strategia. Noi dell’ECOSTAR siamo pronti a colmare ogni lacuna in tempi record, ma questo è un corso di prestigio, e dobbiamo mantenere il livello, gli standard, non so se mi spiego… A tutto c’è rimedio ma ovviamente, nei casi più difficili, c’è bisogno di un supplemento d’impegno da parte nostra e quindi anche da parte sua… una retta supplementare…

Mambretti: Retta supplementare? Uh, che confusione! Secante, tangente, complementare, supplementare…Ma non s’era detto di lasciar perdere la geometria?

O. Tresca: [Asciugandosi il sudore] Mambretti, facciamo dieci minuti di pausa, d’accordo? Andiamo a berci un caffè.

Mambretti: Eh sì, tanto più che mi gira la testa… Con tutta questa cultura, ho un calo di zuccheri. Compermesso… [Esce. Tresca lo accompagna]

E. Crosta: Non ho mai visto uno più cretino, incapace, duro di comprendonio! Ma come si fa! Mi viene voglia di cacciarlo fuori a pedate! Jessica? Chiamami la psicologa, per favore.

Segretaria: Pronto? Il dottor Crosta vorrebbe parlare con la dottoressa Soreta… Sì, grazie [Passa il telefono a Crosta]

E. Crosta: Ciao, Carlotta. Come stai? Eh, sì, lo so..lo so, ma cerca di capire… Sì, certo, magari domani, all’happy hour. Senti un po’, ho qui un pirla madornale che vorrei scaricare. Eh, lo so, lo so… bisogna battere il chiodo finché è caldo, ma questo qua è proprio una causa persa. Per il momento gli ho buttato lì la panzana di un test psico-attitudinale, puoi imbastirmelo tu per favore? Sì, grazie, grazie tante, eh, a buon rendere. Sei un tesoro. Ciao. Sì, certo che ti richiamo… Sì, domani… baci baci. Ciao.

[Alla segretaria]: Devo trovare il modo di liberarmene…

Segretaria: [Ricomponendogli con sensuale dolcezza il nodo della cravatta] Ma Emilio, ha già pagato e ha firmato il contratto formativo, poverino…

E. Crosta: Ah, Mambretti, dici? Veramente adesso pensavo alla Soreta. Come ciarlatana è perfetta, ma ogni volta che la chiamo mi si attacca come un’ostrica! Devo trovare un escamotage.

Mambretti: [rientrando in quel momento] Escamotage? Che cos’è? Un formaggio francese, o uno champagne? Ve la spassate eh, voi dell’ECOSTAR… ostriche ed escamotage…!

O. Tresca: Su, si sieda Mambretti, riprendiamo il nostro discorso. Dov’eravamo? Ah sì. Vediamo di mettere le cose su un piano più concreto. Più personale. Ipotesi: qualcuno la truffa. Lei che fa?

Mambretti: Gli do fuoco al culo!

E. Crosta: Eh, che diamine!

O. Tresca: E se qualcuno l’accusa di qualcosa?

Mambretti: Gli faccio causa!

E. Crosta: Va bene, va bene, ma proceda per gradi! Non è meglio prima smentire, negare il capo d’accusa?

Mambretti: E se chi mi accusa dice il vero?

O. Tresca: Ma proprio qui sta l’abilità: nel negare l’evidenza e darla a bere a tutti! Andiamo avanti: lei è accusato di frode, o di corruzione, e ci sono le prove, i documenti.

Mambretti: [Pausa di riflessione] E se do fuoco alle carte?

E. Crosta: Uh, che temperamento incendiario! Vedrà che morirà pompiere. Comunque, facciamo progressi…

O. Tresca: Procediamo oltre: le carte sono già nelle mani del giudice e lei sta per essere condannato… In questo caso, che farebbe?

Mambretti: [Risollevandosi repentinamente] Beh, si potrebbe fare una riforma del calendario, stabilire, che ne so, che fino ad ora il calcolo degli anni era sbagliato perché adesso si è scoperto che Cristo è nato prima; così si porta indietro l’anno zero, si anticipa il futuro di qualche anno, un bel po’ di scadenze giudiziarie sparirebbero dal calendario e io la farei franca…

O. Tresca: Bisogna stare parecchio in alto per fare una cosa del genere, Mambretti! O pensa di ricorrere a qualche mago?

Mambretti: Ma come? Poco fa non ero ministro degli interni?

O. Tresca: Ad interim, Mambretti, ad interim!

Mambretti: …?…Strano, pensavo che lei tenesse per il Milan! Comunque, piuttosto che finire dentro m’impicco. Così, i miei problemi sono risolti.

E. Crosta: [Sospirando] E non solo i suoi… Eh, caro Mambretti… la stoffa ci sarebbe, ma per recuperare il tempo perduto e per colmare le sue lacune, lei mi capisce… Non ci sarebbe qualcuno di sua fiducia, qualcuno più adatto, più flessibile, che potrebbe sostituirla?

O. Tresca: Magari, un figlio…

Mambretti: Eh, un figlio, ce l’ho sì. Una testa di rapa. Ma questa volta, se non viene, gliela faccio pagare. E la Ferrari, la rivendo. Cercherò di prenderlo dal lato sentimentale. Gli ricorderò il primo triciclo che gli ho comprato a Santa Lucia, quando aveva tre anni.

E. Crosta: Ma è un soggetto adatto?

Mambretti: Ha un bel fisico, da bronzo di Versace. E poi, è molto audace. Non è un pozzo di scienza, ma è il figlio di sua madre, che è la figlia di… [Si avvicina a Crosta e gli sussurra un nome all’orecchio].

