[Roberto Gigliucci, Comici suicidi, in “Intersezioni”, 1/2011, pp. 113-125, Il Mulino]
Una lunga citazione di Thomas Bernhard apre l’articolo:
La tragedia non è sempre tragica, non viene sempre vissuta come tragedia, benché si tratti sempre di una tragedia […] Nessuna tragedia sconvolge il mondo. Nulla è tragico. Il ridicolo è infinitamente più potente di ogni altra cosa. Dentro il ridicolo vi sono tragedie in cui ci si addentra senza essere muniti di una lampada come dentro a una buia miniera. Nel ridicolo c’è la disperazione.
(Frost, 1963, trad.it. Gelo, Einaudi, Torino 2008, p. 289)
L’autore colloca Bernhard nella tradizione del theatrum mundi che gioca sulla mescolanza della commedia con la tragedia e che individua nella dimensione teatrale la possibile compresenza di opposti. Nel secondo romanzo di Bernhard, Verstörung, del 1967 (trad.it. Perturbamento, Adelphi, Milano 1981) si racconta l’impossibile e cioè l’insinuarsi di elementi comico grotteschi nel racconto di un suicidio. Un esempio fra tutti: «Schopenhauer è sempre stato per me il nutrimento migliore» aveva scritto il suicida prima di morire; e di conseguenza si era mangiato alcune pagine tratte dal Mondo come volontà e rappresentazione.
Può darsi dunque una raffigurazione comica del suicidio?
L’analisi prosegue con il richiamo alla tradizione aristotelica, secondo la quale non sarebbe possibile inserire nel comico elementi di disturbante dolorosità. L’autore riesce a isolare esempi di suicidio comico nel «pluriverso» barocco, nell’ambito del melodramma e della commedia dell’arte. Il percorso si conclude con un richiamo a Unamumo e al suo saggio intitolato Malhumorismo, uscito in rivista nel 1910 (M. de Unamumo, Obras completas, t. IV, Afrodisio Aguado, Madrid 1960, pp. 616-624). Il mal umorismo si distingue dall’ironia greca e francese «troppo sottile ed estranea a chi è indignato, perciò aggressivo, diremmo noi melanconico». La condizione di infermità è l’unica che permette «la visione della realtà senza auto-inganni e la consapevolezza della morte. L’infermo mal umorista è l’uomo più sensibile, più intelligente, e quindi il più soggetto a provare disgusti, subire offese, esplodere in indignazione, sentire lo stomaco rivoltarsi».
Per informazioni sull’autore e sulla sua attività di ricerca si segnala il sito:
http://www.disp.let.uniroma1.it/contents/SchedaDocente.aspx?idDocente=26