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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 02

 aprile 2011

Saggi e rassegne

Sabrina Cavallucci

L’umorismo nella vita e nell’opera di Annie Vivanti

La categoria dell’umorismo comprende al suo interno svariate accezioni che vanno dalla più classica identificazione con il comico e con la capacità di suscitare il riso anche attraverso un sapiente uso della lingua, fino all’equivalenza dell’umorismo con il sense of humour, ovvero quella attitudine tipicamente anglosassone di rappresentare con una apparente serietà e freddezza la realtà e i comportamenti umani più vacui, per arrivare infine alla definizione più moderna di umorismo come «sentimento del contrario». Quest’ultima formulazione viene proposta da Pirandello nei primi anni del Novecento, fase in cui la definizione di umorismo trova nuove declinazioni grazie agli importanti contributi in materia dati da Freud e Bergson.

Proprio in questo periodo una delle protagoniste della scena letteraria e culturale italiana – e non solo – è Annie Vivanti, scrittrice che soltanto in anni recenti si sta cominciando a riscoprire e rivalutare e che nel corso della sua lunga carriera si è cimentata, quasi sempre con successo, nei più svariati ambiti e generi letterari: poetessa, drammaturga, romanziera, giornalista, autrice di favole per bambini e di racconti lunghi e brevi. Questi sono solo alcuni dei ruoli che ha ricoperto e che vanno a comporre un percorso artistico unico e degno di interesse, all’interno del quale la categoria dell’umorismo svolge un ruolo di primo piano.

È opportuno specificare che in questo articolo il termine umorismo verrà utilizzato nelle diverse accezioni che nel tempo sono state date a questa categoria, come una sorta di etichetta che ingloba in sé diversi aspetti della scrittura della Vivanti, e pertanto forse sarebbe più corretto parlare di “umorismi” per sottolineare la pluralità di declinazioni che il termine assume all’interno della sua opera.

Indipendentemente dal genere letterario a cui appartengono, le opere della Vivanti quasi sempre inducono il lettore al sorriso, che può essere «ora sorriso di compiacimento estatico, ora sorriso di ebetitudine», come ha fatto notare Giuseppe Antonio Borgese commentando I divoratori, il romanzo più rappresentativo della Vivanti. Questa osservazione può essere estesa a tutta l’attività letteraria della Vivanti, come dimostrano altri giudizi critici che si attestano su posizioni analoghe e che si soffermano sulle qualità umoristiche della sua scrittura, ben riassunte da questo commento del poeta-critico Diego Garoglio:

L’umorismo della Vivanti è esteriore, poco fine, impregnato più di giocondità che di amarezza, è insomma lo sfogo di un’anima giovanilmente esuberante, che sente vivere il contrasto tra i sogni della sbrigliata fantasia e la realtà fredda e severa, tra le aspirazioni, gli slanci del proprio sentimento e le esigenze della vita sociale.

Questo passaggio illustra solo parzialmente l’umorismo della Vivanti, ma può essere assunto come punto di partenza per arrivare a una formulazione della sua poetica umoristica che, proprio come Annie, non può essere definita in modo univoco. Del resto, il presupposto fondamentale per studiare la Vivanti consiste nell’osmosi continua tra la sua vita e la sua opera, nel senso che tutto ciò che esce dalla sua penna – e dunque anche il carattere umoristico della sua scrittura – va rapportato alla sua personalità e alla sua esperienza di vita. Prima che nella finzione letteraria, Annie è un’umorista nella vita reale, con «quella sua conversazione come champagne, quella sua allegria, quel suo zampillante umorismo» (ALLASON) e umoristico può essere definito il suo approccio nei confronti della vita, come dimostrano le sue reazioni alle sfide che spesso il destino le ha posto innanzi e la sua prontezza di spirito – spesso al limite dell’incoscienza – nel rispondere alle critiche che le venivano mosse per le sue scelte di vita anticonvenzionali.