E. Crosta: Beh, in questo caso…

Mambretti: Abito qua dietro, vado e torno.

Coro: Ora, è pronto a fare tutto quello che volete. Finché è tanto euforico e sconvolto, spremetelo quanto potete, ricavatene tutto il possibile: non si sa mai come vanno a finire queste cose!

Strepsiade: [Uscendo di casa con Fidippide] No, non rimarrai più qua: vattene a mangiare da tuo zio Megacle.

Fidippide: Che diamine ti prende, papà? Non ragioni, quant’è vero Zeus Olìmpio!

Strepsiade: Sentilo, sentilo: Zeus Olimpio! Che idiozia: sei grande e grosso e giuri su Zeus.

Fidippide: Che hai da ridere?

Strepsiade: Alla tua età ragioni come un vecchio rimbambito! Avvicinati, se ne vuoi sapere di più: voglio dirti una cosa che, quando la saprai, diventerai un uomo. Ma bada di non dirla a nessuno.

Fidippide: Eccomi. Allora?

Strepsiade: Vedi, come è bello farsi una cultura? Fidippide, Zeus non c’è.

Fidippide: E chi c’è, allora, al suo posto?

Strepsiade: Regnano le Nuvole: hanno cacciato Zeus.

Fidippide: Puah! Ma quali frottole vai dicendo?

Strepsiade: Ti assicuro che le cose stanno così.

Fidippide: E chi lo dice?

Strepsiade: Socrate e Cherefonte, l’esperto delle orme delle pulci.

Fidippide: E sei giunto a tal punto di pazzia da dare ascolto a quei matti?

Strepsiade: Tieni la lingua a posto, e non parlare male di uomini intelligenti, con tanto di cervello, così sobri da non tagliarsi mai la barba e da risparmiare sull’acqua del bagno; tu, invece, stai scialacquando il mio patrimonio, come se io fossi già morto. Piuttosto va’ subito a scuola al posto mio.

Fidippide: Si può imparare qualcosa di utile da quei signori?

Strepsiade: Qualcosa? Tutto lo scibile umano! Ti accorgerai quanto sia grande la tua ignoranza. Aspettami qua un momento. [Entra in casa]

Fidippide: Ahimè, mio padre sragiona; che debbo fare? Lo cito in tribunale e lo faccio interdire, o parlo della sua pazzia con i becchini?

Strepsiade: [Esce di casa portando un gallo e una gallina] Questo, come lo chiami?

Fidippide: Pollo.

Strepsiade: Bene. E questa?

Fidippide: Pollo.

Strepsiade: Tutti e due allo stesso modo? Sei ridicolo. Non dirlo più, ma d’ora in poi devi chiamare questa «polla» e questo «pollo».

Fidippide: Polla? Sono queste le finezze che hai imparato, frequentando quei senzadio?

Strepsiade: E molte altre! Ma come imparavo una cosa, immediatamente la scordavo: è la vecchiaia.

Fidippide: Per questo hai perso anche il mantello?

Strepsiade: Non l’ho perso: l’ho investito in… pensiero. Su, muoviti: andiamo. Da’ ascolto a tuo padre. Ricordo che anch’io ti ho dato ascolto un giorno: avevi sei anni, balbettavi ancora; e col primo stipendio che guadagnai da giudice, ti comprai un carrettino alla festa delle Diasie.

Fidippide: D’accordo: ma un giorno te ne pentirai.

Strepsiade: Fai bene a darmi ascolto. [Si dirige verso il Pensatoio, seguito da Fidippide] Vieni fuori, Socrate, vieni. Ti porto il mio figliolo: non ne aveva voglia, ma l’ho convinto.

Socrate: [Uscendo dal Pensatoio] Ma è ancora uno sbarbatello, non so se saprà stare appeso per aria come si usa qui.

Fidippide: Spero che appendano te, vecchio barbogio!

Strepsiade: [Mollandogli un ceffone] Che fai, imprechi contro il tuo maestro? Ti prego, Socrate, scusalo, e fagli imparare i due discorsi, il maggiore e il minore, quello che, parlando contro giustizia, ha la meglio contro il maggiore. Soprattutto a quello, al minore, ci tengo, eh! Mi raccomando!

Socrate: Imparerà direttamente dai due discorsi; io me ne vado. [Rientra nel Pensatoio] [Dal Pensatoio escono Discorso Migliore e Discorso Peggiore]

Discorso giusto: Vieni fuori, fatti vedere dagli spettatori, se hai coraggio.

Discorso ingiusto:Credi che abbia paura? Davanti a un pubblico, ti distruggo ancora meglio.

Discorso giusto:Tu? Ma chi ti credi di essere?

Discorso ingiusto: Il discorso.

Discorso giusto: Minore!

Discorso ingiusto: Ma ti batto, tu che ti credi il maggiore, con trucchi nuovi.

Discorso giusto: Ah, quelli che vanno di moda ora, per via di questi rincoglioniti…

Discorso ingiusto: Che sono furbi, invece.

Discorso giusto: Farabutto, per colpa tua i ragazzi disprezzano la scuola! Ma li farò rinsavire. Ti farò a pezzi, con l’aiuto della giustizia.

Discorso ingiusto: Ah beh, allora la finiamo qui. Basti dire che la giustizia non esiste.

Discorso giusto: Non esiste?

Discorso ingiusto: E dove starebbe, secondo te?

Discorso giusto: Presso gli dei.

Discorso ingiusto: Ah, sì. E allora perché Zeus non è stato punito per aver messo in catene suo padre?

Discorso giusto: Già mi sento male… Mi viene da vomitare.

Discorso ingiusto: Perché sei vecchio, e smidollato.

Discorso giusto: Svergognato!

