Nefelomanzia ovvero Cosa dicono le nuvole è il nuovo spettacolo del Laboratorio Teatrale delle scuole superiori di Merano. Si tratta davvero di un laboratorio: la regia è plurale, le coreografie sono nate dai contributi di tutti, gli attori sono ventotto alunni/e delle classi terze e quarte di tutti gli indirizzi , le musiche sono autoprodotte, la locandina è stata disegnata da uno studente.
Si tratta di un laboratorio perché fare teatro a scuola non equivale solo a mettere in scena uno spettacolo. Teatro a scuola significa mettere l’accento sul processo del fare teatro. Per gli insegnanti coinvolti è stata soprattutto l’esperienza di costruire un testo originale e farlo collettivamente. Per gli studenti si è trattato di prendere coscienza del proprio corpo, della propria voce, delle proprie emozioni. Questa presa di coscienza contribuisce a mettere in relazione se stessi con gli altri, con il pubblico per esempio, valorizzando la propria personalità, il proprio vissuto, che è stato conosciuto, analizzato, scoperto durante il laboratorio teatrale.
Protagonista ideale dello spettacolo è la figura di Socrate, al centro di interpretazioni diverse. Aristofane lo presenta come un sofista venditore di truffe e di inganni, cinico e spregiudicato, un cattivo maestro celebratore delle nuvole, le nuove divinità. Platone, ritraendolo come un grande ricercatore di verità, lo riconsegna alla dignità del rispetto delle leggi, nonostante la condanna e la prospettiva di fuga propostagli dai suoi discepoli, che lui ovviamente rifiuta sdegnosamente come estranea alla sua dirittura morale.
Le parti dedicate all’attualizzazione affrontano il rapporto tra parola e verità, i temi della giustizia e della legalità, la critica dei modelli educativi imperanti e la parodia di una certa televisione/spazzatura. Ne è nato un testo comico, ironico, a volte persino satirico.
La nefelomanzia è una antica pratica divinatoria con cui si tenta interpretare le nuvole, analizzando la loro forma, cercando significati e premonizioni, sulla base della somiglianza con oggetti, animali, persone. La suggestione del titolo arriva da un racconto di Antonio Tabucchi, tratto dalla raccolta Il tempo invecchia in fretta. Nefelomanzia richiama per noi l’arte di interpretare i segni complessi, sfuggenti e spesso non facilmente decifrabili della società in cui viviamo.
Come e quando nasce il Laboratorio Teatrale di Merano?
Stefano Usmari: nasce nell’anno scolastico 2006-2007 dall’entusiasmo e dalla collaborazione fra Claudia Chistè, Francesco Redavid e il sottoscritto, quando decidiamo di partecipare al Festival Internazionale del Teatro Classico dei Giovani di Palazzolo Acreide. Il pezzo teatrale doveva durare solo un’ora e noi abbiamo presentato l’Antigone, facendo un lavoro complesso di riduzione e contaminazione di testi, rielaborando e a volte riscrivendo, oltre al testo classico, anche brani di Kafka, Michelstaedter, Zambrano. La scenografia era essenziale, ridotta al minimo, gli attori rimanevano sempre in scena; dopo aver fatto una lunga preparazione fisica, un training sulla presenza del proprio corpo in scena questa soluzione risultò molto efficace. Questo elemento è rimasto presente anche negli spettacoli successivi, l’idea che la recitazione non sia solo un fatto vocale, ma che coinvolga tutta la persona. Allora partecipò solo una classe del liceo classico.
La contaminazione sembra essere una caratteristica costante dei vostri lavori teatrali. Come per Antigone, Le Baccanti, Le Troiane e, adesso, per Nefelomanzia, si parte da un testo antico e poi si “contamina” con altri testi, spesso contemporanei.
Stefano Usmari: in effetti è stata una scelta ripetuta nel tempo, ma è stata una scelta nostra, del nostro laboratorio, perché a Palazzolo Acreide abbiamo spesso assistito a rappresentazioni integrali dei testi classici, con tutte le difficoltà e i rischi di uno spettacolo di questo genere, che spesso risulta ingombrante, troppo lungo, lontano, difficile da gestire.
Il laboratorio nasce nel 2006-2007 e ogni anno voi presentate uno spettacolo a Palazzolo Acreide.
Stefano Usmari: ogni anno noi partecipiamo alla selezione dei testi e fino a questo momento ci è andata bene; il testo che abbiamo presentato è sempre stato approvato e noi abbiamo potuto metterlo in scena. Noi ci iscriviamo a febbraio e a marzo sappiamo se potremo partecipare oppure no.