Un umorismo innato

Passare in rassegna la biografia e le tappe che hanno scandito la carriera della Vivanti è il modo migliore per capire come l’umorismo si inserisca nel suo percorso artistico, arrivando a rappresentare una delle cifre stilistiche più significative della sua poetica. Si è detto che la Vivanti scrive in un periodo particolarmente “sensibile” alla tematica del riso e dell’umorismo, come meccanismo ad esso correlato, ma è difficile capire se e in che misura questi contributi esterni hanno condizionato la sua scrittura, in quanto l’irregolarità della sua formazione e la mancanza di esplicite dichiarazioni di poetica rendono complicato capire quali siano i suoi effettivi riferimenti culturali e letterari. Inoltre bisogna considerare che l’umorismo è piuttosto una caratteristica innata e intrinseca alla sua personalità, la cui ascendenza va rintracciata nelle origini cosmopolite della scrittrice e nella sua appartenenza a una matrice culturale di stampo anglosassone, dalla quale proviene quella propensione, tipicamente inglese, allo humour.

Il cosmopolitismo è una delle caratteristiche più interessanti della formazione di Annie, nata nel 1866 a Londra e cresciuta tra Europa, Stati Uniti e Italia in una famiglia caratterizzata dall’internazionalismo: il padre, Anselmo, era un mantovano mazziniano esule in Inghilterra, mentre la madre, Anna Lindau, sorella di due celebri letterati dell’epoca (Paul e Rudolph Lindau), proveniva da un grande casato tedesco vicino alle élite culturali dell’epoca.

Il debutto di Annie sulla scena letteraria avviene nel 1890 con la pubblicazione della raccolta di poesie Lirica, che, grazie all’appoggio di Giosuè Carducci, suscita l’attenzione di pubblico e critica soprattutto per la curiosità che si viene a creare intorno alla figura della giovane poetessa e al rapporto che la lega a Carducci. A testimonianza di questa particolare relazione, che negli anni a venire sarà spesso al centro delle cronache letterarie e mondane, restano le lettere che i due si sono scambiati per più di un decennio fino alla morte del poeta nel 1907 e che nel loro insieme rendono l’intensità del rapporto di amore e soprattutto di amicizia che lega la Fata Annie all’Orco Carducci, come i due spesso si ribattezzavano nei loro scambi epistolari: Annie diventa musa di Carducci, che le dedica due componimenti, Batto a la chiusa imposta (1891) e Elegia del Monte Spluga (1898).

Il rapporto con Carducci fornisce una prima importante indicazione circa il temperamento umoristico di Annie e la sua propensione a vivere con leggerezza e con allegria, fattori che hanno portato il poeta a dichiararle: «Tutti sanno farmi arrabbiare, molti sanno farmi soffrire, tu sola sai farmi ridere» (MISSIROLI). Il racconto L’Apollinea Fiera, scritto dalla Vivanti nel 1921 per rievocare la sua storia con Carducci, esprime in modo evidente la natura di questo rapporto e soprattutto offre una importante testimonianza dell’orientamento comico-umoristico della sua scrittura, effetto provocato dal tono leggero e dall’andamento incalzante della narrazione unitamente alle riflessioni in prima persona della scrittrice che rivelano la sua propensione a non prendere mai niente sul serio. Basti pensare all’episodio in cui racconta di aver ricevuto in dono dal poeta un cavallo, Rebecca, da lei subito ribattezzato con quell’irriverenza che la contraddistingueva «Giosuè cavallo… per distinguerlo da Giosuè Poeta»: da oggetto del desiderio il cavallo si trasforma in un vero e proprio incubo per Annie, che racconta i suoi maldestri tentativi di mantenerlo e poi di liberarsene senza offendere Carducci.

Nel 1891, sulla scia del successo di Lirica, esce il primo romanzo della Vivanti, Marion artista di caffè concerto, largamente autobiografico in quanto ispirato al periodo trascorso da Annie come chanteuse nei caffè concerto e criticato per la spregiudicatezza della protagonista, facilmente identificabile con la stessa scrittrice. In questo primo romanzo è assente quella carica comico-umoristica che si ritroverà nelle opere della maturità, ma piuttosto prevale un’ironia graffiante che concorre a dare una rappresentazione grottesca della realtà degradata del caffè concerto e dei personaggi equivoci che la popolano, all’interno della quale si consuma l’inesorabile perdita dell’innocenza della giovane protagonista Marion. Il tono leggero e vivace che già si era intravisto nelle poesie di Lirica e che si ritroverà in quasi tutti gli scritti successivi cede qui il passo a una visione più cupa della realtà e il sorriso compiaciuto che di solito accompagna il lettore vivantiano è venato di amarezza (BERTINI), come dimostra questo dialogo tra due ballerine che commentano la fuga di Marion con un ricco e vecchio uomo d’affari:

L’ho sempre detto che quella piccina lì era una furba. E adesso è riuscita a farsi rapire dal vecchio Ascani, sai, quello che zoppica un po’, quello che l’altra sera, qui, ha dimenticato i denti ravvolti nel tovagliolo. Ma sì che lo conosci quel cracheur sempre in tuba e guanti gialli, coll’asma e la testa calva!- Ma guarda un po’ – disse Mizzi colle mani sui fianchi – a quella lì non le vanno a capitar tutte le fortune?

Con questo romanzo si conclude la prima fase della carriera della Vivanti, che per qualche anno scompare dalla scena letteraria italiana e, dopo il matrimonio con l’avvocato irlandese John Chartres, nel 1892 si trasferisce negli Stati Uniti, dove l’anno successivo nasce la figlia Vivien.

I racconti americani: uno stile humorous

In America, Annie continua la sua attività letteraria dedicandosi alla scrittura di racconti e di opere teatrali, genere che cercherà di portare anche in Italia con un dramma scritto per Eleonora Duse, che però alla sua prima rappresentazione all’Arena del Sole di Bologna nell’estate del 1898 viene stroncato come fiasco colossale, unico vero insuccesso nella prolifica carriera della scrittrice. Anche in questa occasione non viene meno lo spirito di Annie, come si ricava da questa testimonianza di Barbara Allason, ulteriore dimostrazione della sua tendenza a non prendere niente sul serio e a sdrammatizzare anche le situazioni più complicate:

Un’altra cotta la prese mentre si rappresentava la Rosa Azzurra […] quando chiesi a Annie se aveva molto sofferto di quel fiasco, ella rispose ridendo: «Ma che, ero innamorata allora di un bel giovane e il mio amore era ricambiato. E poi Orco (ella chiamava così Giosuè Carducci) era così caro e devoto a me e mi difendeva e tutto ciò mi rendeva molto felice.

I racconti scritti durante gli anni trascorsi negli Stati Uniti e pubblicati su diverse riviste tra il 1896 e il 1899 sono diretta espressione della vicinanza della Vivanti alla tradizione dello humour anglosassone e ben rappresentano il suo stile «unique, polyglot, humorous and ironic at the same time» (URBANCIC), particolarmente apprezzato dal pubblico americano, come fa notare il biografo e studioso della Vivanti Carlo Caporossi, che ha recentemente tradotto in italiano i suddetti racconti:

L’Annie di questi racconti americani conquista i lettori d’Oltreoceano con la sua comicità, con la sua battuta ironica, con la filosofia realistica e anticonformista dei suoi personaggi – tutti piccole facce del prisma di se stessa – ai quali ella sembra voler affidare del tutto lo svolgimento della trama, riservandosi solo qualche volta un commento espresso con la leggerezza e l’ironia di uno spettatore divertito.

La scrittura di questi racconti costituisce la chiave di volta di tutta la produzione in prosa successiva in quanto, a partire da queste prove narrative, si viene a delineare quello stile “vivantiano” sempre in bilico tra il melodramma e la commedia, caratterizzato da dialoghi brillanti costellati di battute dalla forte carica umoristica e spesso ciniche, pronunciate da personaggi-macchiette, in molti casi bizzarri e pittoreschi. Tutti questi elementi si trovano per esempio in Houp-là, uno dei racconti più rappresentativi dello stile della Vivanti, presentato dalla stessa scrittrice come «l’ingegnoso racconto di una Bohème teatrale con le sue caleidoscopiche atmosfere – Una commedia del corteggiamento e una satira del sentimento», definizione che può essere estesa a molte altre sue opere e che rende perfettamente l’idea dell’impronta della sua scrittura (Racconti Americani, p. 77)