Discorso ingiusto: Sono rose…

Discorso giusto: Buffone!

Discorso ingiusto: … e fiori!

Discorso giusto: Squalo!

Discorso ingiusto: Non adularmi troppo, ti prego!

Discorso giusto: Adularti? Guarda che questi sono insulti!

Discorso ingiusto: Una volta, babbione! Oggi non più: li abbiamo sdoganati!

Discorso giusto: Spudorato! [Si menano]

[Parte la sigla del programma “LA SFIDA”]

Parte la sfida

Viva la sfida

C’è chi si fida

e chi diffida

Chi si dispera

e va in galera

ma chi è vincente

lo decide la gente

Conduttrice: Ladies and Gentleman, signore e signori, benvenuti a “La Sfida!”. Vi presento subito i nostri concorrenti di stasera, il signor Maior e il signor Minor! Sono qui per mostrarci due diverse idee di educazione, che fanno a pugni l’una con l’altra, è proprio il caso di dirlo. Il giudice supremo di questa puntata è un ragazzo, giovane, simpatico e dinamico. Un applauso per Michael! Come ti senti, Michael? Un po’ emozionato?

Michael: Mbeh, sì…

Conduttrice: Qualcosa da dire ai nostri concorrenti?

Michael: Che vinca il migliore, comunque l’importante è essere qui, in questo magnifico studio!

Conduttrice: Sagge parole, bravo Michael! Ma intervistiamo il pubblico in sala, che è la nostra prima giuria popolare. Secondo Lei, signora, quale dei due ha più chance di vincere la sfida?

Signora: Mah, così a prima vista direi il signor Maior, me pare na perzona distinta, per bene… Ma poi a volte se cambia pure idea…

Conduttrice: Eh sì… E’ proprio questo il bello della Sfida. E lei?

Ragazza: Beh, il signor Minor ha un’aria più moderna, più sveglia, sembra più vicino a noi giovani..

Giovane: E chi te lo dice, scusa, che quello lì è vicino ai giovani? Io sono giovane ma, in mancanza di meglio, il signor Maior mi sembra più …

Signore giovanilista: E’ perché tu sei vecchio in anticipo, caro mio. Io c’avrò trent’anni più di te ma lo vedo a occhio nudo che quel Maior lì ha fatto il suo tempo… 10 a zero per Minor, scommettiamo?

Signora: Ma come te permetti? Credi che perché c’hai l’orecchino, er codino e er giubbotto de pelle d’esse un giovanotto? Eh, ce vole altro, ce vole…

Signore giovanilista: Io, signora mia, a differenza di lei sono giovane qua dentro e qua dentro…

Signora: Sì, sì, te sei come il tè Frifrè, bono qui e bono qui, ma scarso lì…

Conduttrice: E dopo questo zoom sul nostro pubblico, andiamo a cominciare. Che la sfida abbia inizio!

Minor: Cedo la parola al mio sfidante. Tanto ci metterò poco a smontarlo.

Conduttrice: Il signor Minor sembra molto sicuro di sé. Prego, Maior, ha la parola.

Maior: Caro Michael, non ti nasconderò la verità. Io sono per un’educazione senza sconti. Una scuola dell’impegno, della fatica, del lavoro. Una scuola della selezione e del merito. Dove contino lo studio, l’applicazione, i RISULTATI.

Minor: Uh, come sei antico!

Maior: Una volta si sudava sui libri, si facevano i dettati, i riassunti. Imparavamo Dante a memoria. Altro che teatro-scuola, olimpiadi della danza, laboratori, soggiorni studio, settimana azzurra! Altro che corsi sullo “star bene a scuola”! A scuola non si va mica per star bene, ma per FORGIARE IL CARATTERE, per farsi una CULTURA!.

Minor: Che puzza di museo!

Maior: Non interrompere! Dicevo: questa è l’educazione su cui si fonda la nostra tradizione, la nostra civiltà, la nostra morale pubblica e privata. Ma oggi la scuola è completamente svalutata. La figura dell’insegnante è addirittura esposta al pubblico ludibrio. I ragazzi credono che il mondo sia un videogioco o una soap-opera, confondono Internet con la realtà, apparire in televisione è la massima aspirazione. Dovrebbero STUDIARE invece. E TACERE, finché non avranno qualcosa di serio da dire!

Signora: Bravo! Ccià propio raggione! La gioventù de oggi è così… io vedo mia nipote, n’ignoranza che nun te dico!

Giovane: Beh, io non ce l’avrei tanto col computer, guarda Bill Gates, lui al computer ci stava giorno e notte e guarda un po’ dov’è arrivato!

Minor: Se darete retta a questo rudere, ragazzi miei, sarete dei poveretti e vi chiameranno secchioni!

Maior: Fareste bene ad ascoltarmi, invece! PERCHÉ BISOGNA PURE CHE QUALCUNO VE LO DICA CHE IL MONDO REALE È CINICO E BARO, E CHE OGNUNO DI VOI DOVRÀ COMBATTERE CON LE UNGHIE E COI DENTI NELLA LOTTA PER LA VITA! Perciò, ragazzi, le parole d’ordine sono: PREPARAZIONE e DISCIPLINA!

Giovane: Beh, è vero che oggi gli insegnanti sono poco valorizzati. Proprio ieri al telegiornale hanno detto che le ossa di un tirannosauro sono state vendute all’asta per 20 milioni di euro, dico, venti milioni di euro! Invece delle ossa della mia prof di latino non gliene frega niente a nessuno!

Ragazza: Eh, tu che parlavi di Bill Gates, guarda che mica tutti quelli che smanettano al computer poi fondano la Micro-soft!

