Scartabellando un cinereo giorno di novembre nell’archivio cittadino di Feltre, chi scrive s’imbatté in un volume stampato a Venezia nel 1539 di pregevole fattura. Vi si trova in una miscellanea, fra gli altri, di cui qui non mette conto far menzione, questo breve scritto, che qui di seguito si pubblica.
Quale autore viene indicato Melmozzo Secondo da Pisa, vissuto a cavallo fra il Due e il Trecento, figlio di Truffaldesco da Pisa, Protonotario della Repubblica negli anni in cui la lotta fra Ghibellini e Guelfi incendiava l’Italia, finito malamente per via di certe somme scomparse dal tesoro cittadino, e nipote di quel Volfango Amedeo da Melma, nato a San Gimignano e vissuto prima a Pisa, ove fu autore di versi “faceti et argutissimi”, passato poi alla corte del soldano di Bagdad, dove per oltre un decennio cantò le lodi delle dame dell’harem. La sua carriera finì bruscamente e in modo tragico, quando si scoprì che, pur percependo dal soldano un appannaggio lautissimo, s’era lasciato indurre da un’azienda patria a tessere l’elogio del suo prodotto di punta, il vin Tavernello.
Tutt’altra esistenza, esteriormente ben più serena, condusse il figlio di costui, l’autore del testo in questione. Giovanissimo s’era fatto Canonico Regolare alla Collegiata di Fierozzo, ed ivi e tale rimase per il resto dei suoi giorni. Tenne per moltissimi anni pure cattedra nella locale Università, scomparsa poi nel Quattrocento ed oggi quasi del tutto coperta d’oblio, allora invero, se non fiorente, almeno operosa.
Melmozzo si dedicava all’insegnamento con assiduità ed impegno, con una particolarità però: non scriveva, e quasi non parlava. Non per questo i Colleghi e gli studenti lo amavano di meno, ed era parimenti apprezzato e temuto il suo giudizio – cosa assai rara – sia dai teologhi, sia dai loici: era solito esprimere consentimento annuendo lievemente, e dissenso, scuotendo il capo con tanta leggiadria, da meritare l’assenso e il rispetto d’entrambi. Questa vita beata e serena fluì per decenni, finché il suo pacifico corso fu bruscamente interrotto da un portento straordinario il 31 novembre dell’anno di grazia 1327, festa di San Fetidiano martire, un mercoledì.
Era solito Melmozzo dir Messa, di primo mattino, al secondo altare di sinistra della Collegiata, votato a Santa Stupiduzza, di cui era particolarmente devoto. Così avvenne anche quel giorno: lo assisteva, come di consueto, il fedele suo chierichetto Tussilone. Subito dopo l’offertorio l’officiante cadde dall’altare, in preda ad una visione, dalla quale si riebbe solo dopo lunghe ed amorevoli cure dei confratelli che, per risvegliarlo da uno stato preoccupante di catalessi, gli versarono addosso secchiate e secchiate d’acqua gelida, fresca di fonte. Risvegliatosi dopo mezz’ora, non profferì parola per tre giorni, cosa che, considerando le sue abitudini, non diede pensiero a nessuno.
Il quarto giorno chiamò con un cenno il fido Tussilone e gli disse: “Sappi, o mio giovine amico, che il Signore ha voluto farmi grazia ed aprire gli occhi a questo indegno suo servo. Rispetto a ciò che per rivelazione divina ho visto il giorno di San Fetidiano, tutto ciò che in vita mia ho taciuto con tanto rigore è paglia vuota. D’ora in poi non tacerò più nulla, dacché nulla esiste a questo mondo, che meriti d’esser taciuto”.
Fu l’inizio di una logorrea? No, parlare, Melmozzo non parlava, ma si mise a scrivere. Non sulla pergamena, ma con chiodi rugginiti su certe tavolette d’argilla, che lui stesso s’era fabbricato e aveva ricoperto di cera.
Cominciò piano e fu lentissimo, due – tre righe al giorno, non di più. E spesso correggeva, cancellava, rifaceva. I testi che ne sortirono furono brevi e, poiché gli rimanevano da vivere solo poco più di due anni, pochi. Non li diede mai a leggere ad altri che a Tussilone e, se ne è rimasto qualcuno, lo dobbiamo soltanto a costui. Ebbero qualche diffusione molti decenni dopo, all’inizio del Cinquecento, specie negli ambienti anabattisti tedeschi ed olandesi, conobbero anche alcune traduzioni in italiano, ma il volger del pensiero filosofico non ne fu sfiorato mai.
La versione veneziana del 1539 del Dialogo fra Melmozzo e Truffaldo sovra il codrignaro e la ghiura che qui si presenta è una traduzione d’autore anonimo; l’originale latino probabilmente è andato perso per sempre, ricostruirlo oltre che impossibile pare di scarsa utilità. Del contenuto nulla dirò: saranno gli stessi lettori a farsene un giudizio e a trovare una soluzione del giochetto logico.
In appendice si dà pure una moderna traduzione in tedesco, di pregevole fattura.
Melmozzo, discipulo ossequientissimo chiede a Truffaldo, Maestro di dialettica: “Che cosa, di grazia, avviene se il cuspildo moltrisce nel codrignaro lummico?”
Truffaldo: “In tal caso o il naspignuzzo oppure lo spivolnardo sfaligna la ghiura alla smingella norrotica, ma solo se a sfalignare la ghiura alla smingella norrotica è anche il molmacchio.”
Melmozzo: “E se a sfalignare la ghiura alla smingella norrotica è invece il mutrocchio?”
Truffaldo: “Allora fa ciò anche il vaspilgro.”
Melmozzo: “E che cosa succede, se il cuspildo sfaligna la ghiura alla smingella norrotica?”
Truffaldo: “Allora fa la stessa cosa sì anche il naspignuzzo, però in tal caso il lambrittaro moltrisce nel codrignaro lummico.”
Melmozzo: “Se poi il lambrittaro fa esattamente la stessa cosa che fa lo spivolnardo?”
Truffaldo: “Allora tocca al vaspilgro moltrire nel codrignaro lummico”.
Melmozzo: “E se per caso fosse il mutrocchio a moltrire nel codrignaro lummico?”
Truffaldo: “Allora il naspignuzzo sfalignerebbe la ghiura alla smingella norrotica.”
Melmozzo “E se il vaspilgro sfaligna la ghiura alla smingella norrotica?”
Truffaldo: “Allora fa ciò anche o il cuspildo oppure il molmacchio.”
Melmozzo: “Che cosa farebbe il lambrittaro, se il cuspildo non sfalignasse la ghiura alla smingella norrotica?”
Truffaldo: “Moltrirebbe nel codrignaro lummico.”
Melmozzo: “Se invece il naspignuzzo sfaligna la ghiura alla smingella norrotica?”
Truffaldo: “Allora fa la stessa cosa anche il vaspilgro, invece il mutrocchio in tal caso moltrisce nel codrignaro lummico.”
Melmozzo: “E se il mutrocchio e il molmacchio sfalignano ambedue la ghiura alla smingella norrotica?”
Truffaldo: “Allora è lo spivolnardo a moltrire nel codrignaro lummico”.
Ciascheduno fa esattamente una delle due cose; chi fa che cosa?
Dorkenseubel fragt Fliebenstreuk: “Was ist, wenn der Gembenkraps im lummigen Hüntenflonk minkelt?”
Fliebenstreuk: “Dann urdelt, sofern der Effenwürdser die Ulfendonse am källigen Zubeldüffchen urdelt, entweder der Roffenprinser oder der Bantenkreuker die Ulfendonse am källigen Zubeldüffchen.”
Dorkenseubel: “Und wenn der Wischbenlakner die Ulfendonse am källigen Zubeldüffchen urdelt?”
Fliebenstreuk: “Dann tut dies auch der Trogenwurks.”
DorkenseubeI: “Was aber, wenn der Gembenkraps die Ulfendonse am källigen Zubeldüffchen urdelt?”
Fliebenstreuk: “Dann tut dies zwar auch der Roffenprinser, doch minkelt dann der Nolwenhieber im lummigen Hüntenflonk.”
Dorkenseubel: “Wenn nun der Nolwenhieber dasselbe tut wie der Bantenkreuker?” Fliebenstreuk: “Dann minkelt der Trogenwurks im lummigen Hüntenflonk”.
Dorkenseubel: “Falls der Wischbenlakner im lummigen Hüntenflonk minkelt?”
Fliebenstreuk: “Dann urdelt der Roffenprinser die Ulfendonse am källigen Zubeldüffchen.” Dorkenseubel “Und wenn der Trogenwurks die Ulfendonse am källigen Zubeldüffchen urdelt?”
Fliebenstreuk: “Dann tut dies auch entweder der Gembenkraps oder der Effenwürdser.”
Dorkenseubel: “Was täte der Nolwenhieber, wenn der Gembenkraps nicht die Ulfendonse am källigen Zubeldüffchen urdelte?”
Fliebenstreuk: “Er würde im lummigen Hüntenflonk minkeln.”
Dorkenseubel: “Wenn der Roffenprinser die Ulfendonse am källigen Zubeldüffchen urdelt?”
Fliebenstreuk: “Dann tut dies auch der Trogenwurks, doch der Wischbenlakner minkelt in dem Fall im lummigen Hüntenflonk,”
Dorkenseubel: “Und falls Wischbenlakner und Effenwürdser die Ulfendonse am källigen Zubeldüffchen urdeln?”
Fliebenstreuk: “Dann minkelt der Bantenkreuker im lummigen Hüntenflonk.”
Jeder tut genau eines von beiden; wer tut was?
Dorkenseubel Melmozzo
Fliebenstreuk Truffaldo
der Gembenkraps il cuspildo
der Effenwürdser il molmacchio
der Roffenprinser il naspignuzzo
der Bantenkreuker lo scivolnardo
der Wischbenlakner il mutrocchio
der Trogenwurks il vaspilgro
der Nolwenhieber il lambrittaro
der Hüntenflonk il codrignaro
die Ulfendonse la ghiura
das Zubeldüffchen la smingella
minkeln moltrire
urdeln sfalignare
källig norrotico
lummig lummico