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il sublime rovesciato: comico umorismo e affini

Copertina Numero 12

 aprile 2016

Segnalazioni

Sébastien Lapaque

Teoria della cartolina [segnalazione]

Segnalato da Emanuela Scicchitano

[ Sébastien Lapaque, Teoria della cartolina, Archinto, Milano 2015 ]

Consiglio al lettore, che si accinge a leggere Teoria della cartolina di Sébastien Lapaque, di lasciarsi guidare nella esplorazione del libro dall’epigrafe iniziale: «Se non fossi stato trascinato in alcuni conflitti di questo triste secolo, credo che mi sarei limitato a scrivere solo qualche cartolina». Le parole, adottate da Lapaque, sono di Guy-Ernst Debord, l’intellettuale francese autore de La Società dello spettacolo (1967): saggio di studio e denuncia dei meccanismi perversi, con cui la società di massa assoggetta gli individui e li trasforma in consumatori attraverso immagini seducenti, che stimolano il bisogno di acquistare merci. E così, guidato da Debord, Lapaque si chiede se proprio:

In questo mondo di imperfezione tecnologica che di giorno in giorno finiva sempre più per assomigliare a un cimitero di cose belle, non sarebbe stato necessario interrogarsi sulla resistenza di un passatempo che invece di apparire superato – come andare a cavallo, bere l’acqua del pozzo, affumicarsi il prosciutto nel camino di casa o dire la verità – , appariva continuamente rinnovato. Scrivere cartoline! (p. 31)

Come per Debord, anche per l’anonimo alter ego di Lapaque, la cartolina si profila come un atto di resistenza culturale contro la sterile prolificazione di immagini: al lettore, abituato ad assimilare la cartolina alla riproduzione fotografica di un luogo meta dei nostri viaggi, questa affermazione potrebbe apparire paradossale. Ma Lapaque si impegna a smentire l’identificazione cartolina / immagine e la sovverte in cartolina / parola. Del suo personaggio si chiede: «Come mai all’immagine riprodotta sulle cartoline preferiva senza esitazioni lo scritto sul retro?» (p. 92). La Teoria della cartolina è la risposta a questo quesito.

Ma non basta Debord per saturare la curiosità del personaggio e del lettore, che si interroga sui modi in cui la parola sia fondativa della cartolina. E infatti, dopo Debord, il lettore incontra Mallarmé:

ma i libri, come le poesie, non si scrivono con le idee. «Le poesie si scrivono con le parole» spiegava ai suoi tempi il poeta Mallarmé al pittore Degas; quell’osservazione l’aveva sempre stupito. E così era giunto il momento della sua «Teoria della cartolina». […] una teoria, non un elogio o una nostalgia della cartolina, e neppure un’apologia o un panegirico; tanto meno un compianto. Non si proponeva di celebrare la cartolina come tanti oggetti scomparsi del mondo di ieri […]. (p. 10)

Il protagonista, infatti, non ritiene che la cartolina sia morta, uccisa per mano degli sms o, aggiungeremmo noi, per mano di tweet o hashtag. Questi, infatti, informano e non narrano, usano il presente e non l’imperfetto, come invece continua a fare la cartolina la cui specificità risiede tutta nella forza evocativa e poetica della sua parola. La parola cartolinesca è la parola «azzurra» (p.16), smarrita e poi ritrovata della poesia, che è efficace anche quando si affida soltanto all’enumerazione. E di giochi enumeratori il lettore ne ritrova tanti in un libro così conciso: «Gioia / Sogno / Sole / Luce / Ricordo» (p. 14); oppure: «Primavera / Un mazzo di fiori / una caraffa di acqua fresca / Le prime ciliegie» (p. 29).

Sono enumerazioni che riportano la mente del lettore agli haiku: brevi poesie, di ispirazione naturalistica, con cui i poeti giapponesi sottraevano i sentimenti o le immagini all’usura del tempo e dell’oblio e li affidavano alla memoria individuale o collettiva come degni di essere ricordati. E la cartolina non svolge, forse, la stessa funzione? Non può essere considerata come un haiku,in cui tagliare e accorpare fra loro paesaggi interiori ed esteriori?

Del resto, è lo stesso autore a parlare, a proposito di cartoline, di paesaggi dell’anima; e lo fa affidandosi ancora una volta a una citazione: «Da qualche settimana, i versi imparati un tempo gli tornavano in mente senza fatica. Non aveva più bisogno di inseguirli nei territori e nei vasti palazzi della memoria – “in campos et lata praetoria memoriae” scriveva Agostino nelle Confessioni, da cui avrebbe potuto trarre ispirazione per comporre una cartolina in latino» (p. 49).

Se tutto, dunque, può essere convertito in parola, tutto può, pertanto, essere cartolina: la lettura di Sant’Agostino, la suggestione di una città o di un colore. Non serve, necessariamente, visitare una città; basta visitare se stessi per trovare ciò che prelude alla scrittura della cartolina: «intelligenza vivace, conoscenza del momento opportuno, senso del luogo, dono della concisione, capacità istintiva di improvvisazione» (p. 78). A queste qualità potremmo accluderne un’altra: il gusto postmoderno per l’ironia e la citazione, come quello che lo scrittore ama sfoggiare quando attinge al passato letterario. E così, dopo Debord, Mallarmé, Sant’Agostino, giungiamo scortati da Lapaque fino a Omero: «quando ebbero goduto i piaceri dell’amore, / si diedero al piacere delle cartoline. (adattamento di Omero)» (p. 91).

La meta di ogni viaggio, meritevole di essere raccontato in cartolina, è sempre Itaca. E noi siamo come Ulisse: abbiamo viaggiato nei flutti della storia della cartolina e della letteratura per ritrovarci nella convinzione che, in ogni forma di narrazione, «solo le parole contano» (p. 97).

Immagine nel sito http://www.the-imagelist.com/2015_09_01_archive.html