Signore romanista: Sarebbe come di’ che tutti li regazzini che giocano al pallone vojono diventà Totti, ma nvece de Totti ce n’è uno solo…

Coretto di tifosi della Roma: Forza Roma, forza lupi! So’ tornati i tempi cupi.

Minor: Allora, hai finito? No, perché è da un po’ che aspetto di smontarti pezzo per pezzo… Tanto per cominciare: si può sapere perché ce l’hai con la televisione?

Maior: La televisione è una cattiva maestra, diseduca, anzi, educa alla passività, propina immagini distorte del reale…

Minor: Ah ah ah, … E perché ci vieni pure tu, in televisione, se fa tanto schifo?

Maior:……

Minor: Vedete, ragazzi: predica bene e razzola male, il nostro discorsetto…

Maior: Sei… sei… un crt… st..

Minor: Sì, sì, farfuglia, ti si addice… E poi te la prendi con questi poveri ragazzi se vogliono stare un po’ in vetrina, avere il loro quarto d’ora di celebrità, sentirsi qualcuno. Fanno bene, invece, e noi li incoraggiamo: abbiamo pure fondato il partito dell’Uomo Qualcuno, con ottimi risultati direi.

Conduttrice: Scusate se vi interrompo, ma devo dare il via al televoto. [Rivolta al pubblico] Da questo momento, potete inviare da casa un messaggio al numero in sovraimpressione: M maiuscolo per Maior, m minuscolo per minor. Mi raccomando, non confondete maiuscole e minuscole! Ed ora, la prima votazione del nostro pubblico in sala: paletta verde per Maior, paletta rossa per Minor. Uno, due, tre, via! In alto le palette! Ahi ahi ahi, signor Maior! Quante palette rosse! Ma non perda la speranza, c’è ancora il televoto! E la sentenza di Michael, giudice supremo! E’ proprio questo il bello della sfida!

Maior: [In un impeto di stizza] Minor, i tuoi giovani qualcunisti sono dei bulli ignoranti, credono che il congiuntivo sia una malattia degli occhi, deve venire un ex magistrato a spiegargli quello che una volta capiva ogni bambino dell’asilo, e cioè perché non si devono buttare le cartacce e le cicche nel cortile della scuola…

Minor: Ah, parli dell’educazione alla legalità! La facciamo anche noi. Ci teniamo moltissimo alla legalità. Amiamo le leggi. Ne inventiamo una al minuto! Del resto, si sa, il concetto di giustizia cambia, dipende dai tempi, dai luoghi, dalle abitudini… Ha bisogno di un lifting, ogni tanto…

Maior: T’ho capito sai, l’ho capito dove vuoi arrivare. A far diventare legale l’ingiustizia e fuori moda la giustizia. Et voilà, il tuo sporco giochetto è fatto!

Minor: Maior! Ho una notizia per te: quello che tu chiami “ingiusto” è tale solo nella tua mente polverosa. A tante altre persone invece sembra perfettamente logico e naturale. La giustizia è relativa.

Maior: Nel senso che è il frutto di compromessi, di conquiste storiche? Ma proprio per questo non dobbiamo buttare a mare i traguardi raggiunti, bensì portarli a nuovi sviluppi, attraverso il confronto, la dialettica democratica, il pubblico dibattito…

Conduttrice: Scusate, ma qui si vola troppo alto, poi va a finire che la gente da casa non capisce…

Minor: Bla bla bla, Maior, che paroloni… La mia soluzione è semplice e diretta. Il pubblico… cioè il popolo vota e poi chi vince decide cos’è giusto e cosa è ingiusto. Così si risparmiano agli spettatori… cioè, ai cittadini, inutili problemi di coscienza e sterili polemiche demagogiche…

Maior: Quindi ti va a fagiolo che i giovani, invece che interessarsi alla politica, passino il loro tempo a giocare alla play station o a chattare su Messenger o su Face book…

Minor: Ma caro il mio signor Muffa, oggi chi non chatta è escluso dalla pubblica piazza, è un solitario senza amici, senza rapporti col mondo!

Maior: Quale mondo? Reale o virtuale?

Minor: Perché, c’è differenza?

Maior: Non per quelli come te. Ma ragazzi, se stare tutto il tempo sotto i riflettori vi sembra fantastico, leggete 1984, di Orwell! Invece di guardare il Grande fratello!

Minor: E ti pareva! Gli dà l’elenco delle letture obbligatorie. Patetico! Calmati, dai, che ti aggiorno sui vantaggi. Mettiamo che ti becchino – che ne so – con una minorenne. O con un trans. O con una escort. O con una trentina. –No, non con una di Trento, con trenta escort; e ti fanno un bel filmino che va a finire su you tube . Come te la cavi? Semplice. Non hai che da tirare in ballo qualcuno dei nostri divini tomi – puoi scegliere -, e dire: ma se anche lui… perché dovrei farmi problemi io?

Maior: Altro che problemi! C’è da crepare di vergogna!…

Minor: E perché? Hai paura che ti si veda la pancetta, su you tube? O che la tua performance lasci un po’ a desiderare?

Maior: Ma insomma, anche se sei quello che sei, ammetterai persino tu che finire su Internet, in simili circostanze… è una figura di merda!

Minor: Ma caro mio, le figure di merda non esistono più. Si sono estinte, come le lucciole. Non te ne sei accorto? Guarda me, per esempio. Secondo i vecchi parametri sarei una figura di merda ambulante, un essere impresentabile eppure…non è così! Frequento il Parlamento, vengo invitato alle feste più esclusive nei palazzi istituzionali, per non parlare dei talk show in televisione. Tutti mi invidiano, tutti mi ammirano. Insomma, sono un vip.