Laura Mautone: nel frattempo è cambiata la struttura generale del lavoro, non si tratta più di coinvolgere una o due classi, ma si accolgono le iscrizioni, su base volontaria, da tutta la scuola, da tutti gli indirizzi, non solo dai licei. Un testo classico o è per tutti o non è un classico.
Come scegliete i partecipanti? Avete problemi di selezione?
Simonetta Giovannini: fino all’anno scorso chi si presentava veniva accolto, perché i numeri erano relativamente bassi. Quest’anno invece all’inizio si sono presentati in trentacinque, un numero spropositato, perché per noi si tratta di immaginare uno spettacolo in cui 35 persone possano recitare e lavorare tutte. C’è poi sempre un calo fisiologico, quando comincia a delinearsi l’entità del lavoro e la necessità di un impegno costante e, infatti, poi i partecipanti si sono ridotti a 28.
Come spettatori siamo rimasti colpiti dalla presenza scenica di un numero consistente di studenti che partecipavano tutti con ruoli di una certa importanza, cosa non facile da ottenere.
Simonetta Giovannini: sono gli stessi studenti a scegliere le parti che preferiscono interpretare, il nostro intervento si limita a suggerimenti.
Come nasce il testo teatrale? Chi lo scrive materialmente?
Simonetta Giovannini: ci confrontiamo fra noi docenti l’anno precedente, scegliendo le letture da fare durante l’estate su un’idea ancora da definire nei dettagli, ancora molto aperta nei suoi sviluppi. A partire da settembre si comincia a preparare materialmente il testo, discutendone insieme e avviando la pratica della scrittura vera propria. Il testo deve essere pronto entro Natale. Quest’anno sono state coinvolte nell’elaborazione anche due studentesse. Il gruppo di lavoro si muove nell’idea di una collaborazione e di un confronto tra pari, dentro uno scambio culturale e democratico, alla ricerca di soluzioni condivise.Non è sempre facile, i percorsi individuali sono diversi, così come sono diversi i caratteri, le personalità. Il laboratorio diventa così un luogo autentico di formazione culturale e di scambio, fra i docenti che partecipano alla stesura del testo e fra i ragazzi che poi fanno l’esperienza teatrale. Il lavoro legato alla contaminazione dei testi stimola la creatività e la realizzazione di un prodotto davvero originale, unico.
Laura Mautone: è un lavoro stimolante, vissuto sempre in equilibrio dialettico.
Le differenze fra di noi sono inserite in un contesto comune, canalizzate dentro un progetto, si alimentano e si sostengono facendo vivere un’esperienza davvero condivisa. La differenza in questo modo è una ricchezza, non un problema. E’ faticoso, ma ne vale la pena.
Come è nata la scelta di lavorare sul genere comico?
Simonetta Giovannini: la scelta di lavorare sul genere comico, una commedia appunto, non è stata facile. Aristofane è un autore immerso nel suo tempo e, come spesso accade, satira e comicità invecchiano relativamente presto, hanno bisogno di note esplicative, non si colgono più con immediatezza i riferimenti e gli ammiccamenti che contemporanei di Aristofane potevano invece comprendere senza difficoltà. Il lavoro di adattamento ha dovuto tenere conto di queste caratteristiche.
Stefano Usmari: Gli studenti poi avevano notevoli timori, il comico da un certo punto di vista li spaventava (“Sapremo far ridere il pubblico?”), lo stesso Totò diceva che far ridere è molto più difficile che far piangere. Inoltre avevano la sensazione, e in qualche modo il pregiudizio, che la tragedia fosse un genere universale, dai grandi temi profondi e condivisi.
Le Nuvole di Aristofane è il testo classico di riferimento. Questa è la trama: il contadino Strepsiade è perseguitato dai creditori a causa dei soldi che suo figlio Fidippide ha dilapidato e pensa allora di mandare il figlio alla scuola di Socrate, filosofo che insegna come prevalere in ogni scontro dialettico, anche se in posizione di evidente torto. In un primo momento Fidippide non vuole andare al Pensatoio (phrontistérion) del filosofo, così il padre decide di andarci lui, anche se ormai vecchio. Strepsiade incontra Socrate che, appeso dentro una cesta, contempla il cielo e dopo un breve dialogo decide di impegnarsi a istruirlo. Strepsiade però non riesce a capire nulla dei discorsi pseudo-filosofici che gli vengono fatti e viene quindi cacciato. Fidippide, incuriosito dai racconti del padre, decide infine di andare a visitare il Pensatoio e quando arriva assiste al dibattito tra il Discorso Migliore (personificazione delle virtù della tradizione) e il Discorso Peggiore (personificazione delle nuove filosofie). Alla fine prevale il Discorso Peggiore attraverso ragionamenti cavillosi. Fidippide impara la lezione e insieme a Strepsiade riesce a mandare via due creditori; il padre è contento, ma la situazione gli sfugge subito di mano: Fidippide comincia infatti a picchiarlo, e di fronte alle sue proteste il figlio gli dimostra di avere tutto il diritto di farlo. Esasperato e furioso, Strepsiade dà allora alle fiamme il Pensatoio di Socrate, tra le grida spaventate dei discepoli.
