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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 14

 aprile 2017

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Paolo Buzi

Fillide e Aristotele: breve storia di un dressage altamente educativo

Opere grafiche realizzate in matita, pastello terra rossa, acrilico ocra rosso, penna di china 0.1 su carte in puro cotone Fabriano e Canson di cm 65×50

C’è in arte un patrimonio imponente che riguarda Fillide e Aristotele, tra affreschi, olii, disegni, incisioni, sculture litiche, lignee, fusioni.

È una scenetta giocosa, apparentemente leggera, ma d’influenza potente, se è stata capace di andare oltre la licenziosità rassicurante di castelli e palazzi e a trotto cadenzato entrare in casa di Dio, come di fatto avvenne l’anno 1460 nella chiesa di San Marcellino in Chianti.

Certo, la zona potrebbe averli facilitati…

Insomma, penso che non meno di Marilyn, Fillide appartenga al regno dell’iconografia femminile e che abbia una sua suite in qualche Pantheon parallelo, dove accadono cose che a noi mortali non è dato vedere, ma immaginare sì, con abbondanza di particolari.

Come avrei potuto ignorare un argomento tanto accattivante, tanto suadente, soprattutto come artista e specialmente oggi, nell’era di internet, dentro il cui calderone è così facile rovesciare alla rinfusa ogni bendidìo e renderlo rintracciabile con l’uso strategico degli hashtag? Ho pensato che se non mi fossi conquistato un posto nella ristretta cerchia degli iconografi di Fillide non sarei mai entrato a fare parte della sua scuderia. Avrei perso davvero qualcosa.

Dobbiamo molto a Henri d’Andeli, anzi no, a Henri de Valenciennes, e una volta per tutte fidiamoci di quest’ultima attribuzione, perché non accada ad un altro poeta di frammentarsi in tanti piccoli aedi come fu per l’immenso e sparpagliato Omero. Fillide abita da sempre l’immaginario erotico maschile, ma è certo che quella del Valenciennes possegga un’arma di seduzione in più, così soavemente letale da far tremare sulle ginocchia un pilastro portante di quella impalcatura che tuttora sorregge l’intero sapere di matrice virile.

La sua Fillide, forte d’una bellezza indo normanna, già di per sé piuttosto singolare, nella lega del morso fonde astuzia e senno, dove per senno credo che si debba intendere la pura intelligenza, non certo la saggezza che si raggiunge nell’età vetusta, come la sua cavalcatura per l’appunto, né l’assennatezza, anche questa frutto dell’esperienza che presto o tardi ci rende prudenti.

Immagino Aristotele provare piacere per quella pubblica, ma pur sempre erotica umiliazione e immagino nel contempo una bella voce interiore, una voce femminile che abbia il timbro di Fillide, incalzarlo dicendogli: adesso lo senti, vecchio, come vacilla la tua episteme?

L’episteme. Quanto “senno di Fillide” è andato perso nel corso evolutivo della cultura maschile? È una domanda che ci porrebbe la stessa Fillide, se fosse vera e fosse qui e leggesse di sé. E se poi le accadesse di leggere il passo in cui Reinhard Brandt, nel suo libro Filosofia nella Pittura al capitolo dedicato a lei, parla di rovesciamento dell’ordine, lo strangolerebbe con le sue mani: « Ma di che ordine blatera costui?».

Era quell’idea del sotto e del sopra, normalmente alternabile con soddisfazione reciproca , che fu invece la causa del primo divorzio per così dire “documentato” nella storia dell’umanità, quello tra Adamo e Lilith.

Vorrei fare sapere a Fillide, un pochino anche per propiziazione, che se dovessi sintetizzare in pochi tratti la parte migliore della cultura maschile sceglierei proprio la filosofia e la chiuderei tra due parentesi tonde che abbraccino gli ultimi duemilacinquecento anni della nostra storia.

Apre Eraclito: la guerra è madre di tutte le cose. Chiude Emmanuel Lévinas: l’essere si rivela al pensiero filosofico come guerra. E in mezzo non c’è che guerra.

Imbrigliando, sia pure per breve tempo, un tempio della cultura maschile, Fillide umilia la guerra, è una metafora vivente che si offre all’amante confuso e divertito per dirgli: quando è la forza a sconfiggerti vieni ridotto in schiavitù, quando lasci che sia la grazia a sottometterti, non trovi altro che pace e gioia. Una lezione che Alessandro non ha saputo cogliere e che Aristotele non avrebbe saputo dare. Non si cava sangue dalle rape.

Sicché a Fillide non resta altra soddisfazione che portarsi a spasso il più grande filosofo trotterellante di tutti i tempi. «Al passo, vecchio! Ora al galoppo! Adesso esegui una bella “appoggiata”! Tu preparerai Alessandro al governo di un impero troppo grande anche per i nostri Dei, nel nome di quel sapere lui sarà spinto a conquistare altre terre e a soggiogare altri popoli, intanto però trotti sotto di me, ti sbucci le ginocchia e fai quello che dico. Perché rinunciare alla speranza che tu, addirittura tu, così traboccante di scienza e così superbo fino a pochi istanti fa, possa ora imparare qualche cosa di nuovo e di unico da trasmettere al mio amato? Chissà, magari con qualche altra oretta di dressage riuscirai persino a fargli vedere le cose dalla parte del cavallo senza ricorrere ad Antistene, e nemmeno alla tua infallibile logica deduttiva; sono certa che saprai farti bastare la conoscenza empirica».

Traccia autobiografica

Sono cremonese di nascita e bresciano d’adozione, secondogenito di un ufficiale dell’esercito e di una professoressa di educazione artistica, tutt’e due usciti dall’accademia di Parma, lui da quella militare e lei da quella d’arte. Subito dopo il primo è andato in guerra e l’altra a Bologna a fare architettura.

Disegno da quand’ero piccolo, dall’età di tre anni nel mio primo ricordo, e non ho più smesso. Però amavo le Lettere, così ho fatto il Classico, tanto l’accademia ce l’avevo in casa.

In seguito ho frequentato il Dams a Bologna e nella stessa città lo studio di Giuseppe Regazzi, che aveva fondato e diretto una propria accademia d’arte e del quale, poche decine d’anni prima, mia madre era stata assistente. Alla morte del maestro ho lasciato Bologna e l’università.

Ho avuto la prima mostra personale a diciassette anni. Era il 1970. Ricordo che in quell’occasione vendetti il mio primo lavoro, s’intitolava Testa di pietra anche se non era una scultura e l’avevo fatto in terza media.

Da allora ad oggi ho tenuto una sessantina di mostre personali e partecipato ad altrettante collettive tra Italia, Germania, Austria, New York. Spero di farne ancora, naturalmente. Non fosse altro che per una questione di cura nell’allestimento, perché su quello sono sempre stato un po’ pignolo, ci terrei a seguire anche le mie postume, ma non sono molto sicuro di farcela.