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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 09

 settembre 2014

Saggi e rassegne

Sabrina Cavallucci

Dramma, satira e denuncia sociale: la guerra raccontata da Annie Vivanti

Negli anni a ridosso della prima guerra mondiale la carriera di Annie Vivanti è all’apice: il successo internazionale dei romanzi I divoratori e Circe, aveva infatti riportato la scrittrice italo-inglese alla ribalta della scena letteraria europea dopo anni di silenzio.

Il dramma del conflitto che improvvisamente travolse tutta l’Europa non poteva lasciare indifferente Annie, sempre pronta a intercettare le suggestioni della realtà circostante e a trasporle nella finzione letteraria. La volontà di raccontare l’attualità si interseca con il fervore politico che da sempre la accompagna, ereditato dal padre, un mazziniano costretto all’esilio, e alimentato dal matrimonio con John Chartres, attivista per l’indipendenza dell’Irlanda dall’Inghilterra. Questa spiccata sensibilità politica e sociale perdurerà anche nella fase più matura della sua carriera, manifestandosi in posizioni a sostegno della nazionalità oppresse e in chiave anti britannica. Per esempio, oltre alla causa irlandese, Annie si fa portavoce anche della lotta dell’Egitto per l’indipendenza dall’Inghilterra, radicalizzando sempre più la sua avversione alla propria terra di origine.

La posizione che la Vivanti assume in occasione del conflitto del 1914 è invece più sfumata, piuttosto prevale la volontà di denunciare e condannare la guerra come atto devastante e le sue conseguenze tragiche, soprattutto ai danni dei più deboli e indifesi. È questo il tema alla base dei tre lavori scritti negli anni della guerra, i due drammi Le bocche inutili e L’invasore e il romanzo, ricavato da quest’ultimo, Vae Victis.

L’invasione del neutrale Belgio da parte della Germania colpì notevolmente Annie, che nell’estate del 1915 – a distanza di un anno dall’assedio tedesco – con il dramma L’invasore dà voce alle donne belghe, vittime di abusi e violenze sessuali ad opera dell’esercito nemico. La vicenda delle tre protagoniste Luisa, Cherie e Mirella viene poi rielaborata e trasposta nel romanzo Vae Victis, edito da Quintieri nel 1917, a conferma del valore che questo soggetto doveva avere per la scrittrice.
Con l’unico uomo di casa chiamato al fronte, Luisa, la figlia Mirella e la cognata Cherie si trovano a dover affrontare l’improvvisa invasione tedesca, con la loro casa presa d’assedio dai soldati tedeschi. La notte che avrebbe dovuto essere di festa per il diciottesimo compleanno di Cherie si trasforma in un incubo per le tre, che subiscono la violenza del nemico con conseguenze tragiche. Lo shock lascia la piccola Mirella in uno stato di mutismo per molti mesi, mentre Luisa e Cherie si trovano a dover fare i conti con la gravidanza conseguente allo stupro subito. La Vivanti non ha paura di affrontare un tema estremamente scottante come l’aborto, soluzione estrema a cui Luisa sceglie di ricorrere e che invece Cherie rifiuta, dominata da un istinto materno superiore all’odio per il nemico. Nel momento in cui la storia impatta nell’universo domestico delle tre protagoniste, si consuma il loro dramma e la definitiva perdita dell’innocenza. L’atmosfera idillica che regna nelle prime pagine, con le protagoniste in vacanza al mare, stride dunque con il senso di catastrofe incombente, che la Vivanti affida alle parole del diario di Cherie:

Claudio scrive che il suo reggimento ha ricevuto l’ordine di recarsi a Mons. Dice che è possibile — ma non probabile — una invasione del nostro paese. Ci raccomanda, qualsiasi cosa accada, di essere molto calme e coraggiose. All’idea di dover essere calme e coraggiose ci siamo talmente spaventate che non sappiamo più dove dar della testa. Ogni qual volta il campanello suona, ci figuriamo che è il nemico che arriva, e ci mettiamo tutte a strillare. (Sentenza da ricordarsi: Non dire mai a nessuno di aver coraggio perché questo mette paura). […] Mi pare di non scrivere delle cose di grande importanza in questo mio diario. Me lo ha regalato mio fratello Claudio dicendomi che non lo riempissi di futili sciocchezze. Ma cosa scriverci? Qui, di fatti importanti non ne accadono mai. Non vi è nessuna notizia di Amour. La Germania ha dichiarato la guerra alla Russia. (Ecco, questo sarebbe un fatto importante, ma mi pare più una notizia da giornali che una cosa da mettere nel mio diario.) Lulù afferma che la Germania ha tutti i torti, ma noi, essendo neutrali, non dobbiamo dirlo (VIVANTI 1917).

L’espediente di inserire all’interno della narrazione in terza persona frammenti del diario delle protagoniste concorre a creare un effetto ironico, caratteristica ricorrente della poetica vivantiana. In questo caso l’ironia si esplica attraverso l’ingenuità della voce narrante, destinata a essere travolta dalla crudeltà della realtà che la circonda, di cui invece il lettore è ben consapevole. Il passaggio citato inoltre rende bene l’idea della scrittura della Vivanti, caratterizzata da un ritmo veloce e dal ricorso a battute brevi e dal piglio ironico, con una continua alternanza tra toni melodrammatici e umoristici. Pur raccontando l’orrore della guerra, Annie infatti non rinuncia a notazioni e commenti umoristici, vere e proprie costanti di tutta la sua opera. Bersaglio privilegiato verso cui la Vivanti indirizza la sua ironia è la società inglese, a conferma della crescente avversione della scrittrice verso la sua patria, a cui si accennava prima. Il racconto si snoda infatti tra il Belgio invaso e l’Inghilterra, dove le tre protagoniste – così come altre migliaia di loro connazionali – trovano rifugio, accolte dalla caritatevole quanto ipocrita aristocrazia britannica. II risultato è un ritratto piuttosto critico della società e della mentalità inglese del periodo, un anticipo della scrittura e dei temi che si ritroveranno in Naja Tripudians, romanzo di poco successivo ritenuto uno dei vertici della produzione letteraria vivantiana. Basti pensare al brusco passaggio dalla scena in cui si consuma la violenza sulle tre protagoniste alla presentazione delle nobildonne inglesi che si preparano ad accogliere le profughe:

È piacevole cosa, in un mite pomeriggio settembrino, starsene seduti nella verde quiete di un giardino in Inghilterra. Piacevole è sorseggiare il thè e discorrere del tempo e della guerra, mentre i passerotti avventurosi vi saltellano vicini sull’erba vellutata, e una lieve brezza vi porta, misto a un profumo di reseda, il lontano alito del mare. Così pensavano nella loro anima pacata le due sorelle, Miss Jane e Miss Julia Corry, volgendo intorno gli occhi azzurri, sereni, soddisfatti a mirare i prati, i passerotti, il servizio d’argenteria, i crostini imburrati, e la loro migliore amica Miss Lorena Marshall, venuta da Harrow a prendere il thè con loro e di cui le serene pupille brune riflettevano la stessa pacata felicità. Tutte e tre avevano, sotto alle ravviate chiome grige, il viso ancora giovane; tutte e tre avevano entro il severo petto verginale un cuore impressionabile e tenero; tutte e tre avevano attraversato l’esistenza, contegnose ed impeccabili, senza deviare mai dalla più rigorosa anglosassone convenzionalità. Erano sublimemente ingenue, divinamente caritatevoli, e inflessibilmente austere (VIVANTI 1917).

L’atmosfera idillica e quasi surreale contrasta nettamente con l’orrore della guerra, ridotta dalle tre donne a un semplice oggetto di conversazione, al pari del tempo. Il giudizio negativo verso questi tre esemplari della società britannica viene ulteriormente accentuato poco dopo, quando il discorso si sposta sui profughi, crudelmente ridotti a una moda del momento:

«A proposito, non pensate anche voi di prendervi in casa qualche profuga?» chiese Lady Mulholland a Miss Jane. «I Davidson ne hanno presa una.». «Ma come! I Davidson ne hanno presa una?» esclamò Miss Marshall. «I Davidson ne hanno presa una!» fecero eco Miss Jane e Miss Julia Corry. «Sicuro,» disse in tono un po’ sarcastico Lady Mulholland. «E mi pare che se loro si permettono di tenerne una in quella meschina casa che hanno, ce lo potremmo permettere anche noi». «Già; sono di gran moda oggi i rifugiati» osservò Kitty a Miss Lorena Marshall. «Tutte le migliori famiglie ne hanno» (VIVANTI 1917).

Anche quando entrano in contatto con la sofferenza delle vittime belghe, gli inglesi non si rendono conto della portata del dramma della guerra, ma restano chiusi nella loro visione del mondo ottusa e frivola:

Ben presto in Pinner l’entusiastica infatuazione per i profughi si calmò. Lo slancio di generosità esagerata cadde; e quando nelle case si riunivano le signore a lavorare per i soldati, e a raffrontare i Belgi da loro ospitati, si notava una mal celata amarezza in coloro che ne avevano in casa, e un tono di sorridente compatimento da parte di chi non ne aveva. Si parlava dei profughi quasi come di una malattia; un estraneo avrebbe potuto credere che si trattasse degli orecchioni o delle febbri malariche (VIVANTI 1917).

Anche in questo passaggio emerge chiaramente l’arguto sarcasmo di Annie, che grazie a questa arma si slega, almeno in parte, dai canoni del melodramma e riesce a conferire alla sua scrittura quel tocco di originalità che rende le sue opere uniche nel panorama letterario a lei contemporaneo. Non bisogna dimenticare che la Vivanti non si limita a scrivere opere di finzione letteraria, ma colleziona anche diverse esperienze come giornalista, mostrando una spiccata attitudine a raccontare – e se necessario anche a denunciare – l’attualità.

Annie vive in prima persona le vicende belliche come inviata dal fronte per alcune delle principali testate britanniche e italiane, per le quali firma diversi interventi e scritti giornalistici. La guerra diventa anche oggetto di alcune poesie, che segnano una seconda fase della sua produzione lirica, molto distante rispetto alle poesie giovanili di Lirica, l’opera di esordio che aveva lanciato Annie sulla scena letteraria grazie all’appoggio di Carducci. È la retorica a dominare queste «rapsodie guerresche», come la stessa Vivanti le definì (in una lettera al ministro Ferdinando Martini cit. da CAPOROSSI 2006, p. 64), pubblicate su quotidiani inglesi e italiani mentre la guerra era in corso. In questi componimenti l’approccio umoristico che di solito contraddistingue la scrittura di Annie passa in secondo piano e cede il passo a un tono altisonante e a tratti solenne, come in Fanfara Italica o A Re Alberto. Più originale è invece il componimento Figli di Alleati, scritto anche in una versione inglese e confluito nell’edizione del 1921 di Lirica. La guerra torna a essere raccontata dall’interno, attraverso le parole di due innamorati, italiana lei, francese lui. Annie gioca con i due differenti idiomi, ribaltando il significato delle due parole che meglio sintetizzano la guerra «orrore» e «morte», negli antitetici «aurora» e «amor». Lo straniamento che si viene a creare attraverso questa ambiguità linguistica crea un effetto di amara ironia:

Fatalità di lutto e dolore condotti li aveva.

– Orfani entrambi – in terra straniera e lontana.

Parlava ognuno un idioma che l’altro non comprendeva.

Era francese lui; ell’era italiana.

Egli fissava lo sguardo negli occhi di lei

Ed ella disse: – Che cerchi negli occhi miei,

Bimbo di Francia, di’?

Certo non altro ci vedi che il pianto… e l’orror…

-L’aurore, dis-tu? L’aurore? En France aussi.

Oui dans tes yeux je vois l’aurore, ma mie.-

Il rombo tonante del fuoco s’udia di lontano.

Ella tremava, ed egli le prese la mano.

-Pourquoi donc trembles-tu si fort.

Filette d’Italie?

Serait-ce que tu crains…La mort?

– L’amor… l’amor? – diss’ella ed arrossì.

Anche in Italia noi diciam così! –

Era la gioventù – divina interprete! –

Nei loro cor

Che, traducendo la tristezza in estasi,

Facea d’«Orrore» e «Morte» – Aurora e Amor (CAPOROSSI 2006, p. 232)

Il cosmopolitismo e la multiculturalità, di cui Annie fa sfoggio in questo componimento, si rivelano delle carte vincenti e le consentono di aggiungere un altro tassello alla sua vasta esperienza, grazie alla capacità di cimentarsi in tutti i generi letterari e di ritrarre con arguzia la realtà contemporanea. È quanto emerge in una lettera scritta per ottenere la pubblicazione dei suoi versi sul «Corriere della Sera»:

Sarei onorata se il Corriere volesse servirsi di me. Non ho paura né di viaggi né di pericoli né di disagi. Conosco per averne vissuta l’intima vita Berlino (dove ho mio zio Paul Lindau) Helgoland (dove fui ospite del Geheimrat Rudolfo Lindau) Friedrichsruh (dove fui in visita dalla P.ssa Bismark)l’Austria tedesca e boema (a Praga fu dato un mio dramma al teatro Nazionale Czeco) e la Spagna, il Portogallo, e il Belgio e la Francia – cela va sans dire. Parlo e scrivo cinque lingue, sono avvezza a riconoscere le cose importanti dalle inutili, e ho l’anglosassone rispetto dell’accuratezza e della verità (lettera a L. Albertini, Londra 2 settembre 2014, CAPOROSSI 2006, p. 65).

La volontà di raccontare il vero si scontra però con la censura, come si evince anche dall’accenno in questa stessa lettera ad un articolo scritto e poi distrutto:

Avevo scritto per il Corriere un articolo, che mi pare sia interessante, basato su ciò che si pensa e si sente qui. Ma in un colloquio avuto coll’Ambasciatore egli mi ha così vivamente pregato di scrivere in senso diverso, che – pur non potendo né volendo far ciò – ho distrutto l’articolo. ( CAPOROSSI 2006, p. 65)

Reazioni indignate e fortemente critiche sono quelle innescate dalla campagna promossa dalla scrittrice sul «Times» alla fine del 1915 per raccogliere fondi a sostegno dell’esercito italiano, sempre più provato dalla carenza di mezzi. L’articolo uscito sul «Caffaro» rende perfettamente l’idea della portata delle polemiche suscitate della denuncia della scrittrice:

Questa giramondo insaziabile … quest’organo errante foggiato a stilografo che geme lacrime false sulla nostra nera miseria ha pur visto in Italia fervere la vita più intensa… ha pur visti in Italia affollati i teatri anche – è il colmo! – quando si rappresentano porcherie come quel suo furbesco e bassamente speculatorio Invasore col quale essa ha tentato – per far quattrini – di sfruttare l’ora tragica attraverso uno pseudo-dramma ginecologico! (Un’altra di Annie Vivanti, in «Il Caffaro», 28 febbraio 1916, cit da CAPOROSSI 2006, p. 68)

Il rapporto con la propaganda italiana viaggia dunque su un doppio binario: da un lato la retorica militaresca presente nelle poesie scritte all’inizio della guerra raccoglie il favore del fronte interventista, sulla scia di Italy, il componimento che Annie aveva scritto nel 1911 per difendere l’attacco italiano in terra libica. Nello stesso tempo però la Vivanti si scontra con la censura e con diverse reazioni polemiche nei confronti delle sue prose e dei suoi scritti giornalistici. I temi scottanti trattati nel dramma L’Invasore fanno rischiare l’intervento della censura e le polemiche non mancano nemmeno nel momento dell’uscita di Le bocche inutili, come la stessa scrittrice ricorda nella dedica:

Ancora non mi so spiegare l’indescrivibile tumulto che il dramma suscitò alla sua prima rappresentazione. Certo, nella mente di una parte del pubblico vi fu un equivoco causato dal titolo. Ad alcuni – che ignoravano il significato militare dell’espressione «le bocche inutili» – il titolo parve gaio: e il teatro si affollò di gente che, per distrarsi dalle tristezze della guerra, voleva vedere una commedia allegra. Credevano nelle «bocche inutili» di trovare le bocche che ridono, le bocche che baciano, le bocche che pronunciano delle soavi arguzie o delle parole d’amore… e rimasero stupiti e disorientati quando si trovarono davanti delle tragiche bocche di vegliardi, di donne e di bambini che la guerra apre agli urli e alla fame (VIVANTI 1926, pp. 11-12).

Come in Vae Victis, anche in quest’opera il dramma collettivo scatenato dalla guerra si interseca con un dramma personale, che ha per protagonista il comandante Harry De Bels, costretto a scegliere tra salvare la propria famiglia o svolgere il proprio dovere di militare. Anche in questo caso il sacrificio degli innocenti diventa l’inevitabile, seppur caro, prezzo da pagare in una guerra che non lascia scampo a niente e nessuno. La Vivanti pone l’accento su questo aspetto facendo pronunciare ai suoi personaggi battute amare e venate di ironia, volte a sottolineare la negatività della guerra e l’impatto che ha sulle vite delle persone coinvolte. Il fatto che spesso sia il comandante, ovvero il rappresentante dell’autorità militare, a farsi portavoce di queste riflessioni non fa che amplificare la condanna verso la guerra. Basti pensare al momento in cui il comandante prende la decisione di sacrificare «le bocche inutili» – compresa la sua famiglia – per consentire all’esercito di sopravvivere fino all’arrivo dei soccorsi:

Niente preavviso. Un’ora deve bastare. Quando si ha un margine di quattro soli giorni non c’è più un tozzo di pane che si possa dare agli inermi, ai non combattenti… (con un ghigno di amarissima ironia) agli esseri superflui – che non sanno uccidere! (VIVANTI 1926, pp. 125-126).

E di fronte al dramma di chi vive la guerra in prima persona risulta ancor più evidente il contrasto con chi, essendo a distanza di sicurezza, ne ignora la gravità. Annie ancora una volta non rinuncia a prendere di mira la società inglese, ribadendone l’egoismo in uno scambio di battute tra il comandante e il suo aiutante il capitano Loussy:

IL COMANDANTE (con aria seccata) E dunque? Quali notizie portate dal nostro vecchio paese? Che atmosfera c’è nella capitale? CAPITANO LOUSSY La solita atmosfera. Molto movimento, molte chiacchiere, molto lusso… IL COMANDANTE (alzando gli occhi dalle carte) Molto – lutto avete detto? CAPITANO LOUSSY Sì. Molto lutto – E molto lusso. IL COMANDANTE (con profonda amarezza) Ah. (Un silenzio) (VIVANTI 1926, pp-74-75).

Di nuovo è con un gioco di parole che la Vivanti esplicita la sua carica umoristica alludendo al crudele scarto tra chi vive la guerra in prima persona e chi invece, lontano dai combattimenti, ne ignora la portata. Anche attraverso la finzione narrativa la Vivanti insomma si fa interprete del dramma che si stava consumando, senza far prevalere un tono patetico, ma mantenendo quello slancio sarcastico che costituisce la cifra stilistica più rappresentativa e più apprezzabile della sua scrittura.

BIBLIOGRAFIA

VIVANTI A. (1915), L’Invasore. Dramma in tre atti, Quintieri, Milano; reperibile in rete al link:
https://archive.org/details/linvasoredrammai00vivauoft

VIVANTI A. (1917), Vae Victis, Quintieri, Milano; reperibile in rete al link:
http://www.gutenberg.org/files/38259/38259-h/38259-h.html

VIVANTI A. (1918), Le bocche inutili. Dramma in tre atti, Mondadori, Milano; reperibile in rete al link:
https://archive.org/details/leboccheinutilid00vivauoft

CAPOROSSI C. (2006), a cura di, Annie Vivanti – Tutte le poesie. Edizione critica con antologia di testi tradotti, Olschki, Firenze

ALTRE OPERE DI ANNIE VIVANTI CITATE

Lirica di Annie Vivanti (1890), Treves, Milano

I divoratori (1911) Treves, Milano

Circe. Il romanzo di Maria Tarnowska (1912), Quintieri, Milano

Naja Tripudians (1920), Bemborad, Firenze