Il testo di Aristofane viene completato da alcuni testi di Platone (Gorgia, Apologia di Socrate e Critone) per dare spessore alla rappresentazione della figura di Socrate, solamente ridicola e negativa nella lettura del commediografo greco. Nel Gorgia, Socrate discute sul concetto di retorica che viene definita come un’abilità (empeiria) incapace di dare ragione del proprio operato, e per di più malvagia perché finalizzata all’adulazione. Non è vero quindi quello che sostenevano i sofisti che al cittadino virtuoso corrisponde necessariamente un buon retore, come sarà invece per la tradizione successiva, il vir bonus dicendi peritus da Cicerone fino al Rinascimento. L’Apologia di Socrate è la più credibile fonte di informazioni sul processo a Socrate, oltre a quella in cui la figura del vecchio filosofo è probabilmente meno rimaneggiata dall’autore. Nel Critone la scena ha luogo dopo la condanna a morte di Socrate, accusato di empietà e corruzione di giovani. Critone si reca da Socrate nel carcere per cercare di dissuaderlo dall’accettare la sentenza e convincerlo invece a fuggire da Atene. Platone introduce quindi per mezzo delle parole di Socrate una prosopopea delle leggi. Critone non può che condividere il ragionamento di Socrate e accettare la sua scelta di morire.
I testi classici sono inframmezzati dalle parti autoprodotte e dalle attualizzazioni e contaminazioni da Ammaniti, Benni, Luttazzi, Rodari, De Andrè, Caparezza. Come si può capire si tratta di un lavoro complesso di intreccio testuale e di interpretazione complessiva, che stimola la riflessione aperta e problematica degli spettatori.
Simonetta Giovannini: la scelta di confrontare testi diversi, di mettere la figura di Socrate al centro della rappresentazione teatrale, di intrecciare tutto questo con l’attualizzazione, imponeva poi la necessità di una chiarezza espositiva, per non frastornare troppo il pubblico. Questo problema è stato risolto con l’introduzione della figura di un presentatore che accompagna e introduce tutte le scene, aiutando gli spettatori a orientarsi nel passaggio fra i testi e le epoche. Per esempio, una scena tra padre e figlio nell’Atene di Socrate precede una divertente riscrittura in chiave contemporanea tra il commendator Mambretti, l’alter ego moderno di Strepsiade, e il figlio Michael. Il dialogo di Strepsiade al Pensatoio precede l’esperienza di Mambretti all’Ecostar, The School of Modern Rhetoric. Il dibattito fra il Discorso Migliore e il Discorso Peggiore precede una parodia di certi programmi televisivi, La sfida, dove il signor Maior e il signor Minor rappresentano due idee diverse di educazione, senza che però nessuno dei due riesca davvero convincente.
Avete già qualche idea per l’anno prossimo?
Laura Mautone: abbiamo già scelto le letture da fare durante l’estate, anche se ci piacerebbe prenderci un anno di pausa, magari per provare a riflettere con calma sul nuovo testo o per approfondire le modalità del nostro modo di fare teatro. E’ stata importante per tutti noi la frequenza al corso di aggiornamento tenuto da Jurij Alschitz e sarebbe interessante dedicare più tempo a questo tipo di esperienze. Devo dire però che gli studenti, ma anche la scuola che si è trovata molto coinvolta nell’esperienza, sono pronti a una sollevazione di protesta, nel caso in cui decidessimo di fermarci per un anno.
Concludiamo con le ultime parole di Socrate che va a morire, quelle che chiudono anche lo spettacolo e che hanno una valenza pedagogica e politica:
Tuttavia ho una supplica da rivolgere a tutti i cittadini: quando siano cresciuti, vendicatevi sui miei figli, dando loro lo stesso fastidio che io davo a voi, se vi sembrerà che si curino della ricchezza o di qualsiasi altra cosa più che della virtù, e se crederanno di valere qualcosa senza valere nulla.
Se così farete avrò avuto da voi, io con i miei figli, quel che è giusto.
Ma è giunta ormai l’ora di andare, io a morire, voi a vivere: chi di noi vada verso una sorte migliore, è oscuro a tutti tranne che al dio.
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