La protagonista è Elsie, figlia di un impresario teatrale ostinato a far proseguire alla famiglia gli allestimenti dei suoi show, costringendo la moglie e la figlia ai travestimenti più bizzarri. Quando un ricco tedesco, Heinrich Müller, inizia a frequentare la loro casa, Elsie si convince che il giovane si stia prendendo gioco di lei per i suoi abiti stravaganti, senza rendersi conto che è proprio questa bizzarria che la rende interessante. Mentre il suo promesso sposo è assente, Elsie rivoluziona le abitudini della sua famiglia e si trasforma in una perfetta donna di casa, perdendo però tutto il suo fascino, così che quando Heinrich ritorna non la riconosce e addirittura la scambia per una domestica. Nonostante la forte delusione, Heinrich decide comunque di sposare Elsie, trasformatasi «da farfalla in ape industriosa». L’epilogo della vicenda, reso con uno stile sintetico, è emblematico dell’ironia che spesso viene adottata dalla Vivanti per rovesciare la realtà e, nonostante l’apparente serietà del tono, ridicolizzarla:

Elsie sposò Herr Müller, dopotutto, perché lui gliel’aveva promesso e perché era un gentiluomo che manteneva la parola e poi anche perché era un tedesco prudente, che pensava fosse meglio essere un tipo comune, alla fine. Ed egli era davvero un tipo comune, e così fu anche molto felice con la sua nuova piccola ape industriosa. […]
«Che pace in casa!» disse Mrs Berman ad Elsie, appena si sedettero, sole, al loro placido lavoro serale. «Devi ringraziare la tua buona stella!»
«Sì» rispose Elsie che si stava facendo grassa. «Mantenere in vita Houp-là sarebbe stata una fatica terribile».

Le opere della maturità tra humour e umorismo pirandelliano

Nel 1900 il suicidio di Sidney Samuel, un giovane e ricco newyorkese legato sentimentalmente a Annie, getta una nuova ombra sulla scrittrice, che trova una improvvisa quanto fortuita occasione di riscatto nel talento prodigioso della figlia come violinista: per la carriera della Vivanti inizia una nuova fase, in quanto l’incredibile successo della bambina le consente di ritornare alla ribalta internazionale.

È proprio il genio di Vivien che offre alla Vivanti lo spunto per il suo romanzo di maggior successo, quello che segna il suo rientro sulla scena letteraria italiana: si tratta de I divoratori, uscito in Italia nel 1911 e incentrato sul tema della maternità attraverso il racconto di tre generazioni di donne, doppiamente divorate dal loro ruolo di madri e dal genio delle figlie. I divoratori è l’opera più completa e più autobiografica della Vivanti, che attraverso questo romanzo cerca di dare una nuova immagine di sé assimilabile a quella della protagonista Nancy, che viene seguita nella sua parabola da bambina prodigio come poetessa a madre vittima del genio divoratore della figlia, violinista prodigio proprio come Vivien. I divoratori è considerato dalla critica il romanzo più riuscito della Vivanti, non solo per l’interesse del soggetto, ma anche per il suo stile «ora armonioso e delicatamente allusivo, ora fluente e pieno di fantasia, modulato nelle narrazioni e brioso nei dialoghi: non è dir troppo a chiamarlo uno stile brillante» (BRANDES) che consente alla scrittrice di mantenere costantemente attiva la sua prospettiva da umorista.

Finora si è parlato dell’umorismo vivantiano soprattutto in relazione al sense of humour connaturato alla personalità di Annie, ma in questo romanzo entra in gioco l’accezione pirandelliana del termine a cui si è fatto riferimento in apertura. Infatti ne I divoratori, anche se non mancano momenti di comicità, battute frizzanti e aforismi spiritosi tipici di quell’humour inglese e, come ha fatto notare Borgese «un sorriso perenne è sulle labbra del lettore», l’umorismo diventa strumento per rappresentare il drammatico e il patetico che si celano dietro una realtà comica solo in superficie, a conferma della validità della riflessione freudiana per cui «l’umorismo si inserisce nella grande schiera dei metodi costituiti dalla mente umana per sottrarsi alla costrizione della sofferenza» (FREUD). La compassione che si è indotti a provare per i personaggi che la Vivanti presenta deriva anche dal fatto che essi appaiono come marionette in balia del destino, continuamente beffati da una forza superiore alla loro volontà e che si prende gioco delle loro vite. Questo meccanismo, su cui si regge l’impalcatura narrativa de I divoratori, è una costante che attraversa tutta l’opera della scrittrice e che esprime perfettamente l’idea bergsoniana per cui il riso è da ricondurre alla ripetizione di un fatto meccanico, è «un risultato dell’automatismo e della rigidità» di quanto c’è di umano (BERGSON).