Maior: Veramente…

Minor: Del resto, anche quel politico di tua fiducia, poi, al dunque… anche lui… la cena elettorale organizzata da quel camorrista… come si chiama? Anche quella, una bella figura di merda.

Maior: Ma ha detto che non lo conosceva… non sapeva che fosse un camorrista!

Minor: Sì, sì. Ce n’è un altro che non sapeva che il suo giardiniere non era un giardiniere… Ma vedi, quelle che tu chiami figure di …, sono sprazzi di splendore mediatico. Danno lustro al personaggio. Lo rendono più umano, più simpatico. Conosci la teoria della mosca?

Maior: No, non la conosco.

Minor: L’abbiamo elaborata all’ECOSTAR, the School of modern rethoric. Un nostro fiore all’occhiello. In sintesi: quando a disposizione c’è solo merda, ci si abitua, volenti o nolenti, alla merda. Poi, a poco a poco, si scopre che la merda non è tanto male…

Conduttrice: Mi dispiace interrompere questo confronto così interessante ma … dobbiamo andare in pubblicità!

Spot pubblicitario: Scegliete merda! Mille miliardi di mosche non possono aver torto!

Minor: Visto? La merda è trendy.

Maior: Sarà, ma io continuo a pensare che sei un farabutto.

Minor: Forse sì, del resto, chiediamo al nostro pubblico: gli avvocati, che gente sono?

Pubblico: Farabutti!

Minor: D’accordo. E i politici?

Pubblico: Farabutti!

Minor: Già! E i giornalisti?

Pubblico: Farabutti!

Minor: Ben detto! E i giudici?

Pubblico: Comunisti! Cioè: farabutti!

Minor: E’ vero! E gli insegnanti?

Pubblico: Farabutti! E fannulloni!

Minor: Visto? E quelli del pubblico, li hai guardati bene?

Maior: Mannaggia, è vero; la maggior parte sono farabutti. Quello lo conosco, e anche quello, e pure quello là, un po’ stempiato…

Minor: E allora?

Maior: Ho perso, farabutti maledetti! Aspettate, passo anch’io dalla vostra parte!

PRESENTATORE

E così Michael, al seguito di Minor, finisce all’ECOSTAR, mentre Fidippide studia al Pensatoio… Con grande maestria apprende l’arte della parola, torna dall’amato genitore e lo istruisce. E il miracolo avviene: il buon Strepsiade, alias Mambretti, ha così la meglio su tutti i suoi creditori ed euforico vuol festeggiare con il figlio, ma…

Coro: Cosa vuol dire amare le cattive azioni! Questo vecchio se ne è invaghito e non vuole restituire il denaro che ha preso in prestito. Ma oggi, è certo, capiterà qualcosa. E forse tra poco rimpiangerà di aver mandato suo figlio al Pensatoio…

[Strepsiade esce di casa, inseguito da Fidippide]

Strepsiade: Ahi, ahi! Aiutatemi in qualche modo: le sto prendendo. Ohi, me infelice: che male! [A Fidippide] Scellerato, parricida, delinquente!

Fidippide: Ripetimele queste cose, dimmene altre. Mi stai coprendo di rose!

Strepsiade: Come osi picchiare tuo padre?

Fidippide: Quant’è vero Zeus, dimostrerò che è giusto che io ti picchi.

Strepsiade: Delinquente, come può essere giusto picchiare il padre ?

Fidippide: Te lo proverò e ti vincerò con la mia parlantina. Scegli: quale dei due discorsi preferisci?

Strepsiade: Due discorsi? Quali?

Fidippide: II Migliore o il Peggiore.

Strepsiade: Per Zeus, davvero ti ho insegnato, mio caro, a parlare contro giustizia, se mi vuoi convincere che è giusto e bello che il padre sia picchiato dai figli.

Fidippide: E credo proprio che quando mi avrai ascoltato, non avrai nulla da obiettare.

Strepsiade: Va bene, voglio sentire cosa hai da dire.

Fidippide: Com’è dolce avere dimestichezza con queste intelligenti novità, e poter disprezzare le leggi vigenti. Quando solo l’equitazione occupava i miei pensieri, non ero in grado di mettere tre parole in fila. Ma ora che lui [indica la casa di Socrate] mi ha fatto perdere questi difetti e ho familiarità con opinioni, discorsi e pensieri sottili, ritengo dì poter dimostrare che è giusto punire il proprio padre.

Strepsiade: Ma tornatene all’ippica, per Zeus, che preferisco mantenere una quadriglia di cavalli piuttosto che essere riempito di botte.

Fidippide: Orbene,per prima cosa ti chiedo: quando ero bambino, me le davi?

Strepsiade: Certo: per il tuo bene.

Fidippide: Dimmi: non è giusto che anch’io mi preoccupi del tuo bene e ti picchi, dal momento che preoccuparsi del bene di uno significa picchiarlo? Perché il tuo corpo dovrebbe essere esente da botte, e il mio no? Dirai che, di norma, così si tratta un bambino; ed io potrei obiettare che i vecchi sono due volte bambini; e i vecchi debbono prenderle tanto più dei giovani quanto meno naturale è che essi sbaglino.

Strepsiade: Ma in nessuna parte del mondo la legge permette che il padre sia trattato così!

Fidippide: Beh, le leggi sono fatte dagli uomini e se ne possono fare di nuove. Ad esempio eccone una: “per l’avvenire i figli restituiscano le botte ai padri”. Per tutte le botte prese prima di questa legge facciamo un bel condono e concediamo di avercele date gratis.

Strepsiade: Se le cose stanno così, non mi picchiare: se no, un giorno te ne pentirai.

Fidippide: Come sarebbe?

Strepsiade: Come è giusto che io abbia punito te, così sarà giusto che tu punisca tuo figlio, se l’avrai.

Fidippide: Ma se non avrò figli, le avrò prese inutilmente; e tu morrai facendoti beffe di me.

Strepsiade: [Al pubblico] Miei coetanei, mi pare che dica cose giuste. Dobbiamo ragionevolmente venire a patti con costoro: è evidente che ci spetta una punizione, se non ci comportiamo secondo giustizia.

Fidippide: Vedi che ti ho convinto? Ed ora picchierò anche la mamma, così come ho picchiato te.

Strepsiade: Ma che dici? Che dici? Questo è un crimine anche più grande.

Fidippide: E che dirai se, con l’ausilio del Discorso Peggiore, ti convincerò, con opportuni argomenti, che bisogna picchiare la madre?

Strepsiade: Cosa dirò? Ma è una cosa orribile! [Al Coro] Nuvole, i guai che ora mi capitano li debbo a voi: a voi ho affidato tutte le mie faccende.

Coro: Sei stato tu a procurarti questi guai: ti sei volto a loschi affari.

Strepsiade: Perché non me l’avete detto prima, invece di illudere un povero vecchio?

Coro: Ci comportiamo così ogni qual volta ci accorgiamo che a uno piacciono le cattive azioni: lo facciamo precipitare nei guai, perché impari a temere gli dei.

Strepsiade: Ohimè, è duro, o Nuvole, ma giusto! Avrei dovuto restituire il denaro preso in prestito. [A Fidippide] Ora, carissimo, vieni con me ad accoppare quel delinquente di Cherefonte, e Socrate: sono stati loro a ingannarci.

Fidippide: Non posso fare un torto ai miei maestri.

Strepsiade: Che pazzia! Sono stato proprio un matto a ripudiare gli dei a causa di Socrate! [Si rivolge alla statua di Ermes, che è presso la porta di casa] Mio caro Ermes, non ti adirare con me, non distruggermi; perdonami: le chiacchiere mi avevano fatto uscir di senno. Consigliami tu: Che dovrei fare, secondo te? [Finge di ascoltare la statua di Ermes] Sono buoni i consigli che dai: non fargli causa, ma dare fuoco, al più presto, alla casa dei parolai. [Gridando verso casa] Santia, vieni qua fuori, vieni: prendi una scala; porta il piccone. Portami una fiaccola accesa: voglio dar fuoco al Pensatoio……

PRESENTATORE

Ma chi sono quelle due, laggiù? Una è Giuditta, la segretaria di Mambretti…

Amica: Ehi, Giuditta! Come stai? E’ un po’ che non ci si vede, eh?

Giuditta: Ciao, Nicoletta! Sapessi! Ho avuto di quei problemi…

Amica: Dai, che mi siedo qui con te, così ci beviamo un caffè e ce la raccontiamo un po’ prima di tornare in ufficio. Quali problemi…?

Giuditta: Eh, Nicoletta… forse mi puoi aiutare. Non cercano nessuno là da te? Sai, devo trovare un nuovo lavoro. Tutti i giorni spulcio la pagina degli annunci ma niente. Con questa crisi…

Amica: Un nuovo lavoro? E perché? Non stai più da Mambretti? Non dirmi che dopo trent’anni ha avuto il coraggio di licenziarti!

Giuditta: Eh, non lui, poveretto, ma il figlio… Cerca una segretaria nuova, carne fresca, hai capito? Ogni giorno davanti alla porta c’è una coda di ragazzotte in minigonna! Prima però mi ha spremuta come un limone, un sacco di straordinari non pagati perché gli facessi quadrare i conti e tutto quanto… [Si soffia il naso] Meglio che mi prepari.

Amica: Aspetta un attimo, devo essermi persa qualche puntata. Si può sapere che ne è del Mambretti? Perché adesso c’è il figlio?

Giuditta: Ma non li hai letti i giornali? Povero Mambretti! Ha speso una barca di soldi per quel disgraziato, l’ha persino iscritto all’ECOSTAR, sai, quella scuola privata famosa… E per tutto ringraziamento quello gli ha fatto causa!

Amica: Gli ha fatto causa? Il figlio al padre? Oh, madonnina santa! E perché?

Giuditta: L’ha accusato di averlo sbattuto fuori di casa, di averlo ricattato, di avergli sequestrato la Ferrari; e, alla fine, l’ha pure vinta, la causa.

Amica: Brutta storia! E il Mambretti?

Giuditta: A l’è diventà matt, l’è sciupà! Pensa che l’hanno beccato in pieno giorno che dava fuoco a quella scuola con una tanica di benzina!

Amica: All’ECOSTAR?

Giuditta: All’ECOSTAR, sì! Diceva che erano stati quelli a plagiargli il figlio. Gli ha fatto venire uno spago, a tutti quei papaveri chiusi là dentro!

Amica: E adesso?

Giuditta: L’è in una clinica per matti, in attesa del processo.

Amica: Povero Mambretti!

Giuditta: Povero Mambretti! E povera me!

Ballata del Mambretti

Povero povero Mambretti

certo era pieno di difetti

si dice: “Chi la fa l’aspetti”

e però povero Mambretti…

PRESENTATORE

Certo, si può ridere… è una commedia. Però non posso fare a meno di pensare a ciò che disse Socrate durante il suo processo: “Le accuse che oggi mi vengono mosse le abbiamo già sentite anni fa, dalla voce di Aristofane”. Per quelle accuse Socrate fu condannato a morte.

[Lettura dell’atto di accusa di Meleto:]

ἀδικεῖ Σωκράτης οὓς μὲν ἡ πόλις νομίζει θεοὺς οὐ νομίζων, ἕτερα δὲ καινὰ δαιμόνια εἰσφέρων· ἀδικεῖ δὲ καὶ τοὺς νέους διαφθείρων

Socrate: Che effetto hanno fatto su di voi i miei accusatori, cittadini, non lo so… Quanto a me, parlavano così bene che per poco non mi hanno fatto perdere la nozione di me stesso. Eppure non hanno detto praticamente un briciolo di verità. Fra tante menzogne soprattutto una mi ha sbalordito: quando vi hanno detto di star ben attenti a non farvi ingannare da me, che sarei abile parlatore. A meno che loro non chiamino abile parlatore uno che dice la verità: se è questo che intendono, potrei anche concedere di essere – ma non nella loro maniera – un retore. Non stupitevi, vi prego, se mi sentite parlare nello stesso modo in cui mi esprimo in piazza, quando converso con voi. Considerate che questa è la prima volta che compaio davanti ad un tribunale. Lasciate, quindi, da parte la forma del discorso (migliore o peggiore che sia) e concentrate la vostra attenzione solo su questo punto: se io dica cose giuste o meno. Permettetemi, cittadini, di cominciare ribattendo a tutte le false accuse che mi vengono mosse. Comincerei dagli accusatori più antichi, come Aristofane, ad esempio, che nella sua commedia rappresentava un certo Socrate che si dondolava e diceva di vagare per l’aria e cianciava di molte altre sciocchezze di cui io mi intendo poco o nulla. Sono le stesse parole degli altri accusatori: “Socrate è colpevole e impiccione in quanto esplora sia le cose sottoterra sia quelle nel cielo e rende più forte il ragionamento più debole, e ad altri insegna queste stesse cose”. Sostengono, inoltre, che mi sarei fatto pagare per il mio insegnamento. E poi: ἀδικεῖ Σωκράτης οὓς μὲν ἡ πόλις νομίζει θεοὺς οὐ νομίζων, ἕτερα δὲ καινὰ δαιμόνια εἰσφέρων· ἀδικεῖ δὲ καὶ τοὺς νέους διαφθείρων. “Socrate è colpevole di non credere negli dei in cui crede la città, di introdurre nuove divinità ed anche di corrompere i giovani.” Cittadini, quando mai mi avete visto chiedere un compenso? La mia povertà mi è testimone! In che senso ho corrotto i giovani? Forse perché ho insegnato loro a mettere in discussione le certezze loro e quelle altrui? Quali nuove divinità avrei introdotto? Forse perché ho parlato di quella specie di voce che, fin da quando ero ragazzo, si fa sentire per distogliermi dal fare quel che sto per fare. Qualcuno potrà obiettare: “E allora, Socrate, da dove sono venute fuori queste calunnie? Evidentemente qualcosa di stravagante facevi…” Già, può darsi… Forse la stravaganza sta nell’aver cercato instancabilmente di capire, nell’aver chiesto, interrogato, confutato, nell’essere andato in giro a ricordarvi che non dalle ricchezze viene la virtù, ma dalla virtù provengono le ricchezze e tutto ciò che fa bene all’uomo, sia nella sfera privata che in quella pubblica, nell’avervi impedito di restare nel torpore, nell’aver dimostrato che molti ritenevano di sapere e non sapevano e nell’aver accettato il parere dell’oracolo di Delfi (“Non c’è nessuno che sia più sapiente di Socrate”) per il semplice fatto che quel che non so neanche m’illudo di saperlo.

[Buio. Cambia la scena: un faro illumina la figura di Critone, seduto ai piedi del letto]

Socrate: [Riscuotendosi dal sonno] Critone, che ci fai qui? Si può sapere che ore sono?

Critone: E’ appena l’alba, Socrate. Ma il custode del carcere è amico mio. E non può certo lamentarsi della mancia che gli ho dato.

Socrate: Stavo facendo un così bel sogno, Critone… Ho sognato una donna: bellissima, tutta vestita di bianco… Mi si avvicinava e mi diceva: “Socrate, fra tre giorni, tu sarai nei felici campi di Ftia.”

Critone: Che strano sogno…

Socrate: Strano? A me, Critone, sembra così chiaro!

Critone: Purtroppo… Ma, mio caro Socrate, dammi retta, almeno ora, e salva te stesso; se tu muori, dove lo trovo un amico come te? E ai tuoi figli, non ci pensi? E la gente? Dirà che sei morto per colpa mia, perché, con tutti i miei soldi, non sono riuscito a tirarti fuori di qui. Non crederanno che sei stato tu a non volerlo.

Socrate: Ma, mio caro Critone, i bravi cittadini, quelli interessati alla verità, interpreteranno i fatti come vanno interpretati. Che c’importa di quello che diranno gli altri?

Critone: Importa, caro mio, importa. Quello che ti è successo dimostra che la gente è capace non solo di darti dei fastidi, ma anche di procurarti qualche guaio davvero grosso. Ci sono riusciti bene, Aristofane e quegli altri rimasti nell’ombra, a demolire la tua reputazione a forza di insinuazioni e sberleffi. La diffamazione: cosa c’è di meglio per distruggere un avversario?

Socrate: Eh, caro Critone, lo so che a una parte degli Ateniesi non sono mai piaciuto, per quel che dicevo, per come lo dicevo, per l’interesse che suscitavo…Davo fastidio. Ero come un tafano, mandato dal cielo a punzecchiare la groppa di quel bel cavallone di razza ma pigro che si chiama Atene. Non volevo che si addormentasse, Atene intendo. Ma molti non hanno gradito le mie punture…

Critone: Sì, certo. Quelli convinti d’essere il sale della terra. I giovani invece ti hanno sempre amato: insegnavi loro a non dormire, ma a porre domande, a cercare risposte, a non fidarsi delle apparenze. E così ti hanno fatto passare per corruttore dei giovani, per nemico della patria, per sovvertitore dei costumi. Eri troppo scomodo, Socrate. Ma chi fa del male ad Atene? Chi rivela le falsità e i soprusi o chi li realizza?

Socrate: Critone, Critone… magari la gente fosse capace di fare consapevolmente il male. Questo vorrebbe dire che sarebbe altrettanto capace, volendo, di fare anche il bene. Invece, non sa fare né l’uno né l’altro. Si comporta così, a casaccio, si muove di qua e di là… [Si avvicina a Critone, gli palpa un bicipite] Che muscoli, amico mio! Frequenti le palestre, eh?

Critone: Come tutti, Socrate…

Socrate: Ah sì, fai bene, bravo… bravo… E dimmi, nello scegliere gli esercizi da fare, segui l’opinione di chiunque o quella del tuo allenatore?

Critone: Quella dell’allenatore, è ovvio. Anche perché, con la mia lombaggine…

Socrate: Ma poniamo che tu, trascurando il parere del medico e dell’allenatore, seguissi i consigli degli altri, che della tua lombaggine se ne infischiano, e nemmeno se ne intendono di ginnastica, che ti accadrebbe?

Critone: [Con la schiena piegata a metà] Non oso pensarci.

Socrate: Ed è possibile vivere bene con un corpo conciato così?

Critone: [Ancora piegato e rigido]: No, certo.

Socrate: E possiamo vivere quando sia rovinato, dentro di noi, ciò che l’ingiustizia corrompe e la giustizia migliora? O dobbiamo credere che quella parte di noi, qualunque essa sia, sulla quale influiscono l’ingiustizia e la giustizia, valga meno del corpo?’

Critone: [Raddrizzandosi] O no, Socrate, vale certo di più!

Socrate: E allora, mio caro, noi non dobbiamo occuparci di quello che dirà la gente, ma dell’opinione di colui che se ne intende di giustizia e ingiustizia, di colui che è la verità stessa. Critone, ti chiedo: tutte quelle cose, sulle quali eravamo d’accordo, hanno forse perso valore in questi ultimi giorni? Il rispetto della legge, il principio secondo il quale non è lecito rispondere a un’ingiustizia con un’altra ingiustizia, erano forse bambinate?

Critone: No certo Socrate, non mi pare…

Socrate: Resta vero, dunque, che non è lecito rispondere a un’ingiustizia con un’altra ingiustizia, né far del male a nessuno, qualunque torto si sia ricevuto. Eh no, Critone, non dirmi subito di sì, così, a buon mercato. Non accettare queste conclusioni senza essertene ben persuaso, perché esse sono e saranno sempre ritenute giuste solo da pochi.

E adesso: supponi che, mentre tu qui cerchi di convincermi a scappare da Atene e a sottrarmi alla sentenza, vengano da noi le Leggi della città. Che cosa credi che ci direbbero?

Leggi: Erano questi i nostri patti, Socrate? Vuoi scappare così? Vuoi sottrarti a noi che ti abbiamo allevato, educato, che ti abbiamo insegnato a distinguere il bene dal male? Che eravamo presenti al matrimonio dei tuoi genitori? Che ti abbiamo fatto crescere sicuro e libero nella tua città? Che ti abbiamo permesso di prendere parte alle decisioni comuni?

Socrate: Veramente, stavo appunto spiegando a Critone che non posso davvero…

Leggi: Non ti eri impegnato a rispettare le sentenze che la tua patria avrebbe emesso? Che cos’hai da rimproverarci? Non sai che con la tua fuga ci renderesti vane e inconsistenti come le nuvole?

Socrate: Non vi rimprovero nulla. So di dovervi molto.

Leggi: Doverci molto? Sei nostro figlio, figlio di questa patria e della sua costituzione. Ma nessuno ti aveva obbligato a impegnarti nei nostri confronti. Potevi andartene a vivere lontano da noi, senza godere dei nostri benefici, se non volevi gli inconvenienti dell’obbedienza.

Socrate: Critone, cosa potrei replicare a costoro?

Critone: [Scuote la testa]

Leggi: Pensi che se andrai esule a Megara o a Tebe sarai ben accolto o invece trattato con diffidenza, come un nemico delle loro leggi, tu che avresti disprezzato quelle della tua città? O forse mediti di fuggire in posti senza legge, dove non c’è onestà ma solo il diritto del più forte?

Socrate: In simili luoghi, non varrebbe la pena di vivere. Sei d’accordo, Critone?

Critone: Oh sì, Socrate, l’ho capito. Vivere non basta, quel che conta è vivere bene, cioè secondo giustizia.

Socrate: [Rivolto agli spettatori]: Giudici, io credo che ad un uomo buono non può capitare alcun male né in vita né quando muore. Per questo non me la prendo con chi mi condanna e neppure con i miei accusatori. Tuttavia ho una supplica da rivolgere a tutti i cittadini: quando siano cresciuti, vendicatevi sui miei figli, dando loro lo stesso fastidio che io davo a voi, se vi sembrerà che si curino della ricchezza o di qualsiasi altra cosa più che della virtù, e se crederanno di valere qualcosa senza valere nulla. Se così farete avrò avuto da voi – io con i miei figli – quel che è giusto. Ma è giunta ormai l’ora di andare, io a morire, voi a vivere: chi di noi vada verso una sorte migliore, è oscuro a tutti tranne che al dio.