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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 02

 aprile 2011

Saggi e rassegne

Rosanna Oliveri

Gatto vivo, gatto morto

Quando si parla di fisica, di chimica e di matematica si definiscono queste scienze come “esatte”, ma siamo proprio sicuri che esse conducano a risultati certi, evidenti e soprattutto condivisi da tutti? Ovviamente si tratta di una domanda retorica, tutti sappiamo, o abbiamo almeno sentito dire, che i risultati di ricerche scientifiche fanno spesso discutere all’interno della comunità scientifica.

Fu il caso della tanto controversa teoria quantistica.

Citiamo qui alcuni episodi che segnarono questo dibattito. Uno per tutti è quello del famoso paradosso del gatto di Schrödinger, esperimento mentale, con cui il suddetto fisico intendeva mettere in ridicolo le conseguenze dell’interpretazione di Copenaghen che riguardava la meccanica quantistica, ma che finì soltanto per ampliare il dibattito e la  diffusione della stessa.

Ma andiamo per ordine e prendiamo in esame l’interpretazione di Copenaghen, la quale è chiamata così perché si ispira ai lavori svolti proprio in questa città da Niels Bohr e Werner Heisenberg alla fine degli anni Trenta del secolo scorso, anche se venne formulata con maggior precisione solo negli anni Cinquanta.

La questione riguardava ancora una volta la scottante questione della complementarietà e della dualità onda-corpuscolo. Il fatto che una particella si comportasse contemporaneamente, ovvero nell’ambito della stessa teoria, sia come un corpuscolo che come un’onda, lasciava la comunità scientifica molta perplessa e la cosa richiedeva più di un approfondimento. Questa contemporaneità è da intendersi, come specificato sopra, come comportamento valido all’interno della stessa teoria e non certo nel senso della procedura sperimentale, poiché da questo punto di vista o si rilevano caratteristiche ondulatorie o quelle particellari, mai entrambe.

Per fare un po’ di luce sulla questione Bohr e Heisenberg vollero dare un’interessante interpretazione dell’allora già molto noto esperimento detto della doppia fenditura, in cui un fascio di luce attraversava uno schermo sul quale era stata praticata appunto una doppia fenditura. Come primo risultato si ottenne che su una piastra di fronte allo schermo si verificarono bande alterne di colore chiaro e colore scuro. Ciò venne interpretato, come già era successo a partire dall’Ottocento grazie a Young e Fresnel, come il risultato di zone in cui le onde luminose interferiscono in modo costruttivo oppure distruttivo e pertanto come un argomento a favore dell’interpretazione ondulatoria della natura della luce.

Ma la cosa non finiva qui, poiché in altre occasioni la luce avevano presentato caratteristiche tipiche della natura dei corpuscoli, tanto che, anche se ripetiamo lo stesso esperimento della schermo con la doppia fenditura con un solo fotone, si ripeterà lo stesso risultato sullo schermo posto di fronte, come se si trattasse di un’onda, mentre sappiamo che si tratta di una solo e unica particella.

La conclusione logica a cui arrivarono i due fisici è che si dovesse ammettere una duplice natura delle particelle, appunto corpuscolare e ondulatoria.

Un’altra conclusione, ancora più sconvolgente, a cui si arrivò attraverso questi studi fu che la meccanica quantistica potesse stabilire solo in maniera probabilistica il punto in cui una singola particella colpirà lo schermo e dove questo corpuscolo, o meglio onda-corpuscolo, andrà a finire. Il probabilismo della teoria quantistica inoltre sarebbe irriducibile, nel senso che non riflette la mancanza di conoscenza da parte nostra di una data variabile nascosta. In parole povere, non possiamo sperare che, conoscendo tutte le variabili, un risultato probabilistico concernente la meccanica quantistica possa tramutarsi in un risultato chiaro e tondo di natura deterministica.

Dobbiamo aggiungere che, in base alla teoria quantistica, questa incertezza, questo probabilismo non vale solo per la luce, ma anche per le particelle di materia, come atomi, elettroni… le quali, in condizioni opportune, mostrano proprietà ondulatoria. Le particelle subatomiche sono pertanto regolate da leggi della probabilità, al contrario di ciò che avveniva per la fisica classica dove il determinismo dominava la natura.

Un ruolo molto importante lo riveste anche l’osservatore. Non solo per il fatto che, essendo di natura probabilistica, i risultati degli esperimenti di meccanica quantistica non saranno chiari fino a quando qualcuno non li osserverà, ma anche perché questi studi dimostravano che l’osservatore interferiva sul processo fisico. Soltanto la scelta dell’apparato di misura decide se osserviamo un’onda o una particella.

Contro questa chiave di lettura della fisica quantistica si schierarono numerosi fisici, di cui forse il più famoso e popolare fu Einstein, il quale affermò che la cosa era assurda e improbabile e liquidò la questione con la famosa frase “Dio non gioca a dadi con il mondo” e riguardo al ruolo dell’osservatore disse: “credi davvero che la Luna non sia li se non la guardi?”

Il più accanito oppositore di l’interpretazione di Copenaghen fu, come dicevamo, Schrödinger, il quale per smontarla fece l’esempio del paradosso del gatto che riportiamo dalle sue stesse parole:

Si possono anche costruire casi del tutto burleschi. Si rinchiuda un gatto in una scatola d’acciaio insieme con la seguente macchina infernale (che occorre proteggere dalla possibilità d’essere afferrata direttamente dal gatto): in un contatore Geiger si trova una minuscola porzione di sostanza radioattiva, così poca che nel corso di un’ora forse uno dei suoi atomi si disintegra, ma anche in modo parimenti verosimile nessuno; se ciò succede, allora il contatore lo segnala e aziona un relais di un martelletto che rompe una fiala con del cianuro. Dopo avere lasciato indisturbato questo intero sistema per un’ora, si direbbe che il gatto e ancora vivo se nel frattempo nessun atomo si fosse disintegrato. La prima disintegrazione atomica lo avrebbe avvelenato. La funzione Ψ dell’intero sistema porta ad affermare che in essa il gatto vivo e il gatto morto non sono stati puri, ma miscelati con uguale peso (SCHRÖDINGER 1835, p. 812).

Fintanto che l’atomo non si disintegra, il gatto è sicuramente vivo, ma se l’atomo decade, questo metterà in moto il marchingegno e addio povero gatto! Ma tutto questo dipende unicamente dalla natura dell’atomo prescelto e pertanto è di natura probabilistica, onde per cui finché non si apre la scatola il povero gatto è sia vivo che morto. Seguendo l’interpretazione ontologica di Heisenberg e Bohr, il nostro micio si trova in una sovrapposizione di stati e l’atto di osservazione, non ammettendo una sovrapposizione dei due stati, lo fa collassare in uno dei due stati “classici”.

Il paradosso è proprio questo, ovvero che, se non guardiamo direttamente il gatto aprendo la scatola, dovremmo descrivere l’animale sia come vivo che come morto. Lo scopo di questa storiella era di mettere in ridicolo le conseguenze a cui erano giunti Heisenberg e Bohr, descrivendo come “assurde”, come ebbe modo più volte di dire egli stesso, le conseguenze a cui questa interpretazione porterebbe.

L’esperimento del gatto di Schrödinger, per fortuna del suo povero gatto innocente, non è mai stato fatto. La fisica contemporanea si è cimentata spesso nel tentativo di risolvere questo enigma anche grazie all’introduzione di un contatore Geiger, che però non permette di superare del tutto il problema.

Il fatto strano, quasi comico, fu il destino di questo paradosso, che prese una strada completamente diversa da quella che aveva immaginato Schrödinger, che voleva mostrare quanto assurde fossero, a suo dire, le conclusioni a cui si arrivava seguendo l’interpretazione di Copenaghen. Secondo la sua opinione, chiunque, messo di fronte a queste conclusioni paradossale e assurde, come ebbe a dire più volte, si sarebbe subito convinto nell’inconsistenza di questa teoria.

Il destino del paradosso, invece, fu tutto un altro.

Nato per contestare l’interpretazione probabilistica e dualistica della meccanica quantistica, il paradosso del gatto di Schrödinger diventò successivamente uno degli esempi più noti per mettere in luce le implicazioni filosofiche e misteriose della fisica quantistica, come se lo scopo del fisico fosse quello di mostrare nuove vie di riflessione, e divenne così spesso il punto di partenza per approfondimenti filosofici dati da conseguenze che lui voleva mettere in ridicolo. Quando si dice ironia della sorte!

Il paradosso del gatto non mise affatto tutti d’accordo, infatti, nel corso di una sua conferenza del 1952 dal titolo L’immagine attuale della materia, tenuta dallo stesso Schrödinger, a 17 anni di distanza dalla pubblicazione del paradosso, la questione tornò alla ribalta. In questa occasione affermò che la materia in quel momento storico si poteva definire “vacillante e malsicura” e che all’epoca dei fatti non esisteva un’immagine oggettiva della realtà. Il fisico, noto per la sua equazione, arrivò ad affermare che l’immagine della materia che doveva costruire non esistesse affatto in quel momento e che esistevano tutt’al più frammenti con un valore di verità solamente parziale.

Ciò che traspare dalle parole del noto fisico è una completa insicurezza e un senso di impotenza.

La materia appare ambivalente, da una parte viene descritta come un’insieme di atomi e di particelle, dove ogni unità ha un suo ruolo e soprattutto una propria individualità, e dall’altra abbiamo il concetto di campo, dove non si parla più di una particella che provoca un effetto, ma di un tutt’uno, di un’intera regione di spazio, di un campo, che agisce attraverso delle onde, esercitando una forza in un punto non definito. “L’opinione oggi più accertata è piuttosto che tutto, assolutamente tutto, è a un tempo particella e campo. Tutto ha nello stesso tempo la struttura continua, ben conosciuta, del campo, come anche la struttura discreta, ben conosciuta, della particella.” (HEISENBERG 2002, p. 41).

Fin qui Schrödinger sembrava essere d’accordo con la maggioranza dei suoi colleghi, ma successivamente, nel corso della stessa conferenza affermò: “Ma adesso ci sentiamo come cadere un velo dagli occhi: i nostri vecchi, cari atomi, le nostre particelle sono dei quanti di energia di Planck. Quei quanti sono portati da altri quanti. C’è da avere il capogiro” (HEISENBERG 2002, p. 45).

Per Schrödinger per risolvere l’arcano dobbiamo deciderci una volta per tutte e scegliere tra il concetto di particella e quello di onda e la scelta, a suo dire, non può non ricadere sulla seconda.

In base al principio di Heisenberg, infatti, non potendo stabilire con certezza la posizione e la velocità di una particella subatomica, non possiamo sapere se il corpuscolo che stiamo analizzando è lo stesso che avevamo analizzato poco prima, pertanto Schrödinger afferma: “Abbiamo detto che un corpuscolo non ha individualità. In realtà non si osserva mai la stessa particella una seconda volta, proprio come Eraclito diceva del fiume” (HEISENBERG 2002, pp. 53-54). Per quanto riguarda le onde, invece, a dire del nostro fisico, sarebbe molto più facile attribuire loro un’individualità, basti pensare, l’esempio è suo, a quando sua moglie chiama nel giardino “Francesco”.

Schrödinger mise in luce ciò che risultava strano e inconsueto per quanto riguardava le particelle, ma gli esempi che riportava a proposito delle onde risultano banali e, soprattutto, poco approfonditi. Parla della luce di un faro o delle onde sonore di una voce, ma non entra nei particolari della questione, non espone i dubbi che avvolgevano questo concetto, anch’esso pieno di contraddizioni apparenti, pieno di punti irrisolti. Non si addentra con precisione nelle teorie e nei risultati che prendono in esame le onde, ma si limita a esempi definiti da lui stesso grossolani, tanto che a una sollecitudine di Auger che gli chiede a che punto inizierebbe secondo lui l’individualità, se tutto è costituito da pacchetti di onde, egli risponde:

Una parola ancora, che è forse estranea alla discussione: io non sono del tutto sicuro che l’individualità che noi sentiamo come persona, come individuo, sia reale, che essa non sia un’illusione. È in ogni caso un’idea diffusa in Oriente, presso i buddisti, presso i maestri delle Upanishad, che si tratti di un’illusione, che noi non siamo realmente individui spirituali, ma che proveniamo tutti, in realtà, dalla stessa persona. (HEISENBERG 2002, p. 67)

Certo che per uno che ha difeso il concetto di onda contro quello di particella sulla base del fatto che la seconda non conserverebbe l’individualità, si tratta di un bel salto nel vuoto! L’affermazione di Schrödinger in realtà apre la porta a un dibattito, sviluppatosi soprattutto in questi ultimi decenni, sulla possibilità di coniugare la filosofia indiana alla visione dell’universo descritta dalla fisica quantistica.

La banalità dell’argomentazione scelta per difendere la natura ondulatoria delle particelle in realtà è voluta, e serve proprio per dimostrare la semplicità della questione che sarebbe a suo dire così evidente, mentre, dando per buona la natura dualistica, si dovrebbero accettare conseguenze assurde sostenibili solo grazie a ragionamenti complicati come quello di Eraclito e del fiume, che viene qui visto come esempio di assurdità, mettendo in ridicolo così i suoi oppositori.

Alla conferenza in questione seguì un dibattito, dove il primo a prendere la parola fu M. Born, il quale dopo averlo incalzato duramente affermando che Schrödinger è in realtà del tutto isolato, puntualizza con ironia:

Ammette solo un “come se”, per la rappresentazione delle particelle, perché per restare in accordo con l’esperienza, si e costretti ad attribuire alle particelle qualità insolite (egli le chiama assurde), mentre per le onde tutto sarebbe facile e chiaro” (HEISENBERG 2002, p. 58).

Evidente qui l’ironia di Born, per il quale la natura ondulatoria non era affatto avvallata da aspetti chiari.

Dopo qualche minuto Born chiude il suo intervento, non con una domanda, ma con un’altra freddura che non lascia certo spazio a un confronto:

Ecco una citazione da Wilhelm Busch (Zur guter letzt)
Che si chiamino atomi o granelli di polvere,
“Anche se sono infinitamente piccoli,
Essi hanno pure il loro piccolo corpo
E il desiderio di esistere”
e io aggiungo:
Anche se ora vivono in silenzio
Per la maledizione del buon Erwin,
Essi sopravviveranno tuttavia,
In tutti i lavori sui quanti.

(HEISENBERG 2002, p. 60)

In ogni caso, anche se su fronti diversi, tutti gli scienziati di cui abbiamo parlato in questo articolo, furono coloro che maggiormente contribuirono a sviluppare la teoria quantistica e il loro disaccordo non riguardò mai i risultati pratici, su cui furono tutti assolutamente d’accordo.

Insomma si tratta della annosa questione tra realismo e strumentalismo di una teoria scientifica, come ai tempi di Galileo.

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