Negli anni seguenti, l’attività della Vivanti come romanziera continua con libri di successo come Circe, Vae Victis, Naja Tripudians, Mea Culpa e Salvate le nostre anime, esempi di una letteratura al femminile di consumo ma di qualità. È da rilevare che lo spunto per la costruzione di questi romanzi è offerto da fatti di attualità o di cronaca, che vengono rielaborati anche in un’ottica di autobiografismo e trasformati in materia romanzesca.

Si tratta di opere che affrontano tematiche scottanti (per esempio in Vae Victis il tema delle violenze sessuali subite dalle donne belghe durante l’occupazione tedesca nella Prima Guerra Mondiale) vicine alla tradizione del melodramma, ma all’interno delle quali non mancano notazioni umoristiche e ironiche che smorzano e alleggeriscono il tono drammatico.

Un esempio può essere offerto da Circe, il romanzo edito nel 1912 e ispirato alla vicenda della contessa russa Maria Tarnowska, vera e propria femme fatale condannata come mandante dell’omicidio del promesso sposo ad opera di uno dei suoi amanti. La Vivanti traspone questa vicenda di cronaca nera in un romanzo in cui la protagonista racconta la sua progressiva e inesorabile degenerazione verso la follia, ma nello svolgersi di questa tragedia non mancano note umoristiche, come per esempio dimostra il lungo resoconto delle amanti del marito che Maria, ancora vittima ingenua, compila con una schematicità e precisione che lasciano al lettore un sorriso amaro:

Una attrice del teatro di Kieff. Una tzigane. La seconda cameriera di mio padre. Una contadina di Otrada. La mia cameriera. La nutrice di Tioka. Una signorina di Poltava. La principessa Dubinoskaja. Una sconosciuta del treno di Odessa. La cameriera Tatiana. Nina Popova […] Anna Putsch. La sorella di Anna Putsch. La zia di Anna Putsch. Una certa Vanda. Una signora francese del treno di Berlino. Un’attrice dell’Olimpia a Kieff…

Contemporaneamente alla pubblicazione di questi romanzi, la Vivanti si dedica ad altri tipi di generi letterari, sempre riconducibili all’unicità della sua persona e della sua poetica: grazie alla capacità di rinnovarsi di continuo, pur senza rinunciare al suo stile e alla sua essenza, e di creare prodotti che rispondano ai gusti del pubblico, Annie riesce a mantenere il centro della scena tra alti e bassi fino agli anni ’30.

Oltre ai romanzi a cui si è già fatto riferimento, l’opera vivantiana comprende fiabe per bambini (Sua altezza, Il viaggio incantato), reportage di viaggio (Viaggio in Egitto), novelle (le raccolte Zingaresca, Gioia!, Perdonate Eglantina) e ancora scritti giornalistici e poesie, che riflettono il crescente fervore politico della Vivanti, sempre più ostile alla sua patria e convinta sostenitrice dei movimenti indipendentisti anti-inglesi, quali quello egiziano e quello irlandese (di cui il marito John Chartres era un importante attivista). Per manifestare la sua avversione nei confronti dell’Inghilterra la Vivanti si serve dell’arma dell’umorismo, che dunque ancora una volta si rivela un elemento fondamentale della sua poetica e che in questo caso è strettamente correlato all’ironia.

Già in una poesia di Lirica (Ave, Albion) aveva manifestato la sua anglofobia con un piglio deciso, concludendo la lirica con un’invettiva fortemente ironica ma anche spiritosa e frizzante:

Via, nazion di raffreddati! Ed ora
Che il tuo fangoso suol più non m’alloggia.
Popolo secco sotto eterna pioggia,
Va co’ tuoi grandi piedi alla malora!

In Naja Tripudians si trova un altro passaggio analogo: la mentalità imperialista inglese viene ridicolizzata attraverso il breve resoconto dell’educazione ricevuta dalle protagoniste, due ingenue sorelline cresciute nella campagna inglese e destinate ad essere portate con l’inganno in una casa di piaceri londinese:

E a scuola andarono, ogni giorno, le due biondine, e impararono tutto ciò che ancora mancava alla loro perfetta educazione. Impararono che il mondo è rotondo e appartiene agli inglesi; che gli oceani sono vasti e appartengono agli inglesi; che gli inglesi permettono – generosamente – ad alcune altre nazioni di vivere nel mondo, e ad alcune altre navi – ma poche! – di navigare sui mari. Impararono che bisogna odiare i tedeschi, disprezzare i latini, e aver schifo dei negri. Impararono che il Dio inglese non riceve che la domenica, mentre il plebeo Dio cattolico (che del resto non serve che per gli straccioni, i forestieri e gli Irlandesi) lascia aperte le sue chiese tutti i giorni, ma non bisogna andarci. Impararono che il sentimento è una cosa volgare; che è ridicolo commuoversi, che è indecoroso entusiasmarsi; che la frutta si mangia col coltello e la forchetta, e che le unghie e la coscienza – ma sopratutto le unghie! – vanno tenute pulite.

Questo estratto dimostra come la Vivanti, anche nei romanzi e nelle opere in cui si affrontano tematiche di un certo spessore, tenda a dare sfogo alla sua propensione a confrontarsi con la realtà che la circonda attraverso un approccio umoristico. La forma breve del racconto è quella che meglio si addice a questa sua “capacità umoristica” che, come si è già visto a proposito dei Racconti americani, deve molto alla tradizione dello humour inglese e trova espressione in aforismi e battute – a volte comiche, a volte ciniche – nelle quali sta racchiusa la filosofia di vita della scrittrice, come dimostra questo passaggio della novella Lezioni di felicità, della raccolta Gioia!:

La donna, nella relazione amorosa, sia sempre l’ultima a cominciare e la prima a finire; cioè, non s’innamori mai lei per la prima, né si disinnamori lei per l’ultima […] Non correre mai appresso a un uomo né a un tram, perché ce n’è sempre un altro che segue.

Rispetto ai Racconti americani, Zingaresca, Gioia! e Perdonate Eglantina rivelano una maggiore maturità artistica della Vivanti, che in questi anni attraverso la produzione romanzesca ha potuto dare un’ulteriore valenza alla sua naturale predisposizione all’umorismo, come nel caso de I divoratori: al di là del riso che può scaturire dalla comicità di certe situazioni o battute e dalla leggerezza della narrazione, il lettore è portato a riflettere più in profondità su quanto viene raccontato.

Il doppio binario su cui viaggia l’umorismo della Vivanti, ovvero lo humour inglese e l’accezione pirandelliana come sentimento del contrario, trova una delle sue migliori espressioni nel racconto Tenebroso amore, sempre tratto da Gioia!. La vicenda raccontata in questa novella ha per protagonista la Signora Clotilde – vero e proprio personaggio pirandelliano – la quale, gelosa del marito che si è invaghito di una affascinante ballerina di colore, decide di prendere il posto di questa ragazza durante lo spettacolo di quadri allegorici viventi che la vede impegnata; la Signora Clotilde arriva così a mascherarsi da personificazione della Colonia Sud Africana, ricorrendo a un travestimento che però non fa che ridicolizzarla ulteriormente non solo agli occhi dell’ignaro marito, ma di tutto il pubblico. La lozione che avrebbe dovuto levare via il colorante usato su tutto il corpo per truccarsi, va persa prima che l’operazione di demaquillage possa essere conclusa e la signora Clotilde, per nascondere la sua bicromia, è costretta alla reclusione, mentre tutti pensano che sia stata uccisa dal marito. La conclusione di questa novella rende bene l’idea dello stile umoristico della Vivanti:

Lugubre, truce, colla sua faccia nera e la sua gamba bianca, la signora Clotilde, chiusa in due camere, aspetta fosca e depressa la lenta azione del tempo.
E infatti, adagio, a poco a poco, col passare dei mesi, la tinta va lievemente rischiarandosi. Dal caffè moka scuro ha preso qua e là una tinta kaki.… e si spera che forse, tra un anno o due anni….
Una profonda malinconia incombe sulla casa, interrotta a rari intervalli da improvvisi e pazzeschi scoppi di risa… È l’Amico (l’unico ammesso in quella tragica dimora) che tratto tratto non sa frenare la sua crudele, spasmodica ilarità.
E contemplando Manlio – sprofondato nella sua disperazione, sfuggito dai suoi simili, temuto dalle donne, sospettato d’uxoricidio – egli talvolta mormora sommesso:
– L’hai voluto’ .… L’hai voluto un tenebroso amore!-

Il tema del travestimento, una delle altre costanti nell’opera vivantiana, si presta bene a una riflessione sul suo umorismo, in quanto ne riflette perfettamente la dualità. Infatti, se è vero che l’idea del travestimento «è dotata del dono di provocare l’ilarità» (BERGSON), si deve anche considerare che l’effetto comico che ne deriva è accompagnato da un sentimento di compassione per chi è costretto a ricorrere a una maschera per celare o camuffare la sua reale identità e adattarsi a ciò che gli viene imposto dalla realtà esterna, come nel caso della protagonista di Tenebroso amore. Il celebre esempio proposto da Pirandello della signora imbellettata per garantirsi l’amore del giovane marito trova un perfetto corrispettivo non solo nella signora Clotilde, ma anche nella protagonista de I divoratori, Nancy, che ricorre a un vero e proprio travestimento per cercare di conquistare l’uomo con cui ha ingaggiato uno scambio epistolare; i risultati della sua attenta opera di maquillage sono però alquanto grotteschi:

Nancy si guardò allo specchio. La sua faccia era bianco-violacea, e le sue narici indicavano un forte raffreddore. I suoi occhi parevano grandi e stanchi ed intensi come gli occhi dei volatili occidentali a Montecarlo […]
Per venti minuti dipinse le sue unghie colla vernice rossa ch’era di un rosa vivido: era molto appiccicaticcia, ed una volta messa, non si poteva più levar via. Pareva che avesse immerso la punta delle dita nel sangue.

Situazioni di questo tipo del resto si trovano di frequente nelle novelle della Vivanti, la quale spesso mette al centro dei suoi scritti il rapporto tra uomini e donne, in particolare tra marito e moglie, come si può riscontrare già a partire da Lirica nella poesia Ménage, dove viene offerta una rappresentazione fortemente umoristica del matrimonio:

Sposi da un mese. Egli ritorna a casa
Allegro, frettoloso, impazïente:
Sale i gradini a tre per volta, e pensa
Che sopra attende un viso sorridente, […]
[…] Sposi da quattro mesi. Ei torna a casa
– «Addio, Nina. Stai bene? È pronto il pranzo?»
Ella, le mani nere e il viso acceso,
Torna in cucina a far bollire il manzo.
Sposi da una anno. Egli ritorna a casa
Stanco, di mal’umore, impolverato;
Ella gli va ad aprire, ed è in ciabatte
E in abito da camera slacciato.

Un altro tema particolarmente caro alla Vivanti e sempre relativo ai rapporti tra i due sessi è la gelosia, che fa ricorrere i suoi personaggi ai più bizzarri espedienti, quasi sempre dalle conseguenze comiche, ma che sono anche occasione per una riflessione più profonda sui meccanismi psicologici che portano a tali scelte comportamentali. Un episodio riconducibile a questa tematica è presente nel racconto Novella per Novella (Una mia giornata), che al suo interno contiene svariati spunti comico-umoristici, tra cui quello offerto da due amiche che raccontano ad Annie il loro disperato ricorso a un finto amante per far ingelosire i mariti. L’uomo da vittima iniziale si trasforma in ricattatore e presenta alle due donne un conto dettagliato di tutti i servigi svolti, che fa sorridere per la precisione con cui sono quantificati; tra le varie voci si trova per esempio «lettera d’amore semplice, 10£; lettera d’amore con allusione a possibile suicidio, 30£; bigliettino con velato incoraggiamento all’uxoricidio, 200£».

Perdonate Eglantina, da cui questo racconto è tratto, è il libro che forse offre più situazioni comiche e spiritose, soprattutto per come la Vivanti segue le vicissitudini tragicomiche dei personaggi, quasi sempre originate da scambi di persona, equivoci o imprevisti. Un altro esempio interessante per approfondire il modo in cui prende forma la capacità umoristica vivantiana è offerto dalla novella, Trovar marito (diario di una signorina), sempre tratta da Perdonate Eglantina. La protagonista Gisella, dietro imposizione della zia, fa di tutto per trovare un marito e insieme all’amica Ortensia ricorre a stratagemmi di ogni tipo per attirare a sé dei pretendenti, ma con risultati fallimentari: «Tutto è finito. Io vado in Olanda. Ortensia si farà monaca. Tommaso Fabbri… sposa la zia Clara!», battuta emblematica dello stile sintetico con cui prende forma l’umorismo vivantiano.

Conclusioni

Gli esempi che si sono riportati sono alcune delle tante espressioni della propensione di Annie a non prendere mai niente sul serio, a raccontare e soprattutto a vivere con leggerezza anche le situazioni più drammatiche. Lo humour accompagna Annie per tutta la sua vita e sembra venire meno soltanto negli ultimi anni, molto tristi e piuttosto drammatici, dominati dalla povertà e dalla solitudine. La sua carriera subisce la definitiva battuta d’arresto sul finire degli anni Trenta, a seguito dell’irrigidimento della politica fascista; il clima culturale antisemita e anglofobo emargina sempre di più Annie, cittadina inglese e di origini ebraiche, nonostante la sua amicizia con Mussolini e la sua dichiarata ostilità verso la propria patria.

Annie muore nel febbraio del 1942, pochi mesi dopo aver ricevuto la notizia del suicidio della figlia Vivien e dopo essersi convertita al cattolicesimo. Il silenzio imposto dal regime fa sì che la notizia della sua morte passi inosservata; a ricordarla restano i versi che Carducci le aveva dedicato, fatti apporre sulla sua lapide nel cimitero monumentale di Torino.

Tra le tante possibili chiavi di lettura per addentrarsi nell’universo di questa scrittrice, si è scelto di servirsi dell’umorismo in quanto, come si è cercato di dimostrare con questo resoconto, rende bene l’idea della personalità di Annie e abbraccia trasversalmente la sua opera, costituendo una delle costanti più rilevanti della sua poetica. Inoltre, le diverse declinazioni che si possono attribuire all’umorismo della Vivanti sono il riflesso della polivalenza della sua scrittura, della sovrapposizione delle diverse matrici culturali che hanno accompagnato e condizionato il suo percorso artistico, rendendolo un unicum nel panorama italiano tra Ottocento e Novecento.

BIBLIOGRAFIA

Opere di Annie Vivanti

Lirica di Annie Vivanti, Firenze, Bemporad, 1921 (prima ed. Milano, Treves, 1890)

Marion artista di caffè-concerto, a cura di C. Caporossi con una nota di A. Folli, Palermo, Sellerio, 2006 (Milano, Galli, 1891)

Racconti americani, traduzione e cura di C. Caporossi con una nota di A. Folli, Palermo, Sellerio, 2005

I divoratori a cura di C. Caporossi con uno scritto di G. Brandes, Palermo, Sellerio, 2008 (Milano, Treves, 1911)

Circe. Il romanzo di Maria Tarnowska, Milano, Quintieri, 1912

Vae Victis, Milano, Quintieri, 1917

Zingaresca, Milano, Mondadori, 1918

Naja Tripudians, Firenze, Bemporad, 1920

L’Apollinea Fiera, in G. Carducci – A. Vivanti, Addio caro orco. Lettere e ricordi (1889-1906), Milano, Feltrinelli, 2004, pp. 165-186 (in «La lettura», a. XXI, n. 8, 1 agosto 1921, pp. 530-542)

Gioia, Firenze, Bemporad, 1921

Sua altezza (Favola candida), Firenze, Bemporad, 1923

Terra di Cleopatra, Milano, Mondadori, 1925

Mea culpa, Milano, Mondadori, 1927

Perdonate Eglantina, Milano, Mondadori, 1929

Salvate le nostre anime, Milano, Mondadori, 1932

G. CARDUCCI – A. VIVANTI, Addio caro orco. Lettere e ricordi (1889-1906), Saggio introduttivo e cura di Anna Folli, Milano, Feltrinelli, 2004

A. VIVANTI, Tutte le poesie. Edizione critica con antologia di testi tradotti, a cura di Carlo Caporossi, Firenze, Olschki, 2006

Contributi